Mono-Cycles. "Ogni opera e' concepita come un ciclo, un sistema epistemologico autonomo, e trovo l'idea di 'mono', e in generale l'idea di 'univoco', molto pertinente per definire un atteggiamento scientifico ricorrente."
DAVIDE BERTOCCHI MONO-CYCLES
Scegliendo come titolo della tua personale ‘Mono-Cycles’ ti relazioni direttamente sia alle opere in mostra sia ad una particolare visione della
scienza e di conseguenza della tecnologia, slegata da ogni concetto di progresso.
- Si infatti ogni opera é concepita come un ciclo, un sistema epistemologico autonomo, e trovo l’idea di “mono”, nella sua
accezione di “univoco”, molto pertinente per definire un atteggiamento ricorrente in ambito scientifico. Infatti, dall’inizio della
sua storia, la conoscenza scientifica si é sempre rivelata come una successione di modelli e di tentativi di interpretazione delle
questioni fondamentali come l’origine dell’universo e della realtá che ci circonda.
Un monopolio scientifico che si é assunto la presunzione di spiegare tutto. Infinite ipotesi ed enunciati, ma la risposta principale
resta comunque e sempre sconosciuta.
- Personalmente mi affascina questa reticenza ad ammettere che forse la sola Veritá é che l’uomo non é stato programmato per
sapere tutto e quindi, forse, l’immensitá di ció che non conosciamo, che lo si accetti o no, resta comunque la nostra più grande
libertá.
Una libertá che appare a repentaglio nelle sequenze da laboratorio di ‘Nice-Time-Lab’ e nelle premesse che hanno portato alla realizzazione
dell’altro tuo video in mostra,‘The Building’. Come sono nati i due progetti e da cosa sono legati?
- Come puoi vedere in entrambi i lavori ci sono elementi che appartengono all’iconografia scientifica come le tute bianche da
laboratorio che indossano i personaggi dei due video ed anche un certo tipo di estetica, volutamente riprodotta, in modo da
simulare il linguaggio scientifico.
Tuttavia, i presupposti nei due lavori sono abbastanza distanti:‘Nice-Time-Lab’ é quello che piú si avvicina all’idea di esperimento.
Si tratta di una serie di veri e propri tentativi empirici di cavalcare un monociclo. Un’attivitá senza una particolare funzione
pratica ed economica. Un movimento inutile, ma carico di implicazioni filosofiche, esistenziali. In ogni sequenza mi si vede alle
prese con il monociclo e puntualmente i tentativi sono seguiti da un fallimento... se diamo per scontato che il fine sia di riuscire
a cavalcarlo. Per me in realtá lo scopo era il tentativo stesso compreso il suo fallimento, l’utilizzazione del tempo, compiere
un’azione priva di ogni funzione, un pò come quando si fa un attivitá in vacanza. In sintesi é un lavoro sul tempo concepito
durante una mia residenza a Nizza, alla Villa Arson, dove l’elemento più straniante della cittá e del luogo di residenza era per me
proprio questa percezione dilatata del tempo.
‘The Building’ invece nasce come mia intima reazione ad un luogo speciale, uno dei tre edifici che hanno resistito alla bomba
atomica di Hiroshima. Si tratta della Bank of Japan, un edificio utilizzato subito dopo l’esplosione come camera ardente e rifugio.
Appena sono entrato ho percepito qualcosa di strano come se l’edificio fosse ancora abitato da presenze dell’epoca.
Inoltre tutto é rimasto intatto al momento dell’esplosione, anche gli orologi. Ho avvertito il bisogno di utilizzare il luogo piú
inquietante cioé il corridoio che circonda la cassaforte centrale nei sotteranei. In ogni angolo di questo corridoio vi sono degli
specchi che servivano ad avere una visione globale dello spazio. Una specie di sistema di sorveglianza ante-litteram.
Il personaggio (entitá ibrida tra il ricercatore e il fantasma) che cammina lungo il corridoio si rispecchia ad ogni angolo fino a
quando la videocamera si ferma e, invece di seguirlo, si fissa sulla sua immagine riflessa che continua a camminare e che a sua
volta scompare all’interno di uno specchio. Forse che ció li accomuna é una certa assurditá dell’azione...
