Next Exit Anno 10 Numero 100 novembre 2012
Raccontiamo uno speciale talent scout, futuro direttore artistico della prossima Biennale di Venezia
Venezia 2013, Direttore del Settore Arti Visive con il compito di curare la 55ma Esposizione Internazionale d’Arte e già direttore del New Museum di New York, Massimiano Gioni presenta la sua prossima ed ultima mostra alla Fondazione Trussardi: RUBBLE AND REVELATION RIVELAZIONI E ROVINE, con il giovane artista inglese Cyprien Gaillard, dal 13 novembre al 16 dicembre 2012.
La nuova location scelta è la Caserma XXIV Maggio (Via Vincenzo Monti, 59 - Milano), all’interno del panificio militare, vero e proprio gioiello di architettura industriale edificato in stile neo-romanico nel 1898 e dismesso nel 2005 dopo essere stato utilizzato per più di un secolo per la produzione di pane per tutte le caserme della Lombardia e dopo aver garantito il sostentamento all’intera città di Milano durante la Seconda guerra mondiale, apre per la prima volta al pubblico.
Dalle sue esperienze all’estero cosa ha importato in Italia nella gestione di eventi e mostre, come ad esempio quelle organizzate anche alla Fondazione Trussardi?
Lavorare in un museo negli Stati Uniti mi ha insegnato a seguire il lavoro in tutti i suoi aspetti: a New York mi occupo di realizzare le mostre e i progetti espositivi ma anche di seguire l'intera identità e programmazione del New Museum e di affiancare i dipartimenti di Fund Raising e Development nell'elaborazione delle loro strategie. Alla grande libertà con cui posso agire corrisponde però una grande responsabilità: questo è alla base del modello americano ed è un insegnamento che tengo sempre a mente. Dall’Italia, invece, porto con me la capacità di risolvere i problemi in maniera creativa, l’agilità di pensiero che solo un background come il nostro può dare e che fuori dai nostri confini è molto apprezzato. Qui in Italia, poi, ho fatto molte delle mie mostre più atipiche e ambiziose. Quindi non credo assolutamente al ritornello sull'Italia come luogo in cui l'innovazione muore: dipende solo e soltanto dalle persone con cui lavori. Il modello della Fondazione Nicola Trussardi è però anomalo sia per l’Italia che per l’estero. Come un sistema complesso, la Fondazione si modella sulle persone che la rendono un organismo vivo e flessibile. Non avere una sede espositiva, e quindi esplorare la città alla ricerca di luoghi suggestivi e forti, crea sinergie con l’esterno che diventano una ricchezza e un’occasione di dialogo. La struttura è dunque necessariamente agile, snella, creativa e contemporaneamente pragmatica: un sistema rodato e flessibile capace di reinventarsi in base alle diverse necessità. Beatrice Trussardi poi, come Presidente è davvero straordinaria: non è una semplice committente illuminata, ma una compagna di viaggio che dall'inizio della nostra collaborazione ha abbracciato senza pregiudizi i progetti più impegnativi e radicali.
Quali sono gli aspetti fondamentali a cui un curatore deve guardare?
Da giovane volevo fare il critico d'arte, perché critici venivano chiamati i maestri come Achille Bonito Oliva o Germano Celant. La parola curatore in Italia forse è stata usata per la prima volta per una figura come Francesco Bonami, che è stato un grande amico e un altro dei miei maestri. Alla critica d'arte ho preferito la curatela, che in fondo è una scrittura nello spazio: si scrive direttamente attraverso le opere degli artisti invece che con le parole, in modo attivo, partecipato e vissuto attraverso una varietà di componenti che danno la difficoltà e insieme la bellezza di questo ruolo. Il curatore deve mettersi a disposizione degli artisti, come elemento che traduce le loro idee in qualcosa di realizzabile, partendo dai contenuti e dalle necessità dell’opera e tenendo conto degli aspetti pratici che una mostra presenta. Anche la portata di un pavimento va considerata, perché la più bella delle sculture non lo sfondi. Come diceva Harald Szeemann, i curatori non sono neppure dei cuochi, ma dei camerieri.
