Espoarte Anno 15 Numero 85 luglio-settembre 2014
Fluttuazioni dark
Mustafa Sabbagh (Amman - Giordania) proviene da trascorsi prestigiosi nell’ambito della fotografia di moda dove ha saputo imprimere la sua cifra artistica con shootings pubblicati dalle più autorevoli testate del settore tra cui The Face, Vogue Italia, l’Uomo Vogue, Kult, Zoom on Fashion Trends. Considerato uno dei capisaldi nell’uso della “maschera”, della “pelle nuda” e del corpo vestito in cui l’abito diviene “habitus” come seconda pelle da abitare, dall’ultimo decennio è fra gli artisti più riconosciuti anche dal mondo dell’arte. Tra i punti salienti della sua metodologia prevale la ricerca di nuove forme in una logica di condivisione e abbattimento di qualsiasi barriera.
Mustafa Sabbagh: Nel mio pensiero, ogni atto creativo è un atto performativo. Anzi, due. La migliore performance è quella che prende vita in un primo momento dall’interconnessione tra fotografo e soggetto fotografato, in seguito dall’innesco emotivo in colui che guarda. Diventa una doppia performance, spontanea e non programmata.
Non trasformare ma leggere la sostanza dell’individuo, non mutare ma affermare, ibridare per autenticare.
Se la moda è espressione del sé, incarna perfettamente i miei codici; se, invece, viene trattata in termini puramente statistici, non è espressione, è solo clonazione.
Attraverso la rappresentazione fotografica – e video – rendi il mondo reale uno spazio sacro e ultraterreno popolato da iconiche sculture viventi attraverso le quali la verità si rivela con la finzione. Quanto alieno e alienato divengono sinonimi nei tuoi lavori, in particolare all’interno di quegli scatti in cui l’individuo – con la fusione di genere e segni vestimentari – diventa “altro”?
Il nuovo alieno non è altro che colui che vive senza aspettarsi un consenso collettivo. Alienarsi per liberarsi.
Attraverso le mie messe in scena e lo “strumento-abito”, l’individuo proclama esteriormente ciò che di più profondo e nascosto porta dentro di sé.
Hai scelto la metafisica Ferrara come tua base da vent’anni, la città estense si caratterizza per una luce particolare e per le sue specifiche atmosfere cupe e velate, che si rivelano in sintonia con il tuo lavoro dai toni scuri e in cui prevalgono neri su neri in cui, a volte, solo una sigaretta accesa, una gorgiera o un dettaglio del corpo nudo diventano un punto luce. Il colore che racchiude tutti gli altri diviene nel tuo lavoro elemento simbolico privilegiato per rappresentare, in sintesi, le tue verità attraverso l’immagine. Da dove deriva il bisogno di tutta questa oscurità?
Ferrara è il mio “centro di gravità permanente”, Ferrara è un luogo che mi permette di andare oltre la fisica, come la metafisica vuole.
In una società che si nutre di luoghi comuni, servirmi dell’oscurità diventa una sfida per scardinarli e far emergere significati più profondi. L’oscuro è ciò che non conosciamo, l’oscuro è la dimensione più intima, quindi la più erotica.
Nero non è semplicemente un colore, ma è questo momento storico.
Ti definisci “Artista classico contemporaneo” e consideri compito dell’artista avvicinare l’arte contemporanea all’arte antica. Dalle tue opere sembrano emergere sintonie con Caravaggio, la pittura Fiamminga e la pittura del ’600 – per i soggetti che emergono dal buio, la visione particolareggiata e le nature morte – così come con Andres Serrano, per lo stile ritrattistico, una certa dose di sensualità, provocazione e sacralità, l’elaborazione di un linguaggio iconico e simbolico. Attraverso i tuoi progetti hai instaurato precisi dialoghi con maestri come Boldini, Zurbarán e Matisse. Altri ancora, tra passato e presente, li hai pensati per il progetto Risen from the dead realizzato per Traffic Gallery. Come hai sviluppato questi nuovi dialoghi? Ti va di guidarci nel tuo viaggio nel tempo relativamente ai sei lavori inediti che presenti, per la prima volta, a Bergamo e il significato della condivisione del tuo spazio con un’artista come Karin Andersen?
Sacro a mio parere è sensuale, nell’arte chiamata classica si sente tutta la carnalità fatta uomo; se per classico contemporaneo si intende questo, allora si che lo sono.
Sono figlio di una cultura dove certi capolavori hanno solcato la mia mente (anche in maniera inconscia), il mio DNA non è acido desossiribonucleico ma tracce di capolavori.
Il progetto nato con Roberto Ratti della Traffic Gallery, non è altro che la scansione della mia mente riguardante il mio DNA.
Di solito, in quasi tutti i miei solo show, amo contaminarmi e condividere parte del progetto con artisti che stimo; in questa occasione, Karin Andersen è mia ospite e ospite della Traffic Gallery.
Sarai fra gli artisti di Nirvana, collettiva in programma dal prossimo ottobre ad aprile 2015 al Mudac di Losanna ed importante continua ad essere il tuo coinvolgimento a più livelli nella moda (farai parte della giuria alla Camera della Moda di Bruxelles per il concorso dedicato ai suoi studenti). In che direzione sta andando il tuo lavoro?
Riallacciandomi alla tua precedente domanda, non esistono confini tra arte e moda se i progetti sono di questa portata. Nirvana, curata da Marco Costantini, ne è la dimostrazione, coinvolgendo nomi quali Ruth Hogben, Steven Klein, Nick Knight, Erwin Olaf, Gordon von Steiner, Francesco Vezzoli, Helmut Newton, Jean-Paul Gaultier, Alexander McQueen, Walter Van Beirendonck, Jeff Koons, Vanessa Beecroft, Caro Suerkemper ed altri ancora… Allo stesso modo, l’invito da parte della Camera della Moda di Bruxelles mi stimola a dare il mio piccolo contributo. Onestamente non mi interessa la direzione che prenderà il mio lavoro, seguirò di certo la mia pancia (il mio piccolo cervello).
Mustafa Sabbaghnasce ad Amman (Giordania) nel 1961. Vive e lavora a Ferrara.
www.mustafasabbagh.com