The dead Life. L'artista fotografa rose, non nel loro pieno fiorire, smaglianti di freschezza, ma nel momento in cui cominciano ad appassire, quando i petali si afflosciano e raggrinziscono.
Le fotografie di Femi Vilardo si sottraggono alla specificità fotografica. E’ da qualche tempo che si dedica alla fotografia, prima il suo mezzo espressivo era la pittura. E della precedente esperienza pittorica vuole conservare le caratteristiche trasferendole negli scatti che catturano meccanicamente immagini del reale. Il suo è un pensiero e un procedimento fuori norma. Fotografa rose, non nel loro pieno fiorire, smaglianti di freschezza, ma nel momento in cui cominciano ad appassire, quando i petali si afflosciano e raggrinziscono. Una predilezione per la decadenza motivata però dal fatto che in questo modo le rose si prestano a sembrare, o divenire, altre cose.
La trasformazione in atto delle rose nel loro declino, permette di suggerire altre letture. Ed è questa mobilità e metamorfosi del soggetto preso in considerazione che affascina l’artista. La possibilità di divenire qualcos’altro. E qui subentra anche la tecnica, anzi le alchimie tecnologiche di photo-shop che, in fase di postproduzione, consentono effetti di luce, di qualità materica, estranei all’immagine originale, conferendo alla rosa appassita trasparenze, carnosità, spessori che in realtà non possiede. Allontanandosi nel contempo dall’intrinseche caratteristiche del linguaggio fotografico per assumere piuttosto quelle pittoriche. Non certo nel senso del “pittorialismo” ottocentesco, ma puntando ad una fragranza materica, intrisa di luce, complice photo-shop, che la avvicina alla sua pittura. E’ come se Femi Vilardo, usando oggi il mezzo fotografico, volesse in realtà continuare a dipingere. Infatti come sfondi per le rose, tutte di grande formato, quasi straripanti dallo spazio in cui sono inquadrate, usa suoi dipinti. Le rose s’innescano e crescono dalla pittura.
Le due sequenze di “multipli”, come li definisce l’artista, segnano un ulteriore passo nel processo di trasformazione. La distanza ravvicinata del soggetto è tale che porta ad inquadrare solo alcuni petali, più o meno assiepati, senza sfondo, tanto che diventano altre cose, pieghe di tessuti, o profili delle forme organiche più impensate, avviandosi verso una sorta di astrazione. Domina sempre una luminosa, suggestiva trasparenza; le forme si gonfiano, si accartocciano, rispondono a esigenze interiori dell’artista, diventano racconto sganciato dal reale, aperto a mille interpretazioni. Un gioco tra realtà e finzione – un’ineludibile simbiosi questa che segna il nostro tempo - dove il mezzo tecnologico svolge un ruolo determinante per trapassare il visibile e riconoscibile, per entrare nel regno del sogno.
Maria Campitelli
Vernissage 27 luglio ore 19
Sala Comunale d'Arte
piazza dell'Unita' d'Italia, 4 - Trieste
Apertura feriale e festivo 10/13 e 17/20
Ingresso libero