La faccia nascosta dello spirito. L'artista del Basso Mantovano che da tempo vive e lavora a Trieste proporra' in questa esposizione dipinti, sculture e disegni degli ultimi cinque anni. Presentazione di Sandro Parmiggiani.
La faccia nascosta dello spirito
presentazione di Sandro Parmiggiani
Inaugurazione: domenica 13 aprile 2003 ore 11,30
L'artista del Basso Mantovano che da tempo vive e lavora a Trieste proporrà in questa esposizione dipinti, sculture e disegni degli ultimi cinque anni.
Scrive Sandro Parmiggiani in catalogo:
Girolamo Caramori sta per toccare la boa dei settant'anni, espone da
cinquanta, e, sebbene non abbia potuto seguirne nel tempo l'intero percorso,
sento che sarebbe un fuorviante esercizio di vana retorica, di fronte alle
sue opere - così intrise di un senso arcano di ordine formale, pur sempre
all'insegna di una strisciante instabilità , e di calibrati rapporti tonali
-, parlare, ancora una volta, di "scoperta" o di "rivelazione". Di Caramori
ho visto la bella mostra di Trecenta, nel ventre sotterraneo di Palazzo
Pepoli: là , immersi nel silenzio di un tempo che si dà un passo diverso, i
suoi dipinti appesi ai muri antichi e le sculture lignee collocate sulla
terra, più in basso delle passerelle su cui si transitava da una stanza
all'altra, parevano reperti di un'antica civiltà appena dissepolti o
monoliti di un futuro in cui inevitabilmente s'incroceranno - come in 2001:
Odissea nello spazio di Kubrick - presente e passato.
E di Caramori ho
potuto ammirare le opere più recenti su carta, ottenute attraverso la
"proiezione piana" dell'interno di scatole di alimenti: un cartone che
l'artista elegge a superficie ideale per il dispiegarsi delle sue avventure
della mente e dello spirito, con le originarie pieghe delle fustellature che
predeterminano e scandiscono una certa ripartizione spaziale, e la matita,
il pastello, il collage di cartoncini di diverso colore che intervengono per
svolgere "naturalmente" una variazione su un tema che quelle esili
fondamenta già hanno impostato. È come se l'ordine, il ritmo, la bellezza
già siano annidate dentro le cose, ne siano la faccia nascosta, la regola e
il motore segreti, e che basti cogliere il filo di Arianna che ci viene teso
per potere avanzare nel labirinto del tempo chiamato vita - ma noi
fatichiamo a percepirlo, con il nostro sguardo schiavo di stereotipi, spesso
incapace di varcare la soglia che conduce alla possibilità di vedere con
quello stupore che solo può cogliere la verità .
Ecco allora che nel tempo in cui tutto dovrebbe perennemente essere sotto i
riflettori - ogni fase della vita e della morte, e lo stesso orrore della
guerra, tanto che molti s'illudono che ciò che esiste è soltanto ciò di cui
la comunicazione ci parla o ci mostra le immagini -, e dunque nulla può
sfuggire all'occhio implacabile che scruta, capita che queste luci non siano
abbastanza grandi e diffuse per illuminare e rivelare esperienze, come
quella di Caramori, che immagino cresciuta nel fervore quotidiano di
pensieri e di riflessioni, di pratiche tenaci e di esercizi vissuti come
norma di vita, con la ostinata voglia di durare, nonostante il silenzio che
l'ha avvolta e accompagnata. In verità , nel mondo dell'arte - come riflesso
di certe scelte di mercato e di proposte espositive ormai saldamente
affermatesi - possono darsi esperienze oscurate e dimenticate, forse anche
perché cresciute nella fedeltà a valori, a comportamenti che, oggi sentiti
come moneta ormai fuori corso, molti irridono o calpestano, nel tempo in cui
l'opera d'arte sempre più si è fatta "merce" come un'altra.
Quale è il cuore segreto della ricerca di Caramori? Lui pare intento a
riproporre quelle stesse esigenze che - tra la prima e la seconda guerra
mondiale - diedero vita a ciò che fu definita "arte della non-oggettività ".
Non casualmente, si sentì, allora, il bisogno di dare ordine, di distillare
un linguaggio "altro", che prendesse atto che molte certezze erano andate in
frantumi e che occorreva alludere, attraverso la forma e i rapporti tonali,
a un nuovo modo di sentire, di essere nel mondo. Se, come sosteneva Kurt
Schwitters, la definizione accettabile del Bauhaus era quella di "un'alta
scuola per la forma", Théo von Doesburg, nel manifesto dell'''Arte concreta"
del 1930, precisava l'evoluzione cui era pervenuta la ricerca cosiddetta
"astratta", la convinzione profonda che animava movimenti quali "Cercle et
Carré": "Non pittura astratta, ma concreta. Giacché noi abbiamo lasciato
dietro di noi quest'epoca di ricerche e d'esperienze speculative. Non
pittura astratta, ma concreta, poiché nulla è più concreto di una linea, di
un colore, di una superficie... Non pittura astratta, ma concreta, perché lo
spirito ha raggiunto il suo stato di maturità : ha bisogno di mezzi
intellettuali chiari per manifestarsi in modo concreto". Sono convinto che
le opere di Caramori, allo stesso modo, non si sono incamminate sulla strada
di un esercizio puramente speculativo, "programmato", ma sono rette eanimate da un'idea morale, etica: sono una sorta di testimonianza necessaria
di una sensibilità ai rapporti tra superfici, forme, linee, toni, luce e
ombra - cui lui allude attraverso strumenti insoliti - che si oppone al
degrado, allo sfascio, alla sciatteria, all'incultura, all'arroganza e al
grottesco cinicamente esibiti come condizione del vivere moderno.
