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Espoarte Anno 14 Numero 82 ottobre-dicembre 2013



Barnaba Fornasetti

Francesca Di Giorgio

“Storie” al tempo presente



Contemporary Art magazine


SOMMARIO N.82

Antineutrale #8 | Imposture intellettuali. Arte e filosofia: solo un armistizio? | di Roberto Floreani
Pensieri Albini #15 | di Alberto Zanchetta
New Media Art | Digital Life 2013. Paesaggi liquidi e fluidità interattiva | di Chiara Canali
Gremlins | Paura: il sacro fuoco del racconto per immagini | di Mattia Zappile
Concetti Visibili | Ben Ormenese. Tra l’essere e il non essere: l’ultima lezione tra immortalità e oblio | di Leonardo Conti

Tonosutono | John Lennon “balla da solo”. Scritti e disegni in mostra | di Francesca Di Giorgio

Talkin' | Tàpies raccontato da Tàpies | intervista a Toni Tàpies di Matteo Galbiati

Eugenio Carmi | Una vita fuori dalle “righe”. Storia di un fabbricante di immagini | intervista di Ginevra Bria

Focus Nuove Nomine:
Nuove stagioni. Nuove nomine
Intervista ad Andrea Viliani, direttore e curatore MADRE, Museo d’Arte Contemporanea DonnaRegina, Napoli | di Ginevra Bria
Intervista a Julia Draganović, direttore Kunsthalle Osnabrück | di Francesca Di Giorgio
Intervista a Sabine Schaschl, direttore e curatore Museum Haus Konstruktiv, Zurigo | di Igor Zanti

Open Studios | Aron Demetz | La spiritualità del quotidiano evocata dal silenzio | intervista di Gabriele Salvaterra

Talkin' | Mirco Marchelli. Ascoltare l’arte per vedere la musica | di Viviana Siviero

Speciale Marche | a cura di Jack Fisher:
Tra terra e mare. Voci dalle Marche
Perché le Marche? Campagna per la campagna. On the side of the countryside | di Davide Quadrio
Nascere nelle Marche | Interviste a: Walter Valentini, Simone Massi, Eliseo Mattiacci
Le Marche viste da... | Interviste a: Pietro Marcolini, Raimondo Orsetti
Vivere nelle Marche | Interviste a: Paolo Icaro, Roberto Coda Zabetta
Cultura nelle Marche | Interviste a: Ludovico Pratesi, Marcello Smarrelli
Le Marche tra arte e ospitalità | Interviste a: Luca Avenanti, Carolina Bernasconi, Giuliano Dottori, Giovanni Gaggia, Andreina De Tomassi
Andar per Festival nelle Marche | Intervista a Velia Papa

Barnaba Fornasetti | "Storie" al tempo presente | intervista di Francesca Di Giorgio

Talkin' | Arturo Martini, il sogno della scultura, l’armonia della realtà | intervista a Nico Stringa di Viviana Siviero

Giovani:
Gohar Dashti | Qualcosa di personale… | di Francesca Caputo
Luca Moscariello | Polvere alla polvere | di Igor Zanti
Margherita Cesaretti | Quel racconto sospeso in un presente senza tempo | di Matteo Galbiati
Maziar Mokhtari | Intra moenia | di Igor Zanti
Virginia Zanetti | Ripensare il reale. Tra l’opera d’arte e il suo fruitore | di Simone Rebora
Loris Bozzato | Né troppo vicino né troppo lontano | di Francesca Di Giorgio

Allora & Calzadilla | Incontri “fisici”. Spazio, corpo, materia, suono | intervista di Francesca Di Giorgio

Joana Vasconcelos | Presente (e futuro) del ready made | intervista di Igor Zanti

Talkin' > Projects | I mille volti di Swatch | Intervista a Carlo Giordanetti di Igor Zanti

Vanni Cuoghi | Cavalieri, isole fantasma e trappole di carta | intervista di Chiara Serri

Talkin' > In Galleria | Andrea Facco. Nuovi bilanci alla Galleria Goethe | intervista di Gabriele Salvaterra
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Casa Fornasetti, cucina e sala da pranzo: Lampadario di Murano, anni ’50.Cucina, prototipo Strato Cucine con decoro “Farfalle” di Fornasetti. Natura morta di Paolo Antonio Barbieri, fratello del Guercino. Sul camino: specchio ottagonale vintage di Fornasetti, “farfalle”, anni ‘50. Tavolo e sedie di Fornasetti, Ultime notizie. Sul tavolo, scultura in ceramica di Fausto Salvi. Pavimento: piastrelle di ceramica Fornasetti by Ceramica Bardelli, Ultime notizie.Foto: SteoFoto

