Less is more. ''La sua nozione di monocromo prescinde dalla levigatezza assoluta fortemente spiritualizzata dei dipinti di Yves Klein per ricercare una materia scabra'' (Marinetta Picone Petrusa).
Less is more ossia il meno è il più questo era il motto di Ad Reinhardt che in qualche modo è stato poi esteso a tutta l'arte minimal fra la fine degli anni '60 e i primi anni '70 del XX secolo. Tuttavia questo motto potrebbe legittimamente riferirsi alla maggior parte dei percorsi che hanno condotto e che conducono all'arte astratta (o concreta, che dir si voglia). E questo, secondo due differenti ed opposte intenzionalità poetiche: l'una puntata a significati immanenti, ottenuti attraverso la sottrazione degli elementi significanti fino ad un numero veramente esiguo di segni, tesi ad un'esibizione linguistica totalmente autoreferenziale; l'altra indirizzata a significati trascendenti, per cui il meno meno finisce per identificarsi con il più, alludendo di fatto ad una dimensione infinita ineffabile, a qualcosa di indeterminato che sta oltre.
Il percorso di Antonio Armano inizialmente sembra appartenere al primo tipo di astrazione, in quanto segnato profondamente da un desiderio di sperimentazione linguistica che non teme di sfidare tutte le convenzioni pittoriche tradizionali, nel mescolare olio e smalto, acrilico e smalto, e soprattutto tempera e smalto fino a determinare reciproche reazioni fra i componenti, controllando con grande rigore quello che solo in parte é controllabile.
Eppure osservando i suoi esordi e le conquiste via via conseguite, analizzando la sua ansiosa ricerca di uno shock emotivo e il carattere esigente ed intransigente di questa stessa ricerca, non si può non intravedere un'aspirazione a varcare la soglia dell'oggettività e dell'oggettualità verso quello che Malevic definiva il mondo della non oggettività.
Le sue opere più antiche rappresentavano di tanto in tanto, pur nell'articolazione di poche superfici cromatiche, icone riconoscibili, stelle, soli, finestre, le recenti invece costituiscono un approdo a pitture monocrome o al più bicrome totalmente astratte, appena inquadrate da cornici pittoriche in contrasto cromatico (in genere bianche) oppure consistono in inquiete stesure di tracce verticali che, nella loro sequenza, sembrano condensare in astratto la dimensione spazio-temporale dell'uomo con la sua condizione storica ed antropologica.
Eppure, nonostante l'apparente diversità, la ricerca di Antonio Armano insegue da sempre un solo obiettivo, che tuttavia nel tempo è diventato più criptico, celato da un'istanza metaforica propria delle elaborazioni poetiche, imboccando la strada di quella che oserei definire una metafisica immanente.
Le superfici dei suoi dipinti ci danno in questo senso dei segnali ben leggibili: la sua nozione di monocromo prescinde dalla levigatezza assoluta fortemente spiritualizzata dei dipinti di Yves Klein per ricercare una materia scabra che ad ogni passo si frattura e lascia intravedere qualcosa che sta al di là del primo piano visivo; si determina così un'alternanza di matto e lucido, di bianco e nero, di azzurro e oro, di ruvido e liscio di compatto e di frammentato: tutti varchi infinitesimali verso un oltre dove il più ed il meno probabilmente coincidono.
Non sono in grado di dire se l'irrequietezza che trapela attraverso la pelle tormentata da infinite craquelures dei suoi dipinti nasconda un'aspirazione addirittura mistica. Sarei portata ad escluderlo. Di sicuro svela un'ansia di conoscenza, propria dell'uomo, che si apre contemporaneamente agli abissi del cosmo ed a quelli della psiche.
Testo critico a cura di Marinetta Picone Petrusa
Vernissage 11 giugno ore 19.30
Galleria Gino Ramaglia
Via Broggia, 10 - Napoli
Orario: lun-sab 10-20
Ingresso libero