Galleria Oliva Arauna
Madrid
Claudio Coehlo 19

Botto&Bruno
dal 12/11/2003 al 10/1/2004

Segnalato da

Alfonso Artiaco


approfondimenti

Botto&Bruno



 
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12/11/2003

Botto&Bruno

Galleria Oliva Arauna, Madrid

Il titolo si riferisce alla dimensione della nostra periferia percepita come mito: un mito custode della memoria dell'infanzia. Un'infanzia che anche nelle situazioni piu' spiacevoli, sa trovare vie di fuga o accettare la quotidianita'. Sono le periferie dell'anima che noi continuiamo a sognare, che vogliamo sognare perche' siamo convinti che sia durante l'infanzia che si formi una visione del mondo. La possibilita' di conservarne il ricordo rende sopportabile la vita da adulti.


comunicato stampa

LAS PERIFERIAS QUE ESTAMOS SONANDO
(LE PERIFERIE CHE STIAMO SOGNANDO)

Il titolo si riferisce alla dimensione della nostra periferia percepita come mito: un mito custode della memoria dell'infanzia. Un'infanzia che anche nelle situazioni più spiacevoli, sa trovare vie di fuga o accettare la quotidianità. Sono le periferie dell'anima che noi continuiamo a sognare, che vogliamo sognare perchè siamo convinti che sia durante l'infanzia che si formi una visione del mondo. La possibilità di conservarne il ricordo rende sopportabile la vita da adulti.
Le nostre periferie nascono da una ribellione contro il luogo comune che le vede unicamente come situazioni di disperazione o di degrado. Il nostro lavoro è una risposta al modello imposto dai mass-media i quali pretendono di analizzare con assoluta superficialità la vita degli abitanti delle immense perferie dove peraltro vive il 90% della popolazione. Paradossale è che gli stessi abitanti delle periferie si lascino influenzare da questa visione stereotipata.
Vorremo con il nostro lavoro anche solo per un secondo porre un argine a questo tipo di visione; i bambini che crescono in questi spazi non devono farlo con la sensazione di esser cittadini meno importanti, per i quali la possibilità di un futuro migliore è negata dal principio, perchè crescere con questa certezza implica la rinuncia al tentativo di modificare lo stato delle cose.

Partendo da queste premesse abbiamo iniziato nei primi anni novanta a passeggiare per le periferie della nostra città, con una nikon ma privi di un obiettivo fisso, giungendo fin dove si trovano le strade senza asfalto, continuando fino ai cavalcavia, vicino al fiume, fin quando non rimaneva che un palo elettrico e una casa sulla linea dell'orizzonte.
Grazie a questo vagabondare abbiamo riscoperto una dimensione del tempo molto più ampia e una visione della città che nella routine quotidiana non trattiene l'attenzione. Si prende la macchina o l'autobus per andare a lavorare, si guarda la città dai finestrini senza soffermarsi piu di tanto su certi luoghi all'apparenza anonimi e dunque privi di ogni interesse. Invece proprio certi luoghi nascondono l'inaspettato. In quell'attimo il tempo e lo spazio si dilatano e ciascuno di noi può riappropriarsi dell'infanzia che si credeva perduta.
Di solito questi sono luoghi in stato di abbandono che hanno perso un'utilità produttiva: sono le fabbriche dismesse che continuano ad esistere a fianco di anonimi palazzoni; a volte é un prato incolto con l'erba cresciuta intorno ad un muro di mattoni.

Vorremmo per quanto ci é possibile documentare tutta questa idea architettonica che va sparendo perché per noi queste architetture sono degli organismi viventi che ci hanno accompagnanto anche e sopratutto quando abbandonate a se stesse; erano e sono (le poche rimaste) l'iconografia necessaria per la costruzione del mito di cui dicevamo all'inizio, lo stimolo per un'immaginazione non ancora addomesticata, i polmoni verdi dell'irrazionale in una città che alcuni vorrebbero trasformare da organismo vivente a macchina di interscambio delle merci funzionale al solo profitto dove il tempo e lo spazio si riducono sempre più.

