Tasaheel. La mostra personale presenta i lavori dell'artista egiziano invitato da Gabriele Perretta a riflettere su tre domande: Chi e' l'artista? Chi e' lo scacchista? Chi sei tu, caro artista mediteranno?
[...] «L’Oronte si getta nel Tevere, si diceva in un passato non così lontano. Il Mediterraneo è sempre stato un solo mare e una sola civiltà. Platone, Aristotele, Eraclito... sono a un tempo orientali e occidentali. Ricordiamoci l’origine di Europa, dea fenicia portata via da Zeus, cercata dal fratello Cadmos che offrì agli occidentali ... l’alfabeto. Se ci si limita alla poesia, per esempio, Dante, Rimbaud, sono tanto orientali che occidentali. I grandi creatori sono cosmici. Sì, bisogna lavorare a questa unione mediterranea, ma ciò implica che i grandi monoteismi si interroghino, non cerchino d’imporsi l’uno contro l’altro. Senza dubbio ci mancano oggi grandi pensatori come Averroè o Spinoza » [...] …
Caro Akkij, (*)
non ho la presunzione di invitarti ad amare l'arte con il trasporto e la partecipazione di cui solo tu sei capace. Non pretendo che tu faccia risuonare in te parole ormai lontane il cui eco, invece, non si è mai spento. Molto più modestamente cercherò di invitarti a riflettere sui tre termini che ti identificano: “artista”, “visionario” e “giocatore di scacchi”. Chi è l’artista? Chi è lo scacchista? Chi sei tu, caro artista mediteranno?
Secondo quanto ci dice la storia un “artista” è colui che sta afferrando qualcosa insieme agli altri. La parola “artista” deriva dall’ “applicazione a comprendere qualche cosa”. Quindi, in pratica, visto che tu, nel tuo ruolo di artista, devi “capire qualcosa” il solo modo per farlo è quello di “applicarsi per apprendere il gioco degli scacchi”. Qui la cosa si fa complessa, da un lato già imparare è faticoso, significa aggiungere cognizioni e saperi a quelli che già hai, in fondo significa fare spazio tra cose che non ti serviranno più e ordinare con cura ciò che di nuovo apprendi ogni giorno. Ma la cosa più dura, mi rendo conto, è quel fatto di doversi “applicare” per capire ciò che stai immettendo di nuovo dentro di te.
Passiamo al secondo termine. Tu non pratichi una disciplina qualsiasi, sei un “artista e contemporaneamente un giocatore di scacchi”, immagino consapevolmente. Per cui andiamo a vedere cos'è l'arte alla luce del gioco degli scacchi: l'arte è la disciplina che ha come scopo l'organizzazione dello spazio in cui vive l'essere umano; essa attiene principalmente alla progettazione e costruzione dell'ambiente costruito e nasce per soddisfare le necessità biologiche dell'uomo. La parola arte deriva dal latino ars, che letteralmente significava "metodo pratico" o "tecnica", unito a una connotazione legata alla bellezza degli oggetti prodotti. Nel medioevo esisteva già la parola artista, anche se il suo significato si avvicinava più a quello che oggi definiamo artefice, mentre era sconosciuta la parola artigiano: l'artista era colui che nel suo mestiere sapeva fare qualcosa meglio degli altri. Con la comparsa di caratteri estetici forti la pratica scacchistica invece si pone quale arte visiva dotata di proprie caratteristiche peculiari. Nella scacchistica concorrono quindi aspetti tecnici e artistici. “Credo che il gioco degli Scacchi sia magico per l’arte. Una partita fa dimenticare i reumatismi al ginocchio, ed altri eventi diventano insignificanti, paragonati ad una catastrofe sulla scacchiera. Una visita quotidiana al circolo di scacchi mantiene la vivacità, ed il contatto con la creatività, in particolare dona nuovi impulsi”. Vogliamo parlare di scacchi e attività artistica (il termine “ artisticità” oggi sa di malaugurio senza un confronto con la damiera). Anche se l’apprendimento della matematica può sembrare azzardato, non ce la sentiamo di scoraggiare chi, giunto alla soglia della crisi occidentale dell’arte,vuole impiastricciarsi i pensieri con Torri, Cavalli e Pedoni.
