Inside Art Anno 9 Numero 92 dicembre 2012
A ogni bivio della storia l’uomo e l’arte si sono misurati con il mondo che verrà, dopo aver vagheggiato la fine la cultura appare incapace di dare il là a un nuovo inizio
Del doman non v’è certezza, carnacialava Lorenzo de’ Medici agli abbrivi del Rinascimento, invitando a darci sotto, godersi la vita finché si è giovani e in tempo. Sarà per quest’assenza di certezze che l’uomo, tra i tanti, ha inventato il mito dell’apocalisse. Qualcosa che in origine significava disvelamento, rivelazione, ha assunto nella dottrina giudaico cristiana l’idea della fine come significato, della morte di questo mondo perché se ne sveli il senso ultimo, e dunque del giudizio universale legato alla parusia, la venuta finale del Cristo.
Prim’ancora che figli di Dio o di Noè, siamo tutti figli dell’apocalisse: in attesa di un diluvio che spazzi e rigeneri. Schiere di apocalittici, dai millenaristi ai rivoluzionari d’ogni sorta, hanno vagheggiato tabule rase capaci di redimere il mondo, a ogni bivio della storia e pure prima che i Maya, dal calcolo delle congiunture astrali, mettessero questo 21 dicembre la parola fine a un’era.
Perché un popolo a cui era sconosciuto l’uso della ruota e dei metalli si desse tanto daffare in astronomia è uno dei misteri della storia, e se hanno avuto ragione l’avrete già saputo al momento di leggere queste righe. Ma due stramberìe contrapposte vanno messe a fuoco: l’idea che la fine di una parte coincida con quella del tutto, e che la risposta a questa – alla morte delle umane cose – sia un salto nell’eternità.
Un Eden dove ritrovarsi, di là dal bene e dal male dell’aldiquà. Ma nessuna soluzione finale è possibile alle angosce del vivere, i quattro cavalieri magistralmente disegnati da Albrecht Dürer continuano, mutatis mutandis, a galoppare nel mondo. Così sorprende, di questi tempi, chi ancora sospira a quanto contrabbandato dall’ideologia dominante, che al banchetto dell’opulenza ci sarebbe stato posto per tutti e quindi che il consumo, anzi lo spreco, sarebbe stato il miglior carburante di un sempiterno progresso.
Chi ignora che questa nostra cultura è destinata a fare un botto memorabile, se non siamo in grado d’imprimerle una svolta, capire che non possiamo affidarci a un modello che non sostiene più l’Occidente, figurarsi il globo.
E la cultura? Un esercito d’intellettuali e d’artisti, in ogni tempo, ha detto la sua sul dopofine ma oggi il solipsismo e l’incapacità d’anabasi, di risalita dal fondo del pozzo, è tanta che abbiamo ripescato un testo di Ernesto De Martino, vecchiotto ma attualissimo, sulle apocalissi culturali.
Ché il tempo fugge e i quattro sono ancora in cerca d’autore. Buona fine del mondo. E buon inizio.