Familiar Abstractions. Un progetto inedito per il piano interrato della galleria, che presenta alcune sculture a pavimento ed una opera monocroma site specific di rilevanti dimensioni. Il lavoro di Johansson e' incentrato sulla raccolta e la maniacale misurazione degli oggetti.
Il 35enne artista svedese, apprezzato per i suoi spettacolari accorpamenti di oggetti d'uso comune (che spaziano dagli articoli più
minuscoli alle sorprendenti cataste di cargo container con tanto di trattori agricoli incastonati all'interno) allestirà un progetto inedito per il piano interrato della galleria, presentando alcune sculture a pavimento ed una opera monocroma site specific di rilevanti dimensioni.
L'opera di Michael Johansson si impernia sulla raccolta e la maniacale misurazione degli oggetti. Tale processo conduce l'artista
alla realizzazione di agglomerati eterogenei il cui significato minuziosamente calibrato e sempre differente. Forme e colori sembrano avvinte indissolubilmente, saldate da uno sconcertante magnetismo . Un oggetto comune quale una seduta, rappresenta per Johansson la metafora di uno spazio familiare da organizzare e riempire in ogni interstizio interpretandone
ogni volta la natura.
Michael Johansson (1975, Trollhattan, Svezia)
I Transformer artistici, ovvero, la filosofia dell'ossessione
Infine, dopo un laberinto di anditi e di scalette,
per stanzoni oscuri, ingombri di ogni sorta di roba,
mucchi di fave e di orzo riparati dai graticci,
arnesi di campagna, cassoni di biancheria,
arrivarono nella camera della
baronessa, imbiancata a calce…
Giovanni Verga, Mastro Don Gesualdo (1889)
“Il mondo fallirà se i Paesi ricchi
non consumano più.”
Il Presidente Brasiliano
Lula al G20 di Seul
(11 Novembre 2010)
Combustione Ossessiva
Partiamo dall’apparenza. Uno può dire, delle opere di Michael Johansson: “sono le solite accumulazioni di oggetti”. Di roba. È ciò che sembra, soprattutto se immergiamo l’esperienza e la fruizione di questi oggetti nel flusso continuo e distratto di stimoli e informazioni (a ben guardare, un’altra forma - più pervasiva - di accumulazione…).
Ma proviamo ad estrarla, ad astrarla (Familiar Abstractions): quello che ci sembrava così familiare e riconoscibile, riconducibile senza troppo sforzo ad una tradizione per giunta declinante, si arricchisce di elementi “perturbanti”. La produzione di questi oggetti compositi e solidi è frutto di un processo dichiaratamente ossessivo. L’ossessione è la griglia che struttura e articola le parti nel tutto: l’ossessione mira a ordinare il caos, a dare forma alla dispersione.
Mentre sto scrivendo, gli oggetti si raccolgono, si accumulano quasi per conto loro. Si posizionano provvisoriamente, in una fase ancora pre-ordine, pre-forma, pre-ossessione. Questi oggetti sono prodotti industriali, beni di consumo comune, utensili di uso quotidiano: in partenza sono quasi sempre privi di una particolare aura ‘propria’, dovuta ad un determinato prestigio del design o dell’autorialità. Possiedono invece, collettivamente, l’aura del luogo di provenienza, o per meglio dire del contesto fisico, storico ed emotivo, dell’ecologia culturale di cui fanno parte integrante.
Trasfigurazione
Quest’aura comune, il senso del luogo (sense of place), è dunque il punto di partenza e di arrivo al tempo stesso delle opere di Michael Johansson. È qualcosa che risiede negli interstizi tra l’identità dello spazio e la storia della comunità: gli oggetti come tracce dell’esistenza, come reperti di un’archeologia del presente. È, al tempo stesso, qualcosa che non coincide affatto con il concetto di “site-specificity” comunemente inteso. L’anima del luogo non è uno semplice pretesto, così come la riflessione sullo spazio non è meramente strumentale. La vita precedente di questi oggetti assume un significato nuovo nel corso dell’operazione: nell’assemblaggio, essi vengono trasformati. Il valore consolatorio del consumo diventa – all’opposto - ars combinatoria. È come se l’identità storica, connotata, assumesse un’aria fantascientifica: la parte familiare, vecchia, ne annuncia un’altra del tutto sconosciuta, a tratti anche minacciosa. Ma commovente.
La rete mentale e operativa che tiene il tutto ci appare al tempo stesso fragile e ineludibile. Ogni pezzo occupa il suo spazio, e non un altro: quella posizione è predeterminata, quasi predestinata. Il montaggio non potrebbe avvenire in un’altra maniera, semplicemente. Ogni frammento è collegato agli altri, e quel legame è, da quel momento in poi, indissolubile. Non possiamo semplicemente immaginare che quell’oggetto torni alla sua vita precedente, funzionale, nonostante quest’ultima ci sia continuamente presente.
Illusione & Rivelazione
Il passaggio ulteriore – recente nei lavori “ambientali” di Michael Johansson – è quello di mostrare ciò che sta dietro il piano illusorio dell’arte: il caos della realtà dietro (e dentro) l’ordine ossessivo della composizione. Questo “dietro” rivela il processo, e funziona al tempo stesso come metafora del tutto. Ho visto di persona come una delle prime preoccupazioni di Michael Johansson, quando si appresta a valutare un luogo e una posizione per il suo lavoro, sia quella di verificare se gli spettatori possano guardare dall’alto: vale a dire, se sia necessario prevedere un quarto lato dell’opera. Il quarto lato è un po’ come il quarto stato: è la sede della costruzione, l’aspetto in cui il processo si svela e al tempo stesso lascia intravedere il velo della realtà. Non è un caso che questo dispiegamento dell’illusione avvenga solo dopo aver acquisito il pieno controllo di questa meravigliosa pratica ossessiva: rappresenta infatti il senso di un’indagine nella struttura del mondo.
Le opere di Michael Johansson sono fantasmi di oggetti composti da altri oggetti, convocati e adunati per costruire un nuovo senso. Sono - in modo solo apparentemente paradossale - fantasmagorie costruttive. Fantasmagoria: “1. Rapida successione di immagini, luci e colori; 2. (fig.) Congerie di concetti, idee, dati, elementi che lascia confusi.” Scavando più a fondo, l’etimologia del termine: “dal gr. phàntasma fantasma e agorèyo parlo [propr. in adunanza], da agorà concione, discorso - Arte di parlare ai fantasmi, cioè di chiamarli, di farli apparire e realmente di fare apparire delle figure luminose in fondo a una profonda oscurità: lo che avviene per mezzo di una lanterna fornita di lente; per analogia in letteratura, abuso di effetti prodotti con mezzi che ingannano lo spirito, come la fantasmagoria inganna l’occhio.”
Christian Caliandro
Inaugurazione giovedì 13 Gennaio 2011 dalle ore 18.30
The Flat - Massimo Carasi
Via Frisi 3, (Porta Venezia) Milano
orari galleria: dal martedi al sabato ore 14.00 - 19.30 / festivi su appuntamento
ingresso libero