Tarzan Retired. Autodidatta e autosufficiente (costruisce da se con scarti e materiali poverissimi tanto le macchine fotografiche, che gli obbiettivi e gli ingranditori), nel corso di mezzo secolo Tichy realizza un ampio corpus di immagini, per la gran parte dedicate all'universo femminile, elaborando un tecnica personalissima, libera da ogni convenzione.
Guido Costa Projects conclude la stagione espositiva 2010 con la
prima personale italiana di Miroslav Tichy. La mostra si inaugurerà
sabato 6 novembre 2010, alle 19.00, in occasione di Artissima e della
consueta notte delle gallerie, e resterà aperta al pubblico fino al
22 gennaio 2011. Nato a Kyjov, nella Repubblica Ceca, nel 1926,
scoperto alla fine degli anni '80 da Roman Buxbaum, e introdotto al
pubblico dell'arte da Harald Szeeman, che per primo lo invitò ad
esporre, Tichy è un vero e proprio mito della fotografia
contemporanea ed un esempio straordinario di vita d'artista.
Diplomato all'Accademia d'Arte di Praga nel 1948, scopre la
fotografia nei primi anni '50, dedicandosi ad essa ininterrottamente
ed in totale isolamento fino alla prima metà degli anni '90.
Autodidatta e autosufficiente (costruisce da se con scarti e
materiali poverissimi tanto le macchine fotografiche, che gli
obbiettivi e gli ingranditori), nel corso di mezzo secolo Tichy
realizza un ampio corpus di immagini, per la gran parte dedicate
all'universo femminile, elaborando un tecnica personalissima, libera
da ogni convenzione.
Grazie a questa sua disinvoltura nell'uso dei
materiali fotografici, della luce e delle inquadrature, e alla
compulsività dello scatto, al limite dell'ossessione, Tichy precorre
inconsapevolmente molti aspetti dell'estetica contemporanea,
producendo un corpus unico per coerenza e qualità dell'immagine. Il
tutto sostenuto da una lucida consapevolezza esistenziale e
filosofica, tra Schopenhauer, l'atomismo ed il cinismo antico. Da
decenni, con rara determinazione, Miroslav Tichy vive ai margini
della società: elemento scomodo negli anni del socialismo realizzato
(ha passato quasi dieci anni tra carceri ed ospedali psichiatrici),
tollerato, ma pur sempre emarginato, in anni più recenti, ha avuto
nell'arte la sua sola ed unica compagnia.
Un'arte esercitata in
misura totalizzante, senza compromessi e risvolti utilitaristici,
senza un fine che non fosse la pura e semplice riproduzione della
realtà in se stessa. Un realismo radicale e disperato, quello di
Tichy, paradossalmente risolto in immagini dense di poesia, talvolta
astratte, ma sempre comandate da un uso magistrale della luce e dei
contrasti. La sua condizione di emarginato lo ha reso testimone muto
di una realtà in divenire, che per decenni ha osservato e riprodotto
come puro occhio e con un piacere assoluto per l'mmagine e le sue
forme.
Le sue opere sono giunte fino a noi per caso, grazie a Roman
Buxbaum, la cui famiglia proviene dallo stesso piccolo villaggio
della Moravia Ceca: in un lontano pomeriggio sul finire degli anni
'80, Tichy aprì un armadio della sua piccola casa-rifugio, zeppa dei
ricordi di una vita. E da li iniziò il miracolo della sua storia
ufficiale. Nell'armadio alcune centinaia di scatti, polverosi e
dimenticati, molti ancora con il loro passepartout disegnato a mano,
ritagliato da scarti e rifiuti. Un'intera raccolta di fotografie
uniche e bellissime, usate per accendere il fuoco durante l'inverno,
per riparare i vetri rotti della baracca, mai mostrate ad alcuno.
Per
più di quarant'anni, con al collo una delle sue macchine fotografiche
bizzarre e improbabili, che nessuno avrebbe mai immaginato
funzionanti, Tichy ha ritratto la sua cittadina e le sue donne,
pazientemente, stampando su frammenti di carta, dopo aver sviluppato
la pellicola in giardino, di notte, in una vecchia vasca da bagno.
Un'attività incessante, guidata da un dogma ferreo e irrinunciabile:
un certo numero di scatti al giorno per un numero definito di anni.
Soltanto quel numero e poi basta. Per sempre. Questi piccoli
capolavori passarono dalle mani di Tichy a Buxbaum e poi, per quei
miracoli irripetibili che talvolta ci riserva l'arte, finirono sotto
lo sguardo attento di Szeeman, che per primo nel 2004 li espose al
pubblico, in occasione della Biennale di Siviglia.
E da li la storia
di Tichy - una storia per lui ormai finita, dato che aveva
deliberatamente deciso di mettere fine alla sua produzione
fotografica -, ebbe inizio come in una favola a lieto fine. Miroslav
Tichy vive tuttora nella sua povera casa di Kyjov, da lungo tempo non
vuole più vedere nessuno ed esce assai raramente. Non è mai stato ad
una sua mostra, nemmeno a quella del Centre Pompidou, che nel 2008 ha
celebrato il suo ingresso nell'Olimpo della fotografia. Ride di chi
lo considera un classico e continua a lottare con i topi che fanno da
padroni nella sua dispensa.
Miroslav Tichy è nato a Kyjov, nella Repubblica Ceca, il 20 novembre
1926. Tra il 1945 e il 1948 studia all'Accademia di Belle Arti di
Praga. Nel 1950 si stabilisce definitivamente nella sua vecchia casa
di Kyjov ed inizia ad interessarsi di fotografia. Tra il 1950 ed il
1960 passa alcuni anni in prigioni ed ospedali psichiatrici. Nel 1989
compare il primo articolo su di lui nella rivista tedesca Kunstforum,
scritto da Roman Buxbaum e pochi anni dopo pone fine alla sua
produzione fotografica.
Nel 2004 le sue fotografie vengono presentate
al pubblico per la prima volta, alla Biennale di Siviglia, grazie ad
Harald Szeeman. Nel 2005 si ha la sua prima grande retrospettiva alla
Kunsthaus di Zurigo ed iniziano le mostre in spazi privati in Europa,
Stati Uniti e Giappone. Del 2008 è la grande mostra al Centre
Pompidou di Parigi e del 2010 la prima retrospettiva negli Stati
Uniti, all'International Center of Photography. La mostra è stata
possibile grazie alla collaborazione di Foundation Tichy Ocean,
Zurigo, e Kewenig, Colonia.
Inaugurazione Sabato 6 novembre 2010 - 19-24
Guido Costa Projects
Via Mazzini 24 - Torino
ingresso libero