Casa Fornasetti, camera rossa degli ospiti. Sopra al letto a barca piemontese, specchio magico bombato, anni ’60, Fornasetti. Alla parete: pannello “la storia della moda” anni ’50. Sulle mensole: vaso rosso in vetro di Piero Fornasetti per Venini “Corno”, anni ’50. Vassoio ovale “Zebra” rosso. Sul letto: cuscini Fornasetti e copriletto popolare sardo. Comodino di Fornasetti con soli in foglia oro. Curiosità: in tutti i titoli dei libri è presente la parola “rosso”. Foto: SteoFoto

Ritratto di Barnaba Fornasetti sulle scale del corridoio. Al muro la carta da parati “Gerusalemme” di Piero Fornasetti, 1949. Alle pareti prove di stampa di Fontana, Sassu, Campigli, Tamburi ecc. Foto: SteoFoto

Provate ad immaginare un mondo senza musica,
la stessa sensazione la potreste avere
in un mondo senza decorazione.

Barnaba Fornasetti


12 settembre 2013. Milano, via Bazzini 14. Suonare “Immaginazione – Fornasetti srl”.
Entriamo in casa di un artista, stampatore, designer...
Piero Fornasetti era tutto questo e anche altro, senza troppe definizioni. In fondo, come diceva Bruno Munari: «Fornasetti si misura solo con il metro di Fornasetti».

La casa, insieme archivio, abitazione, luogo di lavoro, esprime un’originalità senza limiti ed etichette.
Il figlio Barnaba, muovendosi con la stessa disinvoltura tra oggetto unico e produzione seriale, nei primi anni ‘80 ha preso in mano le redini dell’azienda portando avanti una tradizione e declinando al presente il linguaggio di Piero. Un bagaglio di tanti piccoli e grandi “segreti” del mestiere, rubati lavorando al fianco del padre nell’ultimo periodo della sua vita.

Seduti di fronte ad una parete ricoperta di specchi, Barnaba Fornasetti ci racconta, in anteprima, la mostra al Triennale Design Museum di Milano che rende omaggio a 100 anni di follia pratica di Piero Fornasetti.
Una selezione di opere tratte dall’archivio, una sorta di file pre-digitale dove ogni oggetto della sua immensa produzione – se ne contano circa 13.000 – è archiviato nelle varie declinazioni di decoro e di forma con l’ubicazione della lastra litografica e alcune indicazioni per la manifattura. Un mondo ordinatissimo e magico dove spazio e tempo si annullano...

francesca di giorgio: L’arte contemporanea riflette costantemente sul concetto di archivio e gli stessi artisti ne hanno fatto oggetto della loro ricerca. La mostra in Triennale si basa proprio su una raccolta... Che tipo di archivio è il vostro? E che tipo di collezionista era Piero Fornasetti?
Barnaba Fornasetti: L’archivio, che sostanzialmente ha fondato mio padre, nasce da una passione estetica per la raccolta di oggetti di indagine.
Piero Fornasetti nasce come pittore e artista tout court e poi si dedica alle arti applicate attraverso un percorso da stampatore litografico. Fin da giovane, e questo si vede già dai primi scatti nel suo studio, raccoglieva oggetti. In un primo tempo, come soggetti da copiare per le sue nature morte: bottiglie, vasi, maschere... Disponeva negli scaffali anche gli stessi strumenti di lavoro con un gusto e un ordine da collezionista.
Nel tempo, raccoglie oggetti non per il piacere dell’accumulo o per il loro valore economico. Ha sempre valutato le varie collezioni, messe insieme negli anni, come quelle dei vetri di Boemia o delle carte da gioco, secondo un punto di vista estetico. Era arrivato ad essere addirittura un collezionista di collezionisti!
Lui stesso inventa un metodo creativo che è basato sul collezionismo, sul collezionare immagini da riutilizzare, rimaneggiare, riciclare, utili ai suoi decori che pescano nell’immaginario decorativo storico. Nonostante fosse un grande disegnatore raramente utilizzava i suoi disegni, spesso faceva disegnare ai suoi collaboratori interni i decori che a volte iniziava lui stesso con schizzi oppure copiava, fotocopiava, manipolava e addirittura strappava pagine da vecchie riviste e anche libri antichi di valore e le conservava, divise a temi (mani, architetture, armature, strumenti musicali...), in faldoni. La stessa biblioteca è schedata a temi. Per lui si trattava quindi di un collezionismo funzionale.
Ancora oggi io lavoro così, quando invento un nuovo decoro vado a pescare lì.

