Palazzo Ducale
Revere (MN)
Sale Ludovico II Gonzaga - Piazza Castello, 12
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Girolamo Caramori
dal 12/4/2003 al 4/5/2003
0386 46001

Segnalato da

DIMITRI NICOLA



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Girolamo Caramori



 
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12/4/2003

Girolamo Caramori

Palazzo Ducale, Revere (MN)

La faccia nascosta dello spirito. L'artista del Basso Mantovano che da tempo vive e lavora a Trieste proporra' in questa esposizione dipinti, sculture e disegni degli ultimi cinque anni. Presentazione di Sandro Parmiggiani.


comunicato stampa

La faccia nascosta dello spirito

presentazione di Sandro Parmiggiani

Inaugurazione: domenica 13 aprile 2003 ore 11,30

L'artista del Basso Mantovano che da tempo vive e lavora a Trieste proporrà in questa esposizione dipinti, sculture e disegni degli ultimi cinque anni.

Scrive Sandro Parmiggiani in catalogo:
Girolamo Caramori sta per toccare la boa dei settant'anni, espone da cinquanta, e, sebbene non abbia potuto seguirne nel tempo l'intero percorso, sento che sarebbe un fuorviante esercizio di vana retorica, di fronte alle sue opere - così intrise di un senso arcano di ordine formale, pur sempre all'insegna di una strisciante instabilità, e di calibrati rapporti tonali -, parlare, ancora una volta, di "scoperta" o di "rivelazione". Di Caramori ho visto la bella mostra di Trecenta, nel ventre sotterraneo di Palazzo Pepoli: là, immersi nel silenzio di un tempo che si dà un passo diverso, i suoi dipinti appesi ai muri antichi e le sculture lignee collocate sulla terra, più in basso delle passerelle su cui si transitava da una stanza all'altra, parevano reperti di un'antica civiltà appena dissepolti o monoliti di un futuro in cui inevitabilmente s'incroceranno - come in 2001: Odissea nello spazio di Kubrick - presente e passato.

E di Caramori ho potuto ammirare le opere più recenti su carta, ottenute attraverso la "proiezione piana" dell'interno di scatole di alimenti: un cartone che l'artista elegge a superficie ideale per il dispiegarsi delle sue avventure della mente e dello spirito, con le originarie pieghe delle fustellature che predeterminano e scandiscono una certa ripartizione spaziale, e la matita, il pastello, il collage di cartoncini di diverso colore che intervengono per svolgere "naturalmente" una variazione su un tema che quelle esili fondamenta già hanno impostato. È come se l'ordine, il ritmo, la bellezza già siano annidate dentro le cose, ne siano la faccia nascosta, la regola e il motore segreti, e che basti cogliere il filo di Arianna che ci viene teso per potere avanzare nel labirinto del tempo chiamato vita - ma noi fatichiamo a percepirlo, con il nostro sguardo schiavo di stereotipi, spesso incapace di varcare la soglia che conduce alla possibilità di vedere con quello stupore che solo può cogliere la verità.

Ecco allora che nel tempo in cui tutto dovrebbe perennemente essere sotto i riflettori - ogni fase della vita e della morte, e lo stesso orrore della guerra, tanto che molti s'illudono che ciò che esiste è soltanto ciò di cui la comunicazione ci parla o ci mostra le immagini -, e dunque nulla può sfuggire all'occhio implacabile che scruta, capita che queste luci non siano abbastanza grandi e diffuse per illuminare e rivelare esperienze, come quella di Caramori, che immagino cresciuta nel fervore quotidiano di pensieri e di riflessioni, di pratiche tenaci e di esercizi vissuti come norma di vita, con la ostinata voglia di durare, nonostante il silenzio che l'ha avvolta e accompagnata. In verità, nel mondo dell'arte - come riflesso di certe scelte di mercato e di proposte espositive ormai saldamente affermatesi - possono darsi esperienze oscurate e dimenticate, forse anche perché cresciute nella fedeltà a valori, a comportamenti che, oggi sentiti come moneta ormai fuori corso, molti irridono o calpestano, nel tempo in cui l'opera d'arte sempre più si è fatta "merce" come un'altra. Quale è il cuore segreto della ricerca di Caramori? Lui pare intento a riproporre quelle stesse esigenze che - tra la prima e la seconda guerra mondiale - diedero vita a ciò che fu definita "arte della non-oggettività". Non casualmente, si sentì, allora, il bisogno di dare ordine, di distillare un linguaggio "altro", che prendesse atto che molte certezze erano andate in frantumi e che occorreva alludere, attraverso la forma e i rapporti tonali, a un nuovo modo di sentire, di essere nel mondo. Se, come sosteneva Kurt Schwitters, la definizione accettabile del Bauhaus era quella di "un'alta scuola per la forma", Théo von Doesburg, nel manifesto dell'''Arte concreta" del 1930, precisava l'evoluzione cui era pervenuta la ricerca cosiddetta "astratta", la convinzione profonda che animava movimenti quali "Cercle et Carré": "Non pittura astratta, ma concreta. Giacché noi abbiamo lasciato dietro di noi quest'epoca di ricerche e d'esperienze speculative. Non pittura astratta, ma concreta, poiché nulla è più concreto di una linea, di un colore, di una superficie... Non pittura astratta, ma concreta, perché lo spirito ha raggiunto il suo stato di maturità: ha bisogno di mezzi intellettuali chiari per manifestarsi in modo concreto". Sono convinto che le opere di Caramori, allo stesso modo, non si sono incamminate sulla strada di un esercizio puramente speculativo, "programmato", ma sono rette eanimate da un'idea morale, etica: sono una sorta di testimonianza necessaria di una sensibilità ai rapporti tra superfici, forme, linee, toni, luce e ombra - cui lui allude attraverso strumenti insoliti - che si oppone al degrado, allo sfascio, alla sciatteria, all'incultura, all'arroganza e al grottesco cinicamente esibiti come condizione del vivere moderno.

