Nowhere (Ex sede Galleria Romberg)
Roma
piazza de Ricci, 127
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Cosa si prova ad aver un suono in testa? 2
dal 23/9/2011 al 3/11/2011
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Segnalato da

Elena Abbiatici



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Elena Abbiatici



 
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23/9/2011

Cosa si prova ad aver un suono in testa? 2

Nowhere (Ex sede Galleria Romberg), Roma

Traccia Costruzione di una metafisica dell'assenza. Una collettiva a cura di Elena Abbiatici e Valentina G. Levy che guarda alla filosofia di Jacques Derrida. In mostra Emanuele Becheri, Igor Bosnjak, Donato Piccolo, Cesare Pietroiusti.


comunicato stampa

a cura di Elena Abbiatici e Valentina G. Levy

Emanuele Becheri, Igor Bosnjak, Donato Piccolo, Cesare Pietroiusti

Il processo filosofico di decostruzione della "metafisica della presenza" postulato da Jacques Derrida nacque, com’è noto, nella sfera d’influenza culturale dello strutturalismo francese, con una volontà sovversiva dichiarata dallo stesso filosofo, che minava la stabilità del sistema attraverso il sovvertimento delle strutture e la loro ridefinizione concettuale. Pur restando nello stesso campo d’indagine, abbiamo provato a innescare un meccanismo parallelo, e in qualche modo contrapposto, alla decostruzione della metafisica della presenza di Derrida, attraverso il tentativo di costruire una metafisica dell’assenza, non contaminata da richiami strutturalisti. Se la decostruzione si fonda sulla differenza quale elemento che serve a rivelare l’altro, il diverso appunto, il percorso di costruzione qui proposto si fonda piuttosto sull’analogia, la vicinanza, la similitudine e la condivisione, che sottolineano non solo l’interdipendenza di due elementi opposti, ma anche l’impossibilità di tracciare una netta definizione tra i due. Così l’assenza è suggerita dalla presenza (e viceversa) senza che nessuna delle due entità possa mai considerarsi assoluta.

Su questa linea di pensiero si colloca la serie di lavori su carta, mai esposti prima, realizzati nel 1979, da Cesare Pietroiusti (Roma, 1955), frutto di uno studio sull’assenza e la devianza.[1] Di Pietroiusti anche il pensiero non funzionale “Entra in una stanza vuota e fai l’elenco di tutto quello che c’è dentro” (settembre 2011) realizzato da un uomo ed una donna (Max Wayne e Olga Matsyna), chiamati – in un’operazione site specific - a descrivere minuziosamente, analiticamente e ossessivamente tutti gli elementi presenti in una stanza vuota, chiusa e inaccessibile al pubblico, rivelando così tutta l’opinabilità della definizione di “stanza vuota”.

Sempre al pianterreno, si trova la scultura Dream Machine (2010) di Donato Piccolo (Roma, 1976) composta da un cilindro d’acciaio supportato da quattro gambe con ruote pivotanti, illuminato al centro di blu dalla cui testa s’elevano anelli e nuvole di fumo di differenti dimensioni. L’emissione del vapore varia in funzione dei movimenti dell’osservatore rilevati dai sensori della macchina. L’interazione tra opera e fruitore, di fatto, motore del fenomeno, è quindi invisibile, ma essenziale. Il vapore acqueo evoca l’immagine del sogno, da sempre, luogo di confine fra realtà e trascendenza, tra mondo materiale e mondo delle idee, rappresentandone l’aspetto tangibile. La macchina dei sogni è accompagnata da disegni preparatori, esposti nella stessa sala.

Al piano interrato Emanuele Becheri (Prato, 1973) con l’opera audio Après Coup, montaggio di suoni, di durata diversa, prodotti dalla combustione di tre accendini, registrati su tre LP in vinile. L’opera nasce dalla precedente videoinstallazione Time out of joint (2008) costituita da tre proiezioni video di accendini bruciati dalla loro stessa fiamma, che raggiungono gradualmente, in maniera diversa e imprevedibile per ognuno, il loro spegnimento. Il suono prodotto, in precedenza registrato, era emesso da tre speakers diversi, ognuno posto in relazione al video corrispondente, producendo una sorta di sinfonia involontaria. Après coup è nata successivamente, dai suoni rilasciati dai tre accendini, che ruotavano su tre giradischi automatici, nello stesso ordine spaziale in cui erano state poste le proiezioni video del progetto premesso. L’immagine è stata sottratta e lasciata all'immaginazione dello spettatore mentre il suono prodotto è la traccia, presenza dell’assenza.

Igor Bosnjak (Bosnia, 1982) è l’autore della video-performance Dictionary, documentativa di un atto performativo di 96 ore durante le quali sono state cancellate 1420 pagine di un dizionario, 800.000 parole e 50.000 parole rare e poco conosciute (con 20 penne necessarie al processo). L’artista bosniaco si ispira alle cancellazioni del testo di Joseph Kosuth, alla serie Zero & Not e in particolare all'intervento presso il Museo Sigmund Freud (1989), dove l'ostacolo posto alla leggibilità provocava nell'occhio il desiderio di oltrepassarlo, al pari di quanto avviene, secondo la teoria freudiana, per le emozioni che vengono rimosse, ma che rimangono come forze sotterraneamente attive nell'inconscio. L’intervento di Bosnjak sul dizionario sembra piuttosto rimandare a un annichilimento della funzione dell’oggetto, veicolo di conoscenza e informazione. Attraverso la cancellazione dei segni e dei significati, ottenuta tramite le linee nere tracciate sulle pagine, l’artista produce un vuoto, una mancanza, costruisce materialmente un’assenza.

I suddetti artisti sono affiancati dal gruppo P 70, band composta da tre musicisti che suonano a distanza, provando via telefono, senza essersi mai conosciuti. Di loro è stata fatta una selezione di brani., da ascoltare a proprio piacere. P70 è Giuseppe Grimani: musica, testi, arrangiamenti, voce, programmazione tastiere, synth, effetti sonori, mixaggio |
Francesco Carrieri: chitarra elettrica, chitarra acustica
| Morena Cirillo: voce, cori.

[1] Presentato sulla “Rivista di psicologia dell’arte” diretta da Sergio Lombardo, Jartrakor, Roma, 1979, n.1.

Info e contatti:
Elena Abbiatici elena.abbiatici@gmail.com
Valentina G. Levy valentinag.levy@gmail.com

Nowhere (Ex sede Galleria Romberg)
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