Immagino non sia stato facile scegliere cosa portare in mostra?
La cosa più difficile è stata decidere cosa non esporre. Nonostante i 1100 mq dello spazio espositivo, ce ne vorrebbero dieci volte tanto per poter esporre tutto. Un lavoro simile l’abbiamo fatto due anni fa per una grande monografia edita da Electa e Rizzoli International. In quell’occasione abbiamo dovuto dividere i materiali in due volumi... Anche se è l’opera più completa non è tutto, è un condensato di tutti gli aspetti e le declinazioni dei soggetti realizzati. Comunque, tutto ciò che fa parte della mostra al Triennale Design Museum proviene dall’archivio salvo alcuni pezzi prestati.

Oltre 700 i lavori esposti...
Così come l’archivio tutto è improntato sul tema e la variazione. La mostra inizia con una prima sala dove ci sono i lavori degli inizi, le prime esperienze, ispirazioni, pile di libri antichi, faldoni di raccolte di immagini, di cui parlavo prima, il suo vecchio cavalletto da pittore, le sue opere scolastiche... Nella seconda sala: l’esperienza di Piero Fornasetti stampatore, le lastre, l’utilizzo che ne ho fatto recentemente, perché in questa mostra ho voluto sempre dare un riferimento alla continuità, a ciò che rende questo “brand”, anche se non è una definizione che mi soddisfa del tutto, un’esperienza legata all’attualità e alla possibilità di continuarla a prescindere da me. Per questo, nella “sezione stampatore”, oltre alla riproduzione di un vecchio torchio litografico, ho inserito anche una serie di mobili ricoperti da lastre litografiche di zinco originali, che oggi non uso più, inchiodate a mano con un lavoro realizzato artigianalmente su mobili da me disegnati. Alcuni esempi di litografie di altri artisti come Fontana, De Chirico, Clerici, Manzù, Campigli, Carrà, da cui poi ha tratto molta aspirazione. Nella terza sala, come in una antica quadreria, due pareti sono letteralmente coperte da quadri dagli anni ‘30 e ‘40 fino agli ultimi anni. Qui si vede tutta la sua ricerca in campo pittorico che poi trasferirà su tutti gli oggetti di uso quotidiano.
Al centro di questa sala c’è un grande tavolo dove sono raccolti assieme una serie fitta di oggetti rettangolari: posaceneri, scatole... ognuno è una piccola opera d’arte, un quadro su oggetti comuni.
La quarta sala è l’esemplificazione di questo concetto: i piatti con il viso di donna che sono diventati ormai quasi un logo dell’azienda, riconoscibili e dall’identità fortissima. Quel viso non l’aveva disegnato lui, era una stampa di fine ottocento che aveva le caratteristiche del viso neoclassico enigmatico, graficamente perfetto e che si prestava ad essere declinato in oltre 300 variazioni diverse. Con questa serie ho voluto costruire un’installazione di piatti sospesi con fili dal soffitto che si muovono con l’aria, come fossero mobiles, e un tessuto stretch bianco che crea delle forme geometriche che attraversano la sale creando giochi di luce in questa “pioggia” di piatti.

A La Triennale sono legati gli esordi di suo padre poco più che ventenne...
Quando, nel 1933, per la prima volta, mio padre presentò dei foulard di seta stampati in litografia e un mix di altre tecniche, cosa molto inconsueta tra l’altro, non furono accettati per la mostra ma colpirono Gio Ponti. Lui era convinto che mio padre dovesse utilizzare tutta la sua fantasia, unita alla tecnica, per trovare il metodo con cui poter trasferire le immagini artistiche su oggetti di uso quotidiano. Il loro sogno-utopia era quello di mettere insieme artigianato, industria e arte per creare dei multipli infiniti senza porsi il problema dell’edizione limitata. Questa loro idea, poi, si rivelò poco attuabile. Esposero a La Triennale una serie di prototipi che indagavano varie tecniche artigianali dalla ceramica, al mobile, al metallo sbalzato, al vetro, al ricamo, al pizzo ecc... Una caterva di oggetti fantastici e innovativi realizzati per l’industria, che ebbero un grande successo di pubblico e di critica. Gli industriali di allora, a cui chiedevano di produrli, però storcevano il naso, non erano abituati a pensare oggetti con sopra visi, occhi e figure “originali”; allora mio padre iniziò a lavorare nel suo atelier per produrre da solo i suoi oggetti seriali. Negli anni ‘50 - ‘60 la sua attività contava circa 20-30 dipendenti ed esportava in tutto il mondo.

