SMALL ZINE Anno 3 Numero 12 ottobre - dicembre 2014
Roberto Giriolo
Roberto Giriolo vive e lavora in un piccolo borgo in provincia di Reggio Calabria ma, ad onor del vero, si potrebbe dire che il suo paese è il mondo intero. È affetto da quel sentimento globalizzante buono, che significa sensibilità empatica verso la condizione critica degli uomini che abitano questo pianeta nell’Era vulgaris, ovvero, come egli afferma “l’era della standardizzazione e della sterilizzazione culturale”.
Il ruolo sociale dell’artista è innanzitutto quello di denuncia indiscriminata nei confronti dell’Occidente capitalistico e conquistatore, fomentatore di ostilità e paure nei riguardi del diverso esotico-orientale, il quale poi, però, sorprenderemo consenziente e compiaciuta vittima dell’occidentalizzazione impostagli.
È il risultato di quella globalizzazione nociva – all’uomo, alla sua cultura e all’ambiente – delle colonizzazioni, del consumismo e del conformismo di massa.
Le ipocrisie e le contraddizioni della società contemporanea, Giriolo le dichiara e le affronta a colpi di colore e a chiare lettere. Difatti, il compromesso che lui stesso stabilisce a favore dello spettatore, consiste spesso nel raffreddare la libido irruente del gesto pittorico integrando sulla tela parole o messaggi esplicativi-educativi intrisi di amara e dissacrante ironia (Who sell drama?), corredati da numerosi segni grafici e sagome in cui il nero – un non-colore che per l’artista è sinonimo di assoluta libertà espressiva – regna sovrano.
Così, mentre colate di colore puro industriale vengono gettate di fretta direttamente sul supporto con il rischio di lasciare margini di tela vergine incompiuti (e si pensa a Pollock, Franz Kline e ad un certo espressionismo astratto americano), intervengono a mettere ordine le dovute “istruzioni per l’uso”: il disegno e le didascalie, giochi linguistici, nonsense, moniti, segnaletiche. E qui, sopra di tutti, c’è evidentemente Jean-Michel Basquiat, il linguaggio immediato e polemico del Graffitismo e la cultura Underground, con un tocco di Pop. Sì, perché a fare capolino sulle tele – così come sulle tavole o i collages – di Giriolo, troviamo freccette, mappe, cartelli stradali, missili, pompe di benzina e altri oggetti di uso quotidiano, nonché il ripescaggio di personaggi e simboli moderni importanti e pop(olari) come Saddam Hussein o la Statua della libertà, alternata ai Bronzi di Riace, fino alla figura ricorrente del teschio (che, attenzione, per l’artista non è emblema di morte ma di “origine”). Un assemblaggio frenetico di colori e immagini che compongono e illustrano la civiltà vulgaris in una sintesi formale tuttavia equilibrata, suprema e drammatica.
In Do the evolution si ricostruisce in poche, rapide, fasi una disincantata “pseudostoria” dell’evoluzione umana, sempre sotto la supervisione di Darwin posizionato al margine destro della composizione: dalla scimmia all’australopiteco, allo splendore della grecità, fino all’ominide contemporaneo dall’identità scancellata e deturpata, alienato o robotico, comunque inevitabilmente risucchiato nella metropoli industriale ammassata e claustrofobica.
L’arte di Roberto Giriolo è complessa e loquace; ma ha ancora molto da dire, spazi geografici e culturali da indagare, da invertire oppure da scoprire: come farà nel suo prossimo – per ora segretissimo – progetto. Forse, l’artista etnologo, Colombo contemporaneo, scoprirà finalmente l’isola felice ed incontaminata, che non c’è.