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9/3/2011

Marco De Sanctis - Antone Israel

ArteContemporanea, Bruxelles

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Pas Moi allude alla dialettica di comunicazione e incomunicabilità: fare posto all’altro è indispensabile per esprimersi, ma è anche una maniera di negarsi, o di rimettersi a un giudizio esterno. Passo necessario per resistere al narcisismo e conseguire un riscontro dell’opera e della stessa esistenza propria. L’identità, di conseguenza, non si riconosce se non attraverso una tensione estraniante, in bilico fra disconoscimento e riconoscimento reciproco; ma la tensione, infine, mira all’equilibrio, a un paradossale monologo dialogico o dialogo monologico (Beckett), che restituisca l’essenzialità della vita di relazione dell’artista. Una relazione, quindi, di estraniamento sinergico: De Sanctis e Israel collaborano senza compromessi, restando più che mai se stessi. Si muovono sulla stessa frontiera della ricerca, incorporando il medium e la tecnica nell’opera, accettando, anzi pretendendo, esiti inaspettati, disfunzionali, talvolta instabili.

Marco De Sanctis, nato: 1983 a Milano, Italia, vive e lavora a Bruxelles e Milano
De Sanctis Marco De Sanctis è artista versatile, ma non eclettico. Formato a tutte le tecniche da un curriculum che spazia, con indole sistematicamente esplorativa, dalla pittura, alla scultura e all’animazione, avrebbe potuto correre il rischio del virtuosismo, del compiacimento. Un po’ l’equivalente degli effetti speciali al cinema: grande padronanza dei mezzi/linguaggi, senza molto pensiero dietro. Invece, la tecnica più meticolosa, mutuata dagli studi di incisione, la sapienza delle animazioni, l’accuratezza registica delle sue storie o deliri, non sono fini a se stesse. Come egli stesso dice, “lavoro e ricerca sono un’opportunità di prendere per dare: fare domande, raccogliere note, osservare”: l’attenzione si concentra quindi sul processo di ideazione, su un concetto, subito fissato in una forma, o un insieme di forme, in uno spazio-tempo parallelo. La tecnologia realizzativa, la convenzione linguistica (il significante) non fa che veicolare il significato, ciò che sintetizza il senso dell’opera, ciò su cui l’artista vuole attirare l’attenzione.

Antone Israel, nato 1988, a Brussels, Belgio vive e lavora a Brussels
Israel è uno dei pochi artisti perfettamente in grado di descrivere il proprio lavoro, combinando la sobrietà e la precisione dello specialista esterno con la passione dell'autore per guidarci alla comprensione del suo originale, nitido e complesso percorso di ricerca: "Il mio lavoro si concentra sulla cattura dell', é cinema nel senso più ampio, e del cinema ha il meccanismo, la tecnica, il contenuto narrativo. Non saprei, quindi, come veramente definirmi: installatore cinefilo o cineasta plastico? Tutti e due, magari". Indipendentemente da precise classificazioni, che arriveranno col tempo, Israel padroneggia con piena consapevolezza i materiali usati e la dimensione temporale del suo lavoro; é il termine proprio, e s'intende che si riferisce all'attività creativa in quanto tale. Costruendo le sue installazioni, l'artista dà vita a inedite, sorprendenti, associazioni, lascia agire una fisica di azione e reazione fra i loro elementi, le cui forme cangianti trasmettono uno sguardo poeticamente dinamico sul reale.

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Pas Moi alludes to the dialectic of communication and incommunicability. Although one cannot express herself/ himself without making room for the Other, this very opening may bring about self-negation, or at least dependency from an external arbiter. While ensuring an antidote to narcissism, and thus granting an proof of the artist's work and her/ his very existence, the Other’s point of view defies identity, submits it to an estranging tension, the tension between self-disavowal and self-recognition (in and by the other). The sought-for end outcome, though, is equilibrium, a paradoxical dialogic monologue, or monologous dialogue (Beckett), aiming at capturing the core of the artist’s relational life. A relation, then, of synergic estrangement. De Sanctis and Israel strike up an uncompromising cooperation: while fully keeping their identities, they share the same research border as their works incorporate the techniques and media used for their realisation. In so doing, they do accept, indeed they want, to generate unexpected, dysfunctional, and sometimes unstable meanings / visions. Rosa Anna Musumeci

About artists

Marco De Sanctis, born 1983, in Milan, Italy; lives and works between Brussels and Milan.
De Sanctis is both a versatile and a non-eclectic artist. Being familiar with most techniques, thanks to a systematically researching attitude and a curriculum ranging from paintings to sculpture, to art-animation, he could have slipped into virtuosity, or self-condescension. Something like mere special effects, the mastering of tools/languages with little meaning attached. Vice versa, the most meticulous technique (learned through the engraving classes), the skilful animations, the directorial accuracy of his stories, performances or frenzies, are far from an end in and by themselves. “Working and researching are my own way of taking and giving: I ask questions, I gather notes, I watch”: attention thus focuses on the ideation process, a given concept, and the latter is immediately translated into one, or several, forms, taking place within a parallel, space-time dimension. Technology here is just a linguistic convention (the significant) designed to convey the signified, i.e. what gives the work’s meaning, what the artist wants to put in the forefront.

Antone Israel, born 1988, in Brussels, Belgium lives and studies in Brussels
Israel is one of the very few artists which I deem fully able to describe his work and his projects: he combines the soberness and the precision of the competent external observer with the author’s passion to drive us toward understanding his original, complex and neat research’s design: “My work focuses on capturing the , is by and large akin to cinematography, and shares the latter’s mechanisms, techniques, and narratives. Thus, I would not easily find a self-definition: cinephyle installator, or plastic cineaste? Both, may be”. Apart from classifications, that might come about later on, Antone is perfectly aware of the relationship with the materials and the time dimension of his work; the latter is dubbed , an adjective alluding to creative activity itself: by assembling his materials, the artist generates new, and surprising, connections, a physics of actions and reactions whose changing shapes materializes a dynamic meaning.

Image: 2011 photo De Sanctis Israel
Courtesy ARTECONTEMPORANEA Bruxelles

Opening 10 March 2011

ARTECONTEMPORANEA dir. Rosa Anna Musumeci
22, rue des Chevaliers - Bruxelles
opening hours: Tue -Fri by appointment
free admission

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