Specialmente se un simile esercizio viene svolto con altri coetanei in un parco creativo infinito ed internazionale. Nel gioco degli scacchi l’esercizio, la pratica di gioco e lo studio stimolano l’affinamento di una capacità nascosta, una sorta di seconda vista, un “terzo occhio” che permette di vedere mosse e varianti altrimenti invisibili. Non è una capacità innata, ma acquisita, come lo può essere quella della pratica artistica. Come in altri campi dell’attività intellettuale, il continuo esercizio e l’esperienza accumulata modificano qualcosa nel cervello. Cosa sia questo qualcosa non ci è dato saperlo né, ai fini del tuo lavoro, ci interessa saperlo con certezza! Quello su cui vorrei porre l’attenzione è il meccanismo sottinteso alla visione occulta, le radici motivazionali che nell’artista conducono e accompagnano l’analisi tattica di una posizione scacchistica che poi può essere anche una posizione estetica. L’aumento della capacità analitica non segue una progressione lineare; spesso ad apparenti periodi di stasi succede un’improvvisa evoluzione. Tuttavia il senso della posizione e la facoltà analitica affiorano lentamente. Devo dire che trovo tale definizione invasiva e post-duchampiana, ma mi basta per lasciarti capire la complessità del problema. Tu non applichi una scienza esatta, non pratichi norme e codici inamovibili, non eserciti neanche aspetti ignoti dell'universo che necessitano di una formula scientifica in cui essere racchiusi, tu esegui una materia il cui fine è quello di costruire il benessere fisico e psicologico dell'uomo secondo modalità che sono, evidentemente, a cavallo tra la tecnica e la visionarietà. Ecco quindi che il tuo “applicarti” diventa ben più complicato, non basta svolgere un esercizio con diligenza, non basta frequentare le “mosse assegnate dalle partite”, non basta eseguire il disegno come richiesto, si tratta di applicarsi così tanto affinché la conoscenza di materie separatamente apprese possano in te fondersi in una capacità espressiva e propositiva, e tu possa diventare lo strumento per costruire, un giorno, la visione dove l'uomo - cioè tu stesso - possa vivere adeguatamente con gli altri, tra le sue cose, svolgendo le proprie attività. Vedi, se nel capire generico c'è una grossa fetta di responsabilità di chi insegna, nell'imparare e nel mettere in pratica la strategia scacchistica prevale certamente la tua volontà, passione, capacità di apprendere sentendoti davvero responsabile di quello che vai a fare nei confronti dei tuoi simili.
Ecco, in parte, lo stato di impotenza - e a volte la rabbia - che pervade chi insegna arte e storia dell’arte senza poterla praticare liberamente. Metterti nella condizione di imparare alcune cose è, come si dice in matematica, “necessario ma non sufficiente”, ciò che completa l'apprendimento di quanto dato è la tua volontà: applicarti per capire, capire per fare, fare per saper fare sempre meglio. Chi insegna comprende che tale grande sforzo può essere compensato solo dalla passione e dall'amore per quello che si fa. Ed eccoci tornare a Marcel Duchamp. Ad un architetto/scacchista che invita ad amare il proprio mestiere e sentirsi parte di un gruppo di “poche persone” responsabili della qualità di vita della “maggioranza delle altre persone”. E quindi che fare? Esporsi all’amore per il gioco degli scacchi o per il gioco delle superfici virtuali dell’arte? Caro Akkij ti confesso che mi piacerebbe moltissimo fare solo quello che fai tu: “insegnare ad amare la scrittura come architettura visiva”, contribuire a costruire la passione di un artista in formazione e in potenza. Ma l'amore o la passione non si possono insegnare, tuttalpiù si possono “contagiare”. Si può cioè provare ad insegnare trasmettendo non solo il proprio - limitato - sapere ma anche la propria irrefrenabile passione, l'ineluttabile amore per ciò che si fa e per ciò che si gioca.Caro Akkij a maggior ragione, capirai che, a chi per gli altri mette in gioco sé stessi nell'addestramento