Con la mostra si intende dare conto, dal punto di vista degli esiti architettonici e di trasformazione del territorio, del fitto intreccio tra i temi legati alla produzione di energia elettrica e i temi legati al godimento turistico delle Dolomiti. Un progetto a cura di a cura di Fernanda De Maio e Carlo Palazzolo, con il contributo di Maddalena Basso e Antonella Indrigo.
a cura di Fernanda De Maio e Carlo Palazzolo
con il contributo di Maddalena Basso e Antonella Indrigo
Nella geografia che cambia il volto dell’Italia trasformandola da regione europea depressa e sconfitta dopo la
II guerra mondiale a nazione del “Miracolo Economico”, alcune date e alcuni luoghi diventano emblematici e
assumono un valore quasi mitico. Ai due estremi di questa geografia raggrumata in poche decine di
chilometri stanno il Monte Antelao e il Monte Toc. A separare questi due monti e le vicende che li vedono
protagonisti vi è un arco temporale analogamente compresso: quello tra il 1956 e il 1963.
In questo breve periodo la fiducia nello sviluppo di un certo modello di crescita italiana in campo sociale,
economico, culturale e sportivo produce a ritmo serrato eventi (le olimpiadi invernali di Cortina del 1956),
modificazioni territoriali (sfruttamento intensivo - a fini energetici - di ogni rivolo d’acqua del Piave e dei suoi
affluenti cambiando radicalmente il panorama delle vallate bellunesi) e nuove scelte insediative (il villaggio di
vacanze per i dipendenti Eni di Borca di Cadore) il cui portato a livello nazionale è una nuova idea di abitare
e sfruttare la montagna.
Con la mostra “la valle del moderno” si intende dare conto dal punto di vista degli esiti architettonici e di
trasformazione del territorio del fitto intreccio tra i temi legati alla produzione di energia elettrica e i temi legati
al godimento turistico delle Dolomiti, non più per una élite sociale ma per uno spettro sempre più ampio di
popolazione, grazie anche al diffondersi dell’automobile quale mezzo di locomozione familiare.
È proprio nella scia di una nuova dimensione di benessere diffuso a tutti gli italiani che fiumi e torrenti furono
imbrigliati, spuntarono nuovi laghi artificiali, le montagne furono traforate da chilometri e chilometri di gallerie
per il trasporto dell’acqua in pressione e migliaia di uomini trovarono nel lavoro per il colosso idroelettrico
veneziano (SADE) una momentanea alternativa all’emigrazione. Un’opera grandiosa, non c’è dubbio. Tuttora
fonte di energia preziosa per il nostro apparato produttivo e per il nostro stile di vita che di energia non sono
mai sazi. Con un piccolo corollario: l’apocalisse del Vajont. Dopo è un'altra storia.
Le vicende appena tratteggiate hanno suggerito la ripartizione della mostra in tre sezioni:
la prima sezione dedicata alla conquista elettrica, documenta i lavori infrastrutturali che hanno preceduto o
affiancato la vicenda del Vajont con particolare riferimento all’opera dell’ingegnere Carlo Pradella i cui
materiali originali (disegni e modelli) sono oggi custoditi dall’architetto Giorgio Pradella mentre le foto sono di
proprietà dell’archivio Saicam; la seconda sezione, dal titolo inventare la montagna, estremamente corposa, grazie al fondo Edoardo
Gellner dell’Archivio Progetti, documenta la meditata ricerca di una diversa idea di modernità da parte
dell’architetto bellunese - in cui coesistano architettura, natura e progresso - attraverso l’esposizione dei
disegni e dei modelli del villaggio di Borca di Cadore nel suo insieme e di alcuni suoi pezzi particolari quali la
chiesa (progettata in collaborazione con Carlo Scarpa), il campeggio, la colonia, nonché il diffuso benché
rado tessuto delle case - frutto di una continua variazione sul tipo messo a punto per questa straordinaria
occasione.
Nella terza ed ultima sezione della mostra, ricostruire la montagna, affiora e diventa pregnante il tema della
ricostruzione dopo il disastro del Vajont con tutte le ripercussioni legate alla necessità di recuperare l’identità
di luoghi e persone improvvisamente scomparsi con l’infrangersi di un’onda che diventa, nei disegni e
nell’opera realizzata degli architetti impegnati in tale fase, anche l’infrangersi del mito della modernità
progressista in favore di una idea di modernità in cui misura dell’uomo e vastità del paesaggio, non più in
conflitto, costruiscono un nuovo panorama. Attraverso i disegni e le opere per Longarone di Valeriano
Pastor (le case), gentilmente messi a disposizione dall’autore, di Costantino Dardi (la scuola), del gruppo
Avon e Tentori (il sistema dei collegamenti e degli spazi pubblici) del gruppo Zanuso, Avon e Tentori (il
cimitero) e di Giovanni Michelucci (la chiesa) e i diversi piani cui lavorano sotto la guida di Giuseppe
Samonà, C. Dardi, V. Pastor, G. Polesello, E. Mattioni, L. Semerani e M.Tessari, si disvela non solo l’abilità
di una generazione ma la passione e l’impegno civile profusi nell’affrontare un tema tanto difficile
sgomberando il campo da facili gesti retorici.
Inaugurazione 26 maggio 2010, ore 18
Aala espositiva Archivio Progetti
Cotonificio Santa Marta
Dorsoduro 2196, Venezia
apertura lunedì – venerdì 9.30 13.30
giovedì 15 - 17.30
chiuso sabato e festivi
ingresso libero