Nelle tue creazioni assistiamo spesso ad un ribaltamento di prospettiva netto rispetto ad oggetti d’uso comune. Il tuo utilizzo ‘libero’
di semplici laser in ‘Orbite’ ha portato ad esempio ad un’installazione in cui e’ il caos a risultare l’aspetto dominante, il tutto a partire da un
oggetto che ha nella precisione la sua peculiarità.
- Mi sono sempre interessato ai modelli geometrici e matematici complessi, alla loro precisione e alla apparente “sublime”
perfezione. Anche in questo caso il lavoro nasce da un esperimento cioé dalla sovrapposizione di sei di queste proiezioni laser che
singolarmente formano figure apparentemente perfette.
Il risultato di questa semplice azione é una struttura ancora più complessa che si avvicina ad una forma caotica.
Per me é quindi evidente che il caos é una forma talmente complessa e precisa per cui la sua comprensione, e perfino la sua
semplice visualizzazione ci risulta impossibile, sfuggevole. Una forma di ordine evoluto a noi incomprensibile.
‘Tropicalnocturnalpastiche’ mette in rilievo un rapporto quanto mai attuale tra fascinazione e paura, sintetizzando in un paradosso uno dei
possibili, fallimentari, utilizzi dei risultati di una delle ricerche scientifiche chiave del Novecento.
- Si è un lavoro composto da 25 immagini di test atomici eseguiti in luoghi considerati paradisi tropicali: dalle Isole Bikini agli
atolli del Pacifico a Mururoa. Oltre all’assurdità dei test in generale (piú di 2000 - ! - dal 1945 ad oggi), in queste immagini
si manifesta chiaramente una vera e propria tendenza distopica della scienza proprio per il luogo scelto per effettuare tali
esperimenti. Inoltre mi interessava l’idea di bellezza spaventosa, diabolica, quasi romantica, che sprigiona ogni immagine,
considerando l’esplosione nucleare anche come evento di espressione semi divina.
Una dimostrazione che in fondo i principi fondamentali dell’universo sono stati si riprodotti e parzialmente dominati dall’uomo...
ma in modo piuttosto impacciato, perverso e inquietante.
In ‘Passato, Futuro’ il tuo progetto punta a sovvertire non solo la funzione d’uso di una sveglia anni ‘70, ma anche e soprattutto la concezione
di ‘tempo presente’, che tende abbastanza naturalmente a dissolversi nel succedersi casuale di orari differenti.
- La vera chiave di lettura é nel titolo dell’opera. Attraverso una piccola modifica, effettuata nei circuiti di questa sveglia
elettronica, l’ora cambia all’improvviso ed é decisa in modo aleatorio, quindi la possibilitá di mostrare l’ora attuale é
praticamente impossibile. É sempre prima o dopo, passato o futuro, ma quasi mai presente.
Volevo mettere in discussione la nostra ossessione per la sincronizzazione guardando alla percezione del tempo nello spazio
assoluto. Non é il “Tempo” su cui agisco (purtroppo ancora no!), ma sulla nostra percezione di esso tramite i numeri casuali di
una vecchia sveglia.
C’e anche poi un’altro livello di lettura che é legato all’oggetto: una sveglia anni ‘70 arancione, che rimanda inevitabilmente al
celebre film “Arancia Meccanica” di Kubrick (appunto “A Clockwork Orange”) dello stesso periodo. Perfino il nome della sveglia
é “Alex” come il nome del protagonista del film. Tutto ció é puramente casuale.
Questo lavoro é in un certo senso un’apologia al random...
Intervista realizzata nel mese di Febbraio 2011, a cura di Marco Nember.
Inaugurazione: Sabato 2 Aprile 2011, ore 17.30
L'Ozio
Ferdinand Bolstraat 26 - Amsterdam
Orari: Dal martedì al sabato, dalle 12 alle 15 e dalle 18 alle 20. Tra le ore 15 e le ore 18 solo su appuntamento.
Ingresso libero