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the Art ship Anno 1 Numero 12 dicembre 2012-gennaio 2013



La fuga trova il suo approdo

Giuditta Naselli



Bulletin of visual culture


SOMMARIO N. 12

5 Editoriale
Il ruggito di Paola Pluchino
6 I Racconti di Fedra
Lettera dalla fine del mondo di Andrea M. Campo
8 Sound Forward
Contrappunti materici: le partiture scultoree di Martin Daske di Pasquale Fameli
Risonanze metalliche. Le sonorità “industriali” di Alberto Tadiello di Pasquale Fameli
11 Eightes
David Bowie. Da Berlino a Bologna di Martina Bollini
13 Das Narrenshiff di Paola Pluchino
14 Urban Addicted
Se l’albero di Natale diventa creazione di moda e di arte di Ada Distefano
16 L’Intervento
La moda contemporanea tra sogni e desideri di Ada Distefano
17 Macadam Museum
Streets of Rome and other stories: Jimmie Durham in mostra al Macro di Federica Melis
“Urban Restyling” di Federica Fiumelli
Inciampare nella memoria di Elisa Daniela Montanari
22 E-Bomb
L’arte nei film. Una top 10 di Martina Bollini
24 Il Proiettore di Oloferne
La fuga trova il suo approdo di Giuditta Naselli
25 L’Intervento
Non svegliarmi di Giuditta Naselli
26 chaiers d’Histoire
Au Nord c’étaient les corons di Margaux Buyck
28 Bookanear
29 Balloon
Fantasmi al Louvre di Alessandro Cochetti
30 (p)Ars Construens
Sig. Terremoto, ti racconto un po’chi siamo di Maria Livia Brunelli
31 Routes di Gabriella Mancuso
34 L’Intervento
Il dolce auspicio di Gabriella Mancuso
OPEN CALL di Gabriella Mancuso
35 L’Immanente e il Trascendente
Di poesia, di musica e divino la Redazione
36 Post - sense di Paola Pluchino
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Deborah Kerr in Tavole Separate

Separate tables, 1958. Delbert Mann

Tavole separate (Separate tables, 1958) di Delbert Mann

Giuditta Naselli. In una modesta e disadorna pensione di Bournemouth, stazione balneare inglese sul canale della Manica, sono ospiti fissi: il sig. Fowler, ex preside di scuola media, l'anziana signora Lady Gladys Matheson e l’amica Maude Reilton-Bell, sempre accompagnata dalla timida e instabile figlia Sibyl, Miss Meacham, appassionata di biliardo e cavalli, la coppia di giovani fidanzati Charles e Jean, il maggiore Angus Pollock e lo scrittore americano John Malcolm che, da qualche anno intrattiene un rapporto amoroso segreto con Miss Cooper, titolare della pensione.

Sin dalle prime immagini lo spettatore si chiede perché i personaggi abbiamo scelto, come dimora stabile, una pensione così umile e fuori dal mondo. Si intuisce così che ognuno di loro nasconde un recondito segreto che le mura claustrofobiche dell’albergo sembrano contenere, finché un nuovo personaggio non giunge a destabilizzare l’equilibrio. È Ann Shankland (Rita Hayworth), ex modella ed ex moglie dello scrittore John Malcom (Burt Lancaster), che sconvolge quel gioco silenzioso tra gli ospiti della pensione, quella sequela di tavole separate ma contigue, che durante l’ora dei pasti, celebrano il bisogno, che ogni singolo personaggio ha, di familiarità e appartenenza ad una comunità.

Il regista Delbert Mann, dopo esser approdato alla regia con Marty, vita di un timido (Marty, 1955), che gli vale immediatamente un Oscar, nel corso della sua carriera lavora sia a commedie romantiche ed esilaranti come Amore ritorna! (Lover Come Back, 1961) e Il visone sulla pelle (That Touch of Mink, 1962) che a film più impegnati come Jane Eyre nel castello dei Rochester (Jane Eyre, 1970) e Niente di nuovo sul fronte occidentale (All Quiet on the Western Front, 1979) ma è con Tavole separate (Separate tables, 1958), che, ispirandosi all’omonima pièce di Terence Rattingan, gira uno dei suoi film più complessi e controversi.
Mann racconta, con incredibile sobrietà, come in un albergo, lontano da occhi indiscreti, i personaggi, in fuga da se stessi, da John Malcom, scrittore alcolizzato ancora innamorato dell’ex moglie a Ann Shakland, ex star impaurita dalla solitudine, da Maude Reilton-Bell, anziana madama che cerca di nascondere la fragile figlia Sibyl al maggiore Pollock, inetto in quanto militare e inappropriato in quanto uomo tanto da nascondere l’accusa di presunte molestie sessuali, possano condividere la loro solitudine, legittimati dalla medesima condizione di outsider.

La fuga è un tema ricorrente dell’arte cinematografica statunitense come lo è della cultura americana in genere, in quanto figlia di immigrati europei. Ma la domanda che bisogna porsi è perché l’artista, sin dalla sua democratizzazione, ha scelto gli Stati Uniti, come approdo sicuro? Certo non per, come i più possono addurre, libertà di culto, dato che l’Inghilterra del Settecento era molto più liberale dell’America dei padri pellegrini! Il perché lo spiega molto bene D.H. Lawrence nel saggio Classici Americani: “Che cosa fondarono quando vi giunsero? La chiamereste libertà, quella? Non vi andarono per la libertà, o, se lo fecero, si trassero tristemente indietro. Ma allora, per che cosa vi andarono? Per tante ragioni, delle quali la minore è la libertà, una libertà positiva. Essi vi andarono per il più semplice dei motivi: per sfuggire, allontanarsi. E da che? In ultima analisi per allontanarsi da se stessi, da tutto. Ecco perché sono andati in America, per allontanarsi da tutto ciò che sono e sono stati”. (1)

Lo scrittore D.H. Lawrence, in un saggio che, essendo del 1924, dimostra la sua disarmante modernità, analizza, con estrema lucidità, il vissuto dell’artista americano, dimostrando come la vitalità dell’arte americana sia da imputare alla taciturna ribellione che ogni immigrato cela nei confronti dell’antica tutela dell’Europa. Eppure, nonostante la continua fuga, nessuno si può esimere dal proprio passato. Succede così che la corrosiva e nascosta opposizione americana non fa che corroborare una riverente e ossequiosa obbedienza alla vecchia signora Europa, del quale l’immigrato fatica a liberarsi. Solo con l’ammissione della cupezza e della complessità del proprio io, l’americano potrà definirsi libero e finalmente comprendere se stesso e l’altro.

Così, infatti, accade alla fine del film Tavole separate, in cui, ogni personaggio si dispensa per trasformare l’umile e modesta pensione in una felice e ospitale comunità che, incurante di tabù e pregiudizi, accoglie e redime ogni uomo, anche il maggiore Pollock.


1.D.H.Lawrence Classici americani, Milano, Feltrinelli, 1988.