e nella palestra dello svago cognitivo, non si può che rispondere allo stesso modo, dando tutto quello che si è in grado di dare come impegno, volontà e partecipazione. Altrimenti il rapporto non è bilanciato, anzi diciamo la verità, non c'è proprio alcun rapporto. Se non saremo d'accordo su questo, non solo non riusciremo nello scopo di istruire e capire, ma verrà meno la ragione stessa di stare insieme, intellettuali e artisti, e se ci stancheremo di questo, se non avremo più la voglia di condividere le nostre passioni – malgrado la fatica che ci costano – a quel punto, sono certo, non ci sarà più arte. Per questo ti invito a riflettere su ciò che sei e a pretendere sempre di più dalle “narrazioni del deserto” (les écrits de sable ). Anche l’arte e i segni grafico-artistici possono risultare un importante veicolo per promuovere una cultura di pace, di dialogo, per accorciare le distanze e cancellare, simbolicamente, i passaporti. Lo sai bene tu stesso le cui scritture, tanto quelle pubblicate che quelle inedite, sono dominate dal desiderio di conoscere l’altro, di fruirlo, di entrare in empatia col diverso. Poiché l’altro, il diverso, lo straniero, l’oppositore non è altro che una sfaccettatura di noi stessi. L’alterità ci appartiene, è soltanto una declinazione del nostro essere. L’Uomo non può essere sé stesso se non vive l’alterità. Ma per possedere l’altro, il diverso, l’estraneo bisogna prima conoscere bene noi stessi, la nostra identità, il nostro essere più intimo e profondo, altrimenti non si potrà mai accettare chi è diverso da noi. Solo così si accorciano le distanze, si avvicinano le culture, i popoli che, in fondo, sono fatti da persone come tutti noi. La mancanza di una conoscenza approfondita di noi stessi ci fa ripiegare in anguste posizioni di autodifesa –anziché aprirci ai più vasti orizzonti- e questo provoca l’aumento smisurato del manicheismo nelle società moderne (sia quelle occidentali che quelle orientali).
Il manicheismo provoca una netta frattura, una netta separazione tra opposti: il bianco/il nero; il ricco/il povero; il nord/il sud; i buoni ed i cattivi. Governare questo momento storico dominato da un manicheismo imperante è molto difficile. Riguardando gli ultimi tuoi lavori mi sembra che ne sei consapevole. Tuttavia, cerca di perseverare a livello linguistico praticando radicalmente il nuovo termine che hai visionato: Orcidente, ovvero l’unione fra oriente ed occidente, l’abbattimento delle barriere che dividono il globo. Così nelle tue figure è facile imbattersi in corporature solo apparentemente contrastanti come i plumbei e uggiosi paesaggi del Nord Europa accostati ai sterminati deserti sahariani; i quadri dei pittori fiamminghi possono essere associati alle architetture arabe degli architetti musulmani; il sacro insieme al profano. Non c’è dissonanza, tutto fa parte di un unicum. Questa dicotomia tra opposti che si incrociano e si incontrano è una caratteristica peculiare del tuo essere che si trasmette tra una mossa sullo scacchiere e nella parola, nei fonemi e nei grafemi delle tue visioni. Lo stesso pittore pensa in arabo (la sua lingua madre) ma scrive in italiano, in un codice che gli appartiene in misura inferiore. Il manicheismo, le nette contrapposizioni sterilizzano il pensiero umano rendendolo cinico e chiuso alle istanze di chi non è come noi. Fermare questa mentalità delle società moderne caratterizzate da una sempre maggiore chiusura mentale, dall’incapacità di accogliere ed integrare è un dovere etico e politico di tutti noi. Lo si può fare anche semplicemente leggendo le tue scritture che offrono al lettore nuove prospettive, nuovi mondi, nuove culture, nuove persone, tutte diverse le une dalle altre, ma tutte con lo stesso obiettivo: abitare in un mondo dove c’è più riguardo ed attenzione, tolleranza, disponibilità e reciprocità. Un mondo, insomma, un po’ più umano o forse umano e basta, quanto una partita a scacchi e la realizzazione de Le chef-d’oeuvre inconnu!
