Nelle tele de "Il Teatro della Vita" si riconoscono gli elementi distintivi del teatro - forma, spazio e tempo - intrecciate con riferimenti storico-letterari e reminiscenze autobiografiche.
"Altre tre donne sedevano in cerchio a uguale distanza, ciascuna sul proprio trono: erano le Moire figlie di Ananke: Lachesi, Cloto e Atropo, vestite di bianco e col capo cinto di bende; sull'armonia delle Sirene Lachesi cantava il passato, Cloto il presente, Atropo il futuro."
Platone Repubblica X,135,3
L' artista Mirella Lanfranchi nei dipinti esposti nella mostra “Il Teatro della vita” sembra voler cercare e srotolare una matassa fatta di intrecci storico-letterari e di reminiscenze autobiografiche e al contempo gioca con questo filo creando citazioni e rimandi, destabilizzando l'osservatore.
Sembra pertanto operare un procedimento teatrale poiché come il “teatro” (dal greco “thaomai” significa “vedo”) esplora la condizione umana diventando coscienza critica sul mondo, così la pittrice osserva e riporta in una narrazione di dipinti la storia della donna.
Nel suo lavoro si possono riconoscere elementi essenziali distintivi del teatro: forma, spazio e tempo. Infatti ha dato forma al personaggio “Donna” analizzata come protagonista di opere tragiche letterarie (Lady Macbeth, le streghe, Desdemona, la fanciulla della novella parmigiana “Notte d'agosto”….), e anche come espressione della voluttuosa e vanitosa contemporaneità.
Al contempo ognuna di queste può essere anche lei stessa che si è messa in gioco rivelando la complessità propria e di qualsiasi essere femminile. L'autrice tesse i misteri dell' “essere donna”. Da una parte, tramite le influenze del lavoro svolto nel mondo della moda e del design, ci presenta figure androgine o donne con volti perfetti dal fascino accattivante e ambiguo che sembrano uscite da riviste patinate. Queste in alcuni casi indossano una maschera che, oltre a essere citazione teatrale, ci spinge a chiederci se sia voluta o costretta, in particolare nel gioco del “riso-pianto”.
Dall'altra abbatte ogni artificio “modaiolo” ed esprime un ancestrale legame della donna con la propria spiritualità e con la natura. Ciò è visibile nella scelta di soggetti mitologici come Fauna e Flora, nei nudi avvolti da candidi drappeggi e inseriti in paesaggi eterei di richiamo alle nebbie emiliane,e poi ancora nel dipinto in cui l'ombra femminile danza libera come fosse un vortice di fuoco e aria. A tale proposito l'opera “Le streghe di Macbeth”, unita alla varietà dei volti femminili in primo piano ritratti nei tondi riuniti a gruppi di tre, può essere visto come ricerca delle origini più antiche dell'essere “donna-strega”. Questo termine nei secoli ha assunto una connotazione negativa ma in origine ha nell'etimo un significato sapienziale, non solo nell'idioma latino “sagae” che arriva dal verbo “sagire” cioè sapere, ma anche in francese (sorcière),inglese (witch), tedesco (hexe). Perciò le streghe erano chiamate sagge e indovine in quanto portatrici di conoscenza.
Ed ecco che la pittrice allora ci presenta un'idea di donna (e si mostra lei stessa?!) in veste di strega o moira che regge i fili del destino umano come i fili che controllano i burattini, ed è in grado di vedere oltre. Questi dipinti sono legati dal colore rosso che in quantità e sfumature diverse appare e scompare nelle trame delle tele e sfida l'osservatore a cercarlo. Nel dipinto dal titolo “Non parlo” è interessante la “lacrima” di rosso carminio che cade fluida sull'occhio, organo del vedere: nonostante sia taciuta da una mano di non chiara appartenenza (è della donna ritratta o di un uomo?) questa donna “vede” i legami sotterranei e nascosti che attraverso l'Arte può esprimere. Questa stessa ambiguità e mistero si ritrovano negli altri due dipinti “Non sento” e “Non vedo” che costituiscono un trittico. Queste tre tipologie di donna possono simbolicamente alludere alle tre parche e al destino artistico dell'autrice.