C’è ancora spazio per la scoperta? Ha trovato cose nuove durante la preparazione della mostra, o qualcosa che ha visto semplicemente con occhi diversi?
Succede spesso. Mi è capitato di trovare dei suoi pensieri inediti come questo, ad esempio: «Mi reputo l’inventore del vassoio perché ad un certo momento della nostra civiltà non si sapeva più come porgere un bicchiere, un messaggio, una poesia. Sono nato in una famiglia di pessimo buon gusto e faccio del pessimo buon gusto la chiave di liberazione della fantasia». Vere scoperte di oggetti non proprio ma qualche disegno, schizzo con idee e varianti di colore inedite... Poi, ho scoperto un’altra cosa, che non c’entra con la mostra ma è curiosa da raccontare: al Victoria & Albert Museum di Londra, in una mostra a proposito di “delitto e decorazione”, furono esposte negli anni ‘70 una selezione di opere comparate tra decorative, considerate kitsch, e concettuali (minimaliste), considerate valide. Le opere “negative” erano sopra dei bidoni della spazzatura (tra cui un mobile di mio padre! Ride, ndr)... Sarebbe interessante rivedere quella mostra con occhi attuali.

Gli anni ‘70 sono stati tempi duri per il concetto di decorazione. La mostra racconta anche il contesto in cui suo padre ha lavorato...
Esporre in Triennale è un gancio interessante per affrontare temi legati all’architettura perché, a mio parere, la decorazione è un fatto sempre più importante in tutti gli aspetti della relazione dell’uomo con ciò che lo circonda. La decorazione è ovunque, non se ne può fare a meno. Quest’estate ero in Africa e mi sono reso conto, più che mai, di quanto la natura sia decorazione, pur legata alla sua funzione. Nulla è casuale però tutti ci chiediamo perché le zebre hanno quelle striature, perché quei colori... Noi, tutto sommato, siamo degli “scimmiottatori” volgarissimi di questa meraviglia assoluta.
Ha sempre meno senso imitare o copiare la natura dobbiamo interpretarla, anche la decorazione può essere concettuale e Fornasetti è certamente un esempio del rapporto tra arte e design e di quel labile confine, sempre più sfumato, che intercorre tra le discipline. Se dovessimo definire dei confini per il design dovrebbe essere sempre in relazione all’uso e alla funzione: il pezzo di design che perde la ragione d’uso diventa arte.

Su cosa vorrebbe lavorare domani Barnaba Fornasetti?
Mi piacerebbe sviluppare dei progetti legati il meno possibile al prodotto, vorrei realizzare delle installazioni per spazi pubblici. Mi piacerebbe molto tornare a lavorare sulla decorazione dell’architettura, sull’esterno degli edifici.
Milano, ad esempio, è oscurata da nebbie e traffico urbano e facciamo fatica a notare quanta bella decorazione esiste sulle facciate, chi ci vive non la vede più. Sarebbe bello fare un libro sulle facciate dell’architettura civile milanese, degli ingressi, dei portoni di vari secoli. In fondo, ormai, siamo tutti vittime dei prodotti. Rendiamo economicamente sostenibile il pensiero! Adoro la frase di Alessandro Bergonzoni «facciamo voto di vastità».

Piero Fornasetti (Milano, 1913 - 1988, Milano) è stato pittore, scultore, decoratore d’interni, stampatore di libri d’arte e creatore di oltre undicimila oggetti. Per la varietà dei decori, la produzione di Fornasetti è una delle più vaste del XX secolo. Celebrato come uno dei talenti più originali e creativi del Novecento, durante la sua carriera Fornasetti ha dato vita a un linguaggio di immagini immediatamente riconoscibile, ricco di colore, saturo di spirito e umorismo.

Barnaba Fornasetti (1950), figlio di Piero, porta oggi avanti la tradizione del padre, continuando a produrre e a ravvivare i motivi Fornasetti. Direttore e cuore artistico dell’azienda, Barnaba custodisce l’eredità del padre, con riedizioni dei pezzi più rappresentativi e “reinvenzioni” nella tradizione di produzione artigianale inaugurata dal padre.