Perché per questa ultima mostra alla Fondazione Trussardi, prima del capitolo della Biennale, ha scelto un giovane artista come Cyprien Gaillard?
Conosco Cyprien Gaillard da quando, nel 2009, lo invitai alla collettiva “Younger than Jesus” al New Museum di New York. La sua ricerca mostra una visione delle cose del mondo che sta tra la memoria e il futuro, con un lavoro carico di segni di decadenza e rovina, ma anche capace di guardare al futuro. È del mondo e dello spirito del tempo in cui viviamo che vogliamo parlare attraverso la Fondazione, e Cyprien Gaillard porta un punto di vista originale ed estremamente contemporaneo a questa visione. Il suo modo di fare arte dà voce ai sussulti delle città e in questi ultimi anni abbiamo visto città vicine e lontane animate da moti di massa e rivoluzioni: il mondo di Cyprien ci parla di questo senso di calma dopo - non prima - la tempesta.
È definito il “talent scout” nel mondo dell’arte.Quali caratteristiche guarda in un artista?
Non credo di essere un talent-scout. Mi sono sempre concentrato sulla qualità del lavoro di un artista e sulla sua capacità di comunicare, indipendentemente dall’età o dalla provenienza. Nelle mostre che curo affianco spesso artisti storici a giovani e ad outsider, in percorsi in cui la coerenza e la completezza del discorso vanno oltre l’essere un esordiente o un artista del passato. Certo, vivendoa New York e frequentando le grandi città di tutto il mondo dove i giovani artisti si concentrano e si esprimono liberamente e apertamente, ho modo di toccare con mano le evoluzioni e gli spostamenti del contemporaneo dalla base, con tutte le potenziali personalità che da qui possono emergere.
Possiamo ipotizzare una distribuzione geografica riguardo alla collocazione degli artisti emergenti, se sì quale?
No, non chiedo mai il passaporto agli artisti. Certo, Berlino è una città che negli ultimi anni ha attratto moltissimi giovani artisti, ma ora rischia quasi di diventare l'asilo della creatività. E molti altri artisti già si spostano altrove.
Cosa consiglierebbe a un giovane artista?
A chi comincia consiglio di mettere tutte le sue energie nello slancio iniziale di un percorso di per sé molto difficile. Quello che vale per qualsiasi carriera vale anche e soprattutto per chi vuole dedicarsi all’arte: lavorare molto, viaggiare, informarsi su tutto, tenendo presente che la notorietà, se e quando arriva, non è il fine ultimo ma il risultato del proprio lavoro e di solito ha una bella data di scadenza nascosta sotto il coperchio.
E a un giovane curatore?
Lo stesso impegno e lo stesso slancio che servono a un giovane artista riguardano anche chi da grande vuole fare il curatore, con l’aggiunta di una buona conoscenza dell’inglese, oggi necessario a un mondo globalizzato, e di una memoria ben allenata, fondamentale per creare il proprio data-base mentale delle opere che incontra neisuoi viaggi e studi.
Rispetto alla realtà newyorkese l’Italia e l’Europa dovrebbero guardare meglio a…?
Le specificità di ogni contesto sono una risorsa straordinaria da sviluppare, con i modi e i tempi che le culture e le società dettano. Oggi però i confini sono più labili ed è possibile attingere l’uno dall’altro, in una spinta comune che porti a valorizzare le differenze e non ad appiattirle. Questo è l’aspetto migliore di un’idea globale di comunicazione e rispetto reciproco. Un po’ di sano pragmatismo americano, la creatività italiana e il rigore, ad esempio, del Nord Europa sono elementi di un patrimonio comune che dovremmo imparare tutti a sfruttare, in Italia e all'estero. Sono strumenti che permettono di mantenere le proprie radici nello slancio verso una condivisione di cui l’arte e la cultura devono essere elemento trainante e non spettatori passivi.