Anche oggi, come settant'anni fa, il centro di gravità è perduto, siamo
circondati da cocci che è difficile mettere assieme, la babele delle parole
vane e dei comportamenti squallidi pare circondarci e sovrastarci. Le opere
di Caramori ci dicono, nel loro stesso processo di costruzione, che è
possibile mettere assieme ragione e sentimento al loro livello più puro e
più alto. I suoi dipinti sono ottenuti accostando, come in un incastro, in
un puzzle di varia difficoltà , tele o tavole di dimensioni diverse, a volte
segnate da uno sviluppo orizzontale, altre volte da uno verticale. Sempre,
comunque, l'artista è attento a disseminare nelle varie porzioni che
costituiscono l'opera segni lievi, ora fitti e incrociati ora rarefatti e
solitari, e linee e strutture più spesse: un movimento, una tensione, un
processo di gemmazione che va in una direzione, e poi si arresta, naviga nel
profondo e poi riaffiora come rima in un'altra parte, così che il dipinto è
tenuto assieme da fili sotterranei, a noi invisibili, che determinano
equilibri sottili. L'ulteriore elemento che funge, insieme, da contrasto e
da collante nei dipinti di Caramori sono le pulsazioni sommesse del colore,
il cui cuore batte in ogni struttura, in ogni tela o tavola, anche quelle
lasciate grezze: le varie grane, i materiali diversi, i rapporti tra
superfici naturali e superfici colorate, le assonanze e le dissonanze dei
toni, le velature e i colori cupi, sono l'altra armatura che regge questi
lavori e ne determina il fascino duraturo. Un fascino che si radica in un
equilibrio sapiente tra ordine e lirismo, tra esprit de géométrie e esprit
de finesse.
Paiono, queste opere, essere nate nel fuoco di una grande tensione e di un
grande amore, di cui, tuttavia, ora ardono solo le braci, perché ci sono
conquiste e verità durature che non possono essere esibite alla luce
accecante che le distruggerebbe, ma debbono essere protette nella penombra
della memoria, e dette sottovoce come retaggio incancellabile di
un'esperienza esistenziale. Sono bastati un segno di matita, l'allusione a
una forma, un segmento di struttura, l'incupirsi o il rischiararsi di un
tono per dare all'opera uno svolgimento, un senso, uno scatto di fantasia,
per pervaderla di un lirismo che non può essere cancellato, e per farle
evitare il naufragio nell'ovvietà di un ordine geometrico senz'anima, come
talvolta capita di vedere. I lavori di Caramori educano lo sguardo, lo
rendono attento ai dettagli, partecipe alle più lievi increspature di una
forma, o alle più sottili gradazioni di un tono, al più impercettibile
soffio di una vita che osa manifestarsi. L'esistenza è, del resto,
navigazione accorta, che richiede uno sguardo attento a cogliere ogni
particolare di forme, di luci e di ombre, di stati d'animo.
L'arte di Moholy-Nagy e di Nicholson, di Munari e Soldati - per citare solo
qualcuno dei riferimenti più evidenti nell'opera di Caramori - era impegnata
a dare ordine a un mondo che - ormai ne siamo consapevoli - pare
inevitabilmente condannato a cadere sempre in preda al disordine, se non
alla barbarie. C'erano un'etica, una morale profonda dietro quelle
esperienze, e pure questa è la vocazione di Caramori nel creare queste
opere: la bellezza è qualcosa di severo, di austero, che deve sapersi
spogliare di ogni orpello e inutile decorativismo - pur sapendo intendere,
cogliere e governare gli sviamenti, i turbamenti, le angosce e gli orrori
quotidiani. È, questo modo di fare arte, il tentativo di preservare e
ricostituire uno spirito perduto, di conquistare una maniera di vedere, di
discernere tra ciò che è essenziale e ciò che è superfluo, tra bellezza
segreta e volgarità esibita. Tutto pare andare in una direzione contraria,
molte illusioni sono cadute, eppure, anche nel modo di intendere e vivere
l'arte, pare dirci Caramori, occorre tenere ben saldo il timone, nonostante
i tempi duri in cui il vento soffia da tutt'altra parte.
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