Anche oggi, come settant'anni fa, il centro di gravità è perduto, siamo circondati da cocci che è difficile mettere assieme, la babele delle parole vane e dei comportamenti squallidi pare circondarci e sovrastarci. Le opere di Caramori ci dicono, nel loro stesso processo di costruzione, che è possibile mettere assieme ragione e sentimento al loro livello più puro e più alto. I suoi dipinti sono ottenuti accostando, come in un incastro, in un puzzle di varia difficoltà, tele o tavole di dimensioni diverse, a volte segnate da uno sviluppo orizzontale, altre volte da uno verticale. Sempre, comunque, l'artista è attento a disseminare nelle varie porzioni che costituiscono l'opera segni lievi, ora fitti e incrociati ora rarefatti e solitari, e linee e strutture più spesse: un movimento, una tensione, un processo di gemmazione che va in una direzione, e poi si arresta, naviga nel profondo e poi riaffiora come rima in un'altra parte, così che il dipinto è tenuto assieme da fili sotterranei, a noi invisibili, che determinano equilibri sottili. L'ulteriore elemento che funge, insieme, da contrasto e da collante nei dipinti di Caramori sono le pulsazioni sommesse del colore, il cui cuore batte in ogni struttura, in ogni tela o tavola, anche quelle lasciate grezze: le varie grane, i materiali diversi, i rapporti tra superfici naturali e superfici colorate, le assonanze e le dissonanze dei toni, le velature e i colori cupi, sono l'altra armatura che regge questi lavori e ne determina il fascino duraturo. Un fascino che si radica in un equilibrio sapiente tra ordine e lirismo, tra esprit de géométrie e esprit de finesse.

Paiono, queste opere, essere nate nel fuoco di una grande tensione e di un grande amore, di cui, tuttavia, ora ardono solo le braci, perché ci sono conquiste e verità durature che non possono essere esibite alla luce accecante che le distruggerebbe, ma debbono essere protette nella penombra della memoria, e dette sottovoce come retaggio incancellabile di un'esperienza esistenziale. Sono bastati un segno di matita, l'allusione a una forma, un segmento di struttura, l'incupirsi o il rischiararsi di un tono per dare all'opera uno svolgimento, un senso, uno scatto di fantasia, per pervaderla di un lirismo che non può essere cancellato, e per farle evitare il naufragio nell'ovvietà di un ordine geometrico senz'anima, come talvolta capita di vedere. I lavori di Caramori educano lo sguardo, lo rendono attento ai dettagli, partecipe alle più lievi increspature di una forma, o alle più sottili gradazioni di un tono, al più impercettibile soffio di una vita che osa manifestarsi. L'esistenza è, del resto, navigazione accorta, che richiede uno sguardo attento a cogliere ogni particolare di forme, di luci e di ombre, di stati d'animo.

L'arte di Moholy-Nagy e di Nicholson, di Munari e Soldati - per citare solo qualcuno dei riferimenti più evidenti nell'opera di Caramori - era impegnata a dare ordine a un mondo che - ormai ne siamo consapevoli - pare inevitabilmente condannato a cadere sempre in preda al disordine, se non alla barbarie. C'erano un'etica, una morale profonda dietro quelle esperienze, e pure questa è la vocazione di Caramori nel creare queste opere: la bellezza è qualcosa di severo, di austero, che deve sapersi spogliare di ogni orpello e inutile decorativismo - pur sapendo intendere, cogliere e governare gli sviamenti, i turbamenti, le angosce e gli orrori quotidiani. È, questo modo di fare arte, il tentativo di preservare e ricostituire uno spirito perduto, di conquistare una maniera di vedere, di discernere tra ciò che è essenziale e ciò che è superfluo, tra bellezza segreta e volgarità esibita. Tutto pare andare in una direzione contraria, molte illusioni sono cadute, eppure, anche nel modo di intendere e vivere l'arte, pare dirci Caramori, occorre tenere ben saldo il timone, nonostante i tempi duri in cui il vento soffia da tutt'altra parte.

YOUNG MUSEUM
Palazzo Ducale - Piazza Castello 12 - Revere Mn
Tel. 0386 46001-2 tel.Direz.:3392779883
orari: sabato e festivi: 10,00 - 12,30 / 15,00 - 19,00

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