Il tuo vecchio Gabriele Perretta
*) Così viene chiamato Fathi Hassan da familiari e amici.
FATHI HASSAN nasce a il Cairo, da famiglia Nubiana,nel 1957. Il padre Hassan è Sudanese, sua madre Fatma originaria di Toshka (Kom Ombo - alto Egitto).
Una grande inondazione trasforma interamente lo stile di vita familiare ed è per l'intervento dell' UNESCO che le zone distrutte vengono in parte risanate.
E' la tradizione matriarcale di questa zona l'origine della mentalità artistica di Fathi ( Akkij ) . Il Cairo sarà il luogo dove vivranno la sua famiglia e i nonni : da proprietari terrieri benestanti diverranno semplici lavoratori. Il famoso scultore Ghaleb Khater è suo maestro nella scuola media Kerabia è sarà proprio l'affermato artista a scoprirne le sue doti creative. Come sarà proprio una famosa libreria egiziana " Madbuli " in via" Soliman Bashià", nel cuore della capitale a iniziare il giovane artista alle approfondite letture e alla conoscenza dell' arte italiana rinascimentale. Una borse di studio nel 1979 è l'occasione per l'ingresso alla Accademia di Belle Arti di Napoli, dove si iscrive alla sezione di scenografia con il Prof. Ottaviano. In questo luogo e periodo davvero privilegiati nel mondo della cultura artistica Hassan incontrerà nomi tra i piu importanti : Lucio Amelio,Filiberto Menna,Enrico Crispolti, Gabriele Perretta, Mario Martone ( con quest' ultimo sarà il moderno Otello "sognatore " assieme al gruppo Napolitano " Faslo Movimento " ) .
Si diploma nel 1984.
Fa parte della Nuova Generazione di arte italiana alla Fortezza Medicea a Firenze con l'invito di Enrico Crispolti, e con Edoardo di Mauro alla Nuova Tendenza di arte in Italia a Milano e Firenze nonché a Va Pensiero Arte Italiana dal 1984 a 1996 a Torino. E' la rivista Frigidaire attraverso un articolo ad invitarlo nelle Marche, a Pesaro, per realizzare una mostra alla galleria Deposito Figure: questa è l'occasione di trasferimento per l'artista . Nel 1988 è il primo artista africano presente alla sezione "Aperto 88 " - Biennale di Venezia . E' presente nella collezione del Metropolitan Museum of Art, Heilbrunn Timeline della storia dell'arte. Il lavoro di Fathi Hassan vive dentro un pensiero di " pittura - scrittura " : il pensiero Nubiano orale si conserva e si tramanda nei suoi " contenitori di memoria ". Il Deserto , il bianco e il silenzio divengono simboli e tracce dei suoi avi e della loro spritualità Nascono cosi opere come " Contenitore di Memoria, Sogni, Luce, Angelo, Safir, Africa, e ancora una serie intera di lavori dedicati alle figure di santi, guerrieri neri, Madonne, foglie , mappe del mondo sacro. Entra a far parte di prestigiose collezioni museali e private in tutto il mondo. Ottiene vari premi. Viene chiamato allo Smithsonian National Museum of African Art, Washington D.C, per un'installazione di scrittura murale all' interno del Museo nel gennaio 2002, grazie all' interessamento di Mary Angela Scroth di Sala 1 (Roma), che lo segnala anche alla Biennale di Dakar, e alla Biennale Arte Sacra a Teramo. Nel dicembre 2008 a Villa Pisani ( Stra ) Venezia è presente con un'antologica che racchiude vari momenti del percorso artistico.
Attualmente lavora con “ Rose Issa Projects “ di London ed è presente al British Museum collection and Victoria Albert Museum, London.
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