In mostra le tele dell'artista che indagano profondamente la realta': portando alla luce emozioni e sentimenti appartenenti al proprio vissuto e ribadiscono quanto l'ordinario possa essere straordinario nell'esperienza individuale.
a cura di Licia Spagnesi
La città, non vi sono dubbi, è Milano. Piazza San Babila, via Statuto,
la Chiesa dell'Incoronata, l'Arena. Ma la folla che osolitamente la
anima giorno e notte si è dileguata come per incanto. Al suo posto è
apparsa una gigantessa che si aggira per le strade curiosa e inquieta.
Una Venere dal corpo florido e dalla chioma bruna spia quel che si cela
dietro alle facciate degli edifici, attraversa a grandi passi un
incrocio senza curarsi della corsa sferragliante del tram, o riposa,
perfettamente a suo agio, accoccolata nel cortile di un palazzo. Nei
suoi nuovi dipinti Caterina Pini si è creata questo alter ego "fuori
misura" per viaggiare liberamente nello spazio e nel tempo, per
rimpicciolire la distanza che separa Parigi, dove vive e lavora, e
Milano, dove è nata e cresciuta. Ma c'è dell'altro. E' come se la
lontananza la spingesse a osservare il suo piccolo mondo da un punto di
vista differente. Come se le esperienze che hanno plasmato la sua
persona, gli affetti che l'hanno circondata, i luoghi che l'hanno
accompagnata per anni nella vita quotidiana le apparissero ora sotto una
luce del tutto nuova. Altre voci, altre stanze.
"Le tele della gigantessa esprimono la grande nostalgia che ho per la
mia città. Il desiderio di esserci in ogni momento viene così esaudito",
racconta con semplicità la pittrice, ma quel che colpisce di fronte alle
sue opere è la delicatezza con cui sa accompagnare in vita quel mondo di
apparizioni gravide di un'intensa emozione artistica, la facilità con
cui imbastisce storie impossibili attraverso immagini dirette, fragili e
potenti, mescolando stralci di ricordi e frammenti di vita che, seppur
ancorati alla realtà, propongono una dimensione altra.
La sua pittura mostra una grande ricchezza di riferimenti culturali. Le
modalità espressive fanno infatti leva su parallelismi iconografici,
contrasti e analogie con le formule pittoriche messe a punto dai grandi
maestri del passato. Si spazia dai primitivi toscani (il
non-naturalismo, le sproporzioni e l'occupazione fantastica dello
spazio) alla scuola del Novecento italiano, in particolare Mario Sironi
(la semplificazione geometrica dello spazio e il senso profondo di
appartenenza a un luogo legato al proprio passato non meno che al
proprio presente), senza però trascurare la lezione di Balthus (la
figuretta stilizzata di qualcuna delle sue fanciulle dall'aria un po'
selvatica e la dimensione onirica della rappresentazione, ottenuta anche
grazie a un uso sapiente del colore). Ma è Giorgio De Chirico il suo
nume tutelare. Come il Pictor Optimus, anche Caterina Pini sceglie con
cura elementi quotidiani e li nutre di una misteriosa intensità. Nei
suoi spazi cittadini deserti ritornano, variamente trasfigurati, gli
edifici a portici scorciati, le teorie di arcate e le file di finestre
quadrate delle celebri Piazze d'Italia; le ombre che si allungano sulla
strada, foriere di possibili apparizioni, metafora del doppio e del
rispecchiamento; e quel sottile velo di malinconia, quel sentimento di
solitudine che avvolge ogni cosa.
Citazioni che invitano a interpretare
le tele come scenografie teatrali cariche di simboli, pronte ad
accogliere la nuova Musa Metafisica, un'Arianna che pare uscita da una
magia di scoperte e meraviglia, origine di quel misterioso senso di
attesa e sospensione che domina tutti i dipinti. La vediamo mentre
scruta, attraverso una finestra, un episodio della propria infanzia: in
un interno un cagnolino festoso tiene compagnia a una bambina. La
ritroviamo mentre accarezza un palazzo, quindi appare nel chiostro di un
convento, o siede pensosa per terra, il corpo da gigantessa ormai
inadatto alle panchine che costeggiano il viale. Gli ambienti in cui non
è presente sono comunque riconducibili alla sua figura: un labirinto di
stanze che portano, forse, nei meandri dell'inconscio, una poltrona che
invita a sostare e a riflettere sul proprio mondo di fantasie e ricordi.
Gli elementi riferibili a De Chirico rappresentano dunque un calcolato
omaggio della pittrice milanese alla radice di un'ispirazione, un segno
di riconoscimento, un sigillo di fratellanza spirituale intessuto però
ai tratti di un lavoro originale, intensamente personale.
Nella sua
indagine della realtà, la Pini usa termini comuni che si
approfondiscono e mescolano con un effetto simile a ciò che succede
quando un insieme di parole diventano poesia. Le sue tele, portando alla
luce emozioni e sentimenti appartenenti al proprio vissuto, ribadiscono
quanto l'ordinario possa essere straordinario nell'esperienza individuale.
Quello di Caterina Pini è un percorso coerente nel quale l'artista è
andata maturando in modo sempre più netto la propria vocazione
pittorica. Figlia d'arte, comincia a dipingere molto presto, con i
colori a olio del padre che da ragazzo era allievo di Maimeri. Il primo
quadro è un ritratto del suo cane, dipinto durante una vacanza in
Toscana. Autodidatta, nei primi tempi mostra le sue prove al pittore
Andrea Picini, amico di famiglia. Dopo il trasferimento a Parigi, e la
nascita di un figlio, cinque anni fa riprende a lavorare con maggiore
costanza, abbandonando l'olio per sperimentare le possibilità espressive
di pastelli, acquerelli, matite e gesso su carta. La svolta ha luogo nel
2009, propiziata dal trasferimento dello studio in un grande atelier
circondato dal verde, alle porte di Parigi. Qui torna alla pittura su
tela e trova nell'acrilico la tecnica a lei più congeniale. Nascono così
gli interni, i paesaggi immaginari, il ciclo della gigantessa e le tele
dedicate agli alberi.
Non realizza bozzetti o studi preparatori:
"Dipingo a caldo: non disegno, non faccio prove, salvo magari accorgermi
che le dimensioni della tela non vanno bene per la composizione. Allora
ricomincio tutto daccapo", racconta la pittrice, e aggiunge: "I quadri
scaturiscono da immagini molto forti che si impongono e diventa per me
necessario dipingere". Spesso lascia che sia una macchia di colore o un
tratto a guidarle la mano e a suggerirle come completare la
composizione, che si costruisce lentamente con il colore, velatura dopo
velatura.
Licia Spagnesi
Inaugurazione sabato 18 settembre 2010, ore 19
alla presenza dell'artista
Duet gallery
vicolo Santa Chiara 4 / via Griffi 3, Varese
Orari: dal martedì al sabato dalle ore 15.30 alle 19.30 e su appuntamento
Ingresso libero