Ed ecco allora che la pittrice delimita uno spazio/palcoscenico simbolicamente espresso dall'area pittorica della tela, dai paesaggi e architetture surreali dipinte, ma anche dal luogo espositivo stesso in cui è creato un percorso. Infine misura il tempo, quello del momento creativo del gesto pittorico, dell'attualità ma anche della propria storia familiare. Infatti con questa mostra lei omaggia Bruno e Paride Lanfranchi, attori della scena parmigiana ed esponenti di una tradizione culturale dialettale, e si pone come continuazione di una tradizione artistica familiare legata anche a scrittori e uomini d'arte. Da qui la scelta di coinvolgere gli eredi dei Ferrari esponendo alcuni burattini come omaggio al proprio zio Bruno, amico e collaboratore di questa famiglia, e come arricchimento al gioco tematico del percorso della mostra.
L'artista forse ora giunta ad un bivio si sta chiedendo dove andare? Ha ricercato le proprie origini di donna e artista. Ha delineato una situazione contemporanea. Infine pone a noi e a sé stessa un quesito per il futuro con i due dipinti “La fuga” e “Alla ricerca della purezza”: la protagonista Donna fugge e si nasconde per essere riscoperta in nuove vesti? Infatti il percorso, iniziato con una surreale e solitaria scalinata, si conclude con l'atto di cancellazione di un viso ritratto come fosse di una copertina di moda e la scelta di inserire fisicamente il pennello intinto nel bianco sembra un invito per lo spettatore a diventare parte attiva in tale gesto.
Forse ci sta ricordando un universale legame tra gli esseri e ci comunica una responsabilità collettiva nella necessità di ripartire da nuovi, più elevati e completi ideali di donna.
testo a cura di
Annalisa Mombelli
Le donne passano in silenzio tra le cortine della vita e lasciano un aroma, un profumo, tracce indimenticabili. Cuciono i destini degli uomini, ammaliano i giorni e non ne afferri che petali distratti, bolle di sapone, lembi di vestiti. Le donne sono un’essenza misteriosa a colmare d’attesa ampie scenografie solitarie. Appaiono e scompaiono sulla soglia dell’esistenza, talora angeli, talora streghe, costrette spesso a maschere imperfette, a dolorose illusioni di felicità.
Uno dei temi che troviamo nelle opere della pittrice Mirella Lanfranchi è la figura femminile, che lei ha disegnato e vestito per molti anni nella sua attività di stilista. Altro topos è il teatro, ma trasferito in una dimensione sospesa, metafisica, talvolta dechirichiana. Non potrebbe essere altrimenti, visto che è cresciuta dietro le quinte dei palcoscenici dove nonno Paride e zio Bruno (noti attori parmigiani) recitavano. L’abito, la scena sono l’apparato e la cornice per introdurre o lasciar intuire – in una sospensione lirica – l’anima, la verità sempre sfuggente. Le donne della Lanfranchi incarnano dunque il mistero stesso della vita, quello che si carpisce nell’istante dell’emozione o resta fremente a sipario vuoto, quando tutto è compiuto, ma tuttavia qualcosa ancora si va aspettando. Si spengono allora i riflettori, si posano le maschere, i costumi e avanza però la luce su pareti finte, teatrali, come finto è il fondo di pomice di questi quadri a simulare l’affresco. Non è una luce incisiva, ma ovattata, di caldo ocra; non naturale, non d’alba, di tramonto o meridiana, ma tuttavia densa d’un’intimità atemporale. La verità allora sussurra in un’aria appena smossa, in una sopravvivenza velata di donne lasciate come fiori sgualciti e perduti, ricordi di passioni, d’amori lacerati. Così appaiono Desdemona, Lady Macbeth, le streghe, protagoniste dei melodrammi verdiani: profili evanescenti tra pennellate che sfumano, quando la musica va dissolvendo e s’avverte ormai solo la vibrazione, l’ultima eco che pervade il palcoscenico e le quinte del cuore.
Viene da chiedersi se le donne della Lanfranchi sono Moire o Penelopi in questa storia, nel teatro della vita dove lei con grazia e finissima poesia c’introduce.
Dove termina la finzione e inizia la realtà? I suoi quadri dicono che non c’è risposta, ma solo inesausta ricerca e sempre nuova rappresentazione. In questo infatti sta il fascino dell’esistenza, dell’arte, del teatro.
Dopo la prossima scena sarà ancora dubbio e la bellezza di qualcosa che s’attende, si respira, si perde. Ma non s’afferra mai.
testo a cura di
Manuela Bartolotti
Inaugurazione sabato 13 ottobre ore 17.00
Ex Chiesa di Sant'Andrea
Via Cavestro, 6 - Parma
Orari di apertura:da martedì a sabato 10-12 e 16-19
domenica 16-19lunedì chiusura
Ingresso libero