Consideriamo il nostro lavoro una sorta di docufiction: infatti questi scatti quasi da reportage (ormai ne possediamo un considerevole archivio) vengono prima da noi suddivisi in innumerevoli sezioni che sono a seguire le architetture industriali , le scuole, gli ospedali, le aree incolte, i muri di mattoni , i terreni allagati , i cieli coperti da nubi, i personaggi autistici (un ragazzo una ragazza e una bambina che abitano questi spazi con il volto nascosto da cappelli con visiera o da cappucci di tute sportive di ispirazione hip- hop), fino agli oggetti che accompagano questi personaggi (una cuffia da d.j. , uno scatolone di cartone custode di intime memorie, un pupazzo di peluche, riviste musicali, fogli bianchi con su stampati testi derivanti da brani musicali attraverso i quali la comunicazione può ancora avvenire.

Partendo da queste basi tali scatti vengono accostati tra loro dopo essere stati ritagliati e montati con un collage che non a nulla a che vedere con il processo del photoshop: sono fotomontaggi assolutamente manuali che nelle ultime nostre installazioni parietali (e in particolar modo in questa presentata da Oliva Arauna che prende il titolo dalla mostra 'Le periferie che stiamo sognando') diventano collage direttamenti incollati al muro, quest'ultimo reso visibile nelle zone destinate in precedenti installazioni (come quella della Biennale di Venezia di Szeemann all'entrata delle corderie nel 2001) ai cieli e ai terreni.

Nella galleria Arauna, un grande wall paper drawing ispirato alla grafica e al fumetto underground (il titolo 'Did you hear the news about Edward?' é tratto da una canzone di Tom Waits ): in esso il paesaggio si riduce a un grande muro e qualche palazzo, una pozzanghera e un elicottero in lontananza con tre figure in atteggiamento di attesa o di riposo che forse ascoltano musica e un pelouche dimenticato per terra.
Nella parete frontale una stampa per esterni su pvc dove questa volta i cieli e i terreni sono in b/n mentre le figure e le architetture sono a colori: in tal modo questa stampa fotografica frutto sempre di un montaggio ritoccato a mano che nasconde volutamente le giunture tra un frammento e l'altro fa da trait d'union tra il disegno e il collage ('In a suburban house').
A terra vi è un stampa fotografica calpestabile aderente direttamente al pavimento: si tratta di un tombino in cui si riflettono architetture immaginarie e un cielo in b/n ('Suburb's hole').
Per finire nello studiolo della galleria vi è una seconda stampa fotografica ('Black hole') dove una figura solitaria (solo in cielo é b/n) osserva il buco nero di un piccolo tombino aperto con lo stesso atteggiamento introspettivo assunto dalla figura in bilico sul muretto nel wall paper drawing. Ci interessa in questo modo far dialogare il disegno, il fotomontaggio, e il collage cercando di offrire un'unità d'insieme attraverso l'espressione delle diversità.

Botto e Bruno hanno partecipato a diverse rassegne internazionali a partire da quella a Le Quartier, Centro D'arte Contemporanea di Quimper e alla personale a Palazzo delle Esposizioni a Roma nel 2000, alla Biennale di Venezia e ad Art Unlimited a Basilea nel 2001, alla Busan Biennale, Corea del Sud nel 2002, al Mamco di Ginevra con una mostra monografica nel 2003.
In marzo del 2004 é prevista una loro personale al MAMAC di Nizza; sempre per lo stesso anno hanno vinto una residenza a Parigi per la realizzazione di un progetto sulla città medesima.

Inaugurazione: 13 di Novembre 2003

Luogo: Galleria Oliva Arauna
Claudio Coehlo 19, Madrid
Tel: +34 91 4351808
Fax: +34 91 5768719

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