Distanze e incontri. In mostra una serie di opere pittoriche dell'artista, a cura di Tommaso Evangelista.
A cura di Tommaso Evangelista
Del Profondo.
Tra le opere più significative del Novecento che mi hanno da sempre colpito colloco di certo The Deep di Jackson Pollock. La tela, conservata oggi al Centre Georges Pompidou, è del 1953 e tra gli ultimi lavori dell’artista statunitense e si caratterizza per il superamento della bidimensionalità piatta e gestuale verso uno scavo in profondità, nella materia del colore. Dove prima il vortice di tracce annullava lo spazio e l’orizzontalità del piano si tramutava in assenza di spessore superficiale, ora l’indagine avviene in verticale e punta a far emergere dal profondo una qualche forma che squarcia il bianco mostrando una sorta di ferita vaginale o un qualcosa di nascosto che sembra respirare e strisciare sotto l’epidermide della tela.
Una pittura al contrario, quindi, capace non di aggiungere ma di liberare le sagome dall’oscurità/profondità oceanica di un abisso cosmico/psicologico. Nelle opere di Di Marco mi pare, per tanto, proprio di ravvisare questa modalità costruttiva dove la scansione ritmica è sostituita da un movimento più sotterraneo che sembra trattenere il colore per poi fare uscire solo alcune macchie. L’emersione del colore dall’interno della superficie comporta conformazioni irregolari di chiazze in zone più o meno saturate e ciò permette che l’opera non si perda nel puro informale ma sia capace di suggerire, nella lontananza data dal filtro esterno di colore, un paesaggio verosimile, misterioso e sensuale come un fondo di Boldini. C’è infatti nell’atmosfera complessiva, negli accordi cromatici, nei giochi di luce, in alcune masse dalle linee arabescanti un che di esotico o, meglio ancora, di arcaico nel tentativo di ricreare un ambiente magmatico e primitivo dove gli elementi, per cause di non perfetta aggregazione, sono dispersi ancora in forme caotiche nella ricerca di una definizione.
Anche quando l’opera più si avvicina, nella ripartizione della tela e nell’uso di certe tinte simili ai colori industriali usati da Mario Schifano, ad un certo post-paesaggio pop si avverte in fondo un’ingenuità creativa che cerca l’autenticità delle prime impressioni. I confini si smarriscono e dal buoi luminoso della profondità della tela affiorano, come impronte, sensazioni personali in una sorta di surrealismo simbolico, legato all’inconscio, che sembra mettere quasi un diaframma impolverato e sporco davanti ai paesaggi di Tanguy per poi riproporli ormai ridotti a screziature partendo sempre dai livelli più lontani. L’energia interna, così, rimane volutamente celata e l’astratto, seppur emozionalmente carico, si spegne in un gioco di forme accennate e di colori capaci di suggerire un “mistero” ma mai di mostrarlo.
Tommaso EVANGELISTA
Inaugurazione: sabato 3 settembre 2011, ore 21
Officina Solare Gallery
Via Marconi, 2 Termoli
Apertura: tutti i giorni compreso i festivi dalle ore 21.00 alle ore 23.00
ingresso libero