Pittura. Gli ultimi paesaggi che guardano al mare, raggiungono la rarefazione, il disfacimento, suggerito a volte anche dalla tecnica ad acquerello.
a cura di Maria Campitelli
Sabato 21 dicembre alle ore 18.00 inaugura presso la Sala Comunale d'Arte "G. Negrisin" la mostra antologica "Vittorio Antonio COCEVER" a cura di Maria Campitelli, visitabile fino al 9 febbraio 2014 a Muggia presso la Sala Negrisin e il Museo Carà
E’ stato un pittore e ceramista attivissimo e di successo, con numerose mostre personali, soprattutto a Trieste, ma anche nella natale Capodistria, e in altre città italiane, come Padova, Venezia, Milano, Roma, e, negli anni ’30, all’estero, a Praga, Budapest, Vienna, Sofia.
Nato a Capodistria nel 1902 ha frequentato la gloriosa scuola per capi d’arte di Trieste, poi l’Accademia a Venezia, concludendo gli studi a Roma. Va ricordata la sua attività di insegnante, dapprima al Liceo “Combi” di Capodistria dove ha insegnato storia dell’arte, di seguito a Padova dove ha insegnato ceramica, di cui era appassionato cultore e validissimo esecutore, nella scuola statale femminile “Scalcerle”. In questo campo ha ottenuto anche alti riconoscimenti, come le premiazioni alle Biennali Veneziane del ’52, ’54, ’62 e ’64, esponendo nell’ultima edizione 10 vasi realizzate con tecniche di propria invenzione a smalti ottenuti a più fuochi.
Artista seguito da numerosi critici, tra cui Silvio Benco che già nel ’23, alla sua prima personale, aveva individuato il suo talento. Vittorio Cocever, nella sua lunga carriera, dagli anni 20 fino al 1971, anno in cui è venuto meno, ha maturato una sua modalità espressiva, che è cresciuta nel tempo, modificandosi, e negli ultimi tempi, rarefacendosi al punto da rasentare l’astrazione. Certo assorbe la cultura visiva del suo tempo, filtrata da una visione luminosa e trasparente che idealizza e vivifica la rappresentazione del mondo circostante, con un’intensa, costante compartecipazione vitale. È stato un pittore realistico, in quanto si è ispirato ad una realtà tangibile, pur impiegando quelle sintesi e contrazioni che i linguaggi del ‘900 hanno conquistato. Dal suo maestro Ettore Tito (che salvo un’iniziale ispirazione favrettiana è poi passato ad una pittura paludata evocativa del ‘500 e 700 veneziano) al di là delle indicazioni tecniche non si direbbe che abbia appreso molto. Piuttosto educativa è stata la frequentazione costante, dal 1921 al 1934, alle Esposizioni di Cà Pesaro. E’ un artista precoce Vittorio Cocever, avendo sin da bambino nell’animo il gusto e il piacere dell’arte, assorbito dalla famiglia di apprezzati ebanisti/stipettai. All’inizio produce soprattutto vedute di Capodistria e di Venezia, fresche di tocco, stemperate, esprimendo una cultura post-impressionista attestata su un realismo depurato. Di seguito nel tema del paesaggio, si possono ravvisare echi dei migliori vedutisti lagunari del tempo, da Seibezzi a Eugenio da Venezia, e un avvicinamento al “chiarismo “ di Pio Semeghini.
Ma negli anni ’40 i colori si rafforzano, con accostamenti violenti di natura espressionista, specie nella raffigurazione di animali, che per un lungo periodo diviene il tema prediletto. Amante della natura e della caccia che per lui più che altro era un pretesto per osservare il comportamento degli animali e per godere dell’esplorazione di campi e boschi nell’assolata campagna prima istriana e poi veneta, produce tutta una serie di svelti e sapientissimi disegni di animali in fuga, lepri, cacciate, colpite, accucciate, e cani con germani fra i denti. E tanti animali dipinti ad olio., cavalli, galli, anche negli anni successivi, galli superbi nella pienezza vitale o stesi, in urtanti contrasti cromatici.
La pittura di Cocever contiene vari echi; a volte la pennellata strutturante di Cézanne, l’energia segnica e cromatica di van Gogh, e soprattutto la variegata cultura di “900” italiano. Si tratta di risvolti di una cultura comune, filtrati da una personale cognizione pittorica tendente all’essenza, all’esaltazione dei vuoti e del silenzio.
Anche i numerosi ritratti di sé, continuamente rinnovati nel trascorrere del tempo, e dei propri familiari (vitalissimi i teneri ritratti delle figlie bambine) emergono dal vuoto, da fondi intrisi di luce. E i volti sono fatti di pochi segni espressionisti, rivelatori tra l’altro, di una straordinaria capacità disegnativa, espressa anche nelle litografie e xilografie. Né mancano i fiori, le nature morte, classici spunti tematici del paradigma pittorico novecentesco. Paragonati tra quelli degli anni ’30 e quelli degli anni ‘50/60, attestano il progressivo sciogliersi delle forme, e della compattezza strutturale verso una leggera trasparenza che tende a raccontare di più le atmosfere che non le cose.
Gli ultimi paesaggi che guardano al mare, raggiungono la rarefazione, il disfacimento, suggerito a volte anche dalla tecnica ad acquerello. Diventano paesaggi della mente, dello spirito, dove vien meno la consistenza materiale. Un percorso dunque verso la spiritualità, di un artista che ha amato il mondo, la natura, i sentimenti profondi della vita.
Maria Campitelli
Inaugurazione Sabato 21 dicembre alle ore 18
Sala Comunale d’Arte Giuseppe Negrisin
Piazza Marconi n.1 Muggia
Museo d’Arte Moderna Ugo Carà
Via Roma n.9 Muggia
orario: da martedì a venerdì 17.00 -19.00
sabato 10.00-12.00 e 17.00 -19.00
domenica e festivi 10.00 -12.00