Mercoledi' delle ceneri. Personale di scultura. 'Le teste di argilla della scena d'apertura sono polivalenti. Colte di sorpresa in espressioni comuni, esse mostrano la normale noncuranza, quasi infantile, nei confronti della morte'.
L'impressione è di assistere ad un espressivo mimodramma. L'attenzione è adescata senza tregua da un acuto lamento di sottofondo, che si consuma dietro le quinte e che stride con la scena iniziale.
Cosimo Rosa propone uno spettacolo che non necessita di una voce narrante che ne espliciti le intenzioni, né di un doppiatore che traduca in una lingua ignota ai protagonisti quanto vorrebbero comunicare. L’esposizione è capace di fare a meno di effetti speciali che attraggano e al tempo stesso addormentino lo sguardo astante.
L'artista, nella prima parte della mostra, riesce ad architettare una scena spoglia e coerente. Le molteplici teste che si atteggiano contemporaneamente o l'unica testa che si muove nel corso del tempo, direttamente a contatto con il pavimento e incorniciate da assi di legno, convivono senza precludersi la capacità di reggere una ad una la scena. Un effettivo dialogo sincronico sembra intrecciarsi ad un possibile monologo diacronico.
Le espressioni dei volti sono abbozzate con pochi tratti essenziali, attraverso una tecnica non ignara e non immemore del dettaglio della contingenza. Dietro le quinte, un video trasporta nel digitale la stessa incisiva pochezza di tratti. Ad emergere da un fondo bianco e spoglio come il pavimento, un volto o più identici volti che si animano tra gemiti e che singhiozzando si disintegrano nella cenere madre, in una naturale e necessaria coazione a ripetere. Mercoledì delle ceneri sintetizza i molteplici sensi che emergono a ripetuti sguardi, senza imporsi. Si tratta di un ambito semantico che ha nutrito senza mai saziare una ricca antologia artistica e filosofica e che viene qui riproposto senza illustri e secolari riferimenti, per fissarne le linee di forza essenziali. L'umana, troppo umana riflessione sul rapporto vita-morte.
A reggere le fila della rappresentazione è la paradossale onnipresenza della morte, colta tanto nel normale e vitale disinteresse nei suoi confronti, quanto nell'angosciante e non vitale consapevolezza che porta il paradosso a più completa maturazione. Come scrive l'artista “danzando nel dissenso la strada cade. Il ponte crolla e nel baratro precipita il fine./Il termine della condizione umana. Il limite dell'infinito”.
Le teste di argilla della scena d'apertura sono polivalenti. Per un verso, colte di sorpresa in espressioni comuni, esse mostrano la normale noncuranza, quasi infantile, nei confronti della morte. “Nella fretta di essere” i volti dimenticano la realtà della propria temporanea finitudine, assumendo sguardi senza età e al di fuori del tempo. Di qui il dialogo sincronico tra attimi di vita e tra molteplici volti, “piccole appendici autogestite regolate da ferree leggi di esistenza”. Per un altro verso, le teste fissano respiri di vita di una sola creatura, ripercorrendo espressioni assunte e mai più rivissute, momenti realmente trascorsi e già paradossalmente raggiunti dalla grigia immaterialità del ricordo. Di qui il monologo diacronico di un volto che tenta di ridare forma ai propri ricordi. “Nel dissenso vaga la certezza dell'immateriale/nella vita risiede la pluralità della morte”. Dietro le quinte, la riflessione è riproposta in chiave diversa. Si tratta stavolta non di dare sostanza alla normale relazione non problematica con la morte, né di mostrare le sue infiltrazioni quotidiane, ma di guardare da una maggiore distanza il ritmico andirivieni della vita. Una creatura si compone e si decompone accompagnata da una distorsione sonora.
La morte diventa madre e assassina del gesto artistico. Madre perché tipica fonte di ispirazione e di rivalsa; assassina per la sua capacità di corrodere ogni sovrastruttura conoscitiva e la sensatezza di ogni domanda e azione. L'artista mette in scena il nudo gesto artistico, senza pretese o attrazioni, cercando il contatto con il terreno della spontaneità e della delicata ignoranza e valicando il limite della conoscenza per attingere alla semplice comprensione. “Rimbalzare da un orizzonte all'altro. Espellere il ricordo, far marcire la memoria, produrre l'humus generativo necessario alla pratica artistica”.
L'appello allo spettatore è di partecipare, senza angoscia ma con consapevole realismo (come scrive l'artista “non vomitando la paura e non inghiottendo sogni”) all'inevitabile danza funebre del tempo che passa, riflettendo e riflettendosi sulla propria finitudine, per cogliere nel singolo attimo l'unico eterno di cui siamo capaci.
Federica Riviello
Inaugurazione 6 novembre ore 18
Paolo Tonin arte contemporanea
via San Tommaso, 6 - Torino
Orario di apertura dalle 10,30 alle 12,30 e dalle 15,30 alle 19,30 dal lunedì al venerdì, sabato su appuntamento
Ingresso libero