Gli standard dell'amore. L'estrema fragilita' dei legami umani e la sensazione di insicurezza che incutono, sono tra le tematiche trattate nei dipinti di Timi.
a cura di Francesca Alfano Miglietti
L’estrema fragilità dei legami umani, la sensazione di insicurezza che essa incute, la
necessità di stringere i legami e contemporaneamente di mantenerli allentati, sono tra
le tematiche che si snodano lungo tutte le immagini della prima esposizione di opere
pittoriche di Filippo Timi.
Opere che riproducono un ricordo affettivo privato, e come in tutte le opere della memoria,
di un altro tempo, tutto diviene instabile, effimero, incerto e la fragilità che caratterizza la
vita di ognuno contagia, inevitabilmente, anche i legami affettivi.
Scrive Gilles Deleuze: “La solitudine genera insicurezza, ma altrettanto fa la relazione
sentimentale. In una relazione, puoi sentirti insicuro quanto saresti senza di essa, o anche
peggio. Cambiano solo i nomi che dai alla tua ansia”.
I protagonisti di queste opere sono figure familiari e sentimentali di Filippo Timi, spesso lui
da bambino e da ragazzino. Momenti di un album privato che Filippo ha voluto ripercorrere
‘riproducendoli’, ricalcandoli, copiandoli, proiettandoli, memorie e tensioni e visioni e
situazioni, in cui emerge prepotente il desiderio di proteggere, riparare, accarezzare,
coccolare e accudire, e anche di difendere, e isolare, giorni e rapporti. Per Timi il linguaggio
pittorico è la capacità di ricreare legami, lo strumento che permette di superare la distanza
fra noi e l’altro; ma nel momento in cui entra in rapporto con le sue foto private, la
distanza, di fatto, viene a riproporsi.
Le opere di Filippo Timi sembrano voler dialogare con chi guarda con stile sincero,
lacerante, a tratti poetico: con le sue immagini riesce a creare un ponte fra i suoi
“personaggi” e l’osservatore che li percepisce con attenzione, perché sembrano toccare i
sentimenti legati alla perdita: pur essendo immagini estrapolate in una vita precisa e in un
tempo preciso, possono essere guardate restando fuori sia dal tempo sia dallo spazio sia
dal contesto.
Tutte le immagini ritratte da Timi diventano così un luogo immaginario, nel
quale si prende coscienza del valore della vita, un luogo dove niente è estraneo, niente è
indifferente, niente è accaduto invano.
Il tema di queste tele di Filippo Timi sembra però essere la dissoluzione dell’immagine,
sceglie questa tecnica come ideale mezzo per evocare e riprodurre immagini private. Timi
sembra aver voluto esplorare la relazione esistente tra la realtà e la sua rappresentazione
mediante la fotografia fino a fare dei personaggi dei suoi ricordi delle immagini sfocate.
Ben consapevole della fascinazione per la pittura di Gerhard Richter, Timi ‘scopre’ il potere
delle immagini, facendo emergere o scomparire le immagini stesse. Timi rianalizza le
figure del proprio passato per creare immagini che riflettono istintivamente i confini tra
la rappresentazione e l’astrazione, dipingendo forme in dissolvenza tratte da fotografie di
luoghi apparentemente marginali in cui il vedere è il principale protagonista. Opera dopo
opera emerge un’immagine accidentale poi tradotta in un dipinto, e in cui processi di
trasformazione generano forme evanescenti, come la materia stessa del ricordo.
Diverso il discorso che riguarda i disegni. Una collezione di oranghi, gorilla, scimmie e
scimpanzé. La scimmia, da sempre figura onnipresente nella mitologia e cultura, sembra
possedere un’immagine enigmatica ma è spesso circondata da un’aurea di comicità, come
se fosse, allo stesso tempo, un clown e uno stregone.
Filippo Timi, che non ha formazione accademica, vede nel disegno una forma di purezza
formale a cui attingere per la propria fantasia, e la possibilità di rappresentare una
insolita compagnia. Tecniche diverse che altro non esprimono se non il suo desiderio di
sperimentare tutto ciò che di non familiare riesce ad usare per creare le sue opere.
Un Timi inaspettato, pieno di pudore e di delicatezza. E ora anche la primavera può arrivare.
Francesca Alfano Miglietti
Filippo Timi, nasce a Perugia nel 1974. Attore di teatro, quello di ricerca e sperimentazione che
passa dal Centro di Pontedera (Pisa) e dalla compagnia di Giorgio Barberio Corsetti, e vince il
Premio Ubu quale miglior attore dell’anno under-30, per le interpretazioni negli spettacoli più
recenti come “Metafisico Cabaret”.
Timi inizia la carriera cinematografica nel film In principio erano le mutande (1999) di Anna
Negri e nel 2005 prende parte al film Onde di Francesco Fei. Nel 2007 recita in Saturno Contro di
Ozpetek e In memoria di me di Saverio Costanzo.
Nel frattempo esordisce come scrittore, insieme a Edoardo Albinati, e scrive a quattro mani il
romanzo, “Tuttalpiù muoio” e “E lasciamole cadere queste stelle”. Dopo il ruolo di protagonista
in SignorinaEffe e I Demoni di San Pietroburgo di Giuliano Montaldo, sulla vita di Dostoevskij,
arriva la consacrazione al grande pubblico. Nel 2008 è protagonista del film Come Dio Comanda,
di Gabriele Salvatores da Ammaniti, dove recita al fianco di Elio Germano. Nel 2009 Timi è stato
presente in concorso ai due più importanti festival del cinema: a Cannes con Vincere di Marco
Bellocchio, dove interpretava sia il giovane Mussolini, che il suo figlio misconosciuto albino e a
Venezia con l’esordio alla regia di Giuseppe Capotondi in La doppia ora. Nel 2013 interpreta il
fratello malato di Valeria Bruni Tedeschi nel film della regista/attrice Un castello in Italia ed è poi
protagonista del film di Mirko Locatelli I corpi estranei.
Per il teatro nel 2009 è autore, con Stefania De Santis, de Il popolo non ha il pane? Diamogli le
brioche, che lo vede regista e principale interprete nel ruolo di Amleto. Nel marzo 2011 è in scena,
al teatro Franco Parenti di Milano, con lo spettacolo da lui scritto, diretto e interpretato: Favola.
C’era una volta una bambina, e dico c’era perché ora non c’è più.
Nel luglio 2011 presenta
– nell’ambito del Festival dei due Mondi di Spoleto
– la prima teatrale
di Giuliett’e Romeo. M’engolfi ‘l core, amore, riduzione in volgare perugino dell’opera di William
Shakespeare e da lui scritta, diretta e interpretata. Nel 2012 è protagonista della stagione estiva
SummerTimi del teatro Franco Parenti di Milano, dove ripropone gli spettacoli Amleto 2 , Favola.
C’era una volta una bambina, e dico c’era perché ora non c’è più e Giuliett’e Romeo. M’engolfi ‘l
core, amore.
Nel 2013 debutta al teatro Franco Parenti di Milano con la personale versione del Don Giovanni,
con il sottotitolo Vivere è un abuso, mai un diritto.
A marzo 2014, sempre al teatro Franco Parenti di Milano, il debutto del suo nuovo spettacolo
teatrale Skianto, sempre nella veste di scrittore e protagonista
NEGRI FIRMAN PR & COMMUNICATION
Milan Office
ph: +39 02 890 96 012 antoniomarras@negrifirman.com
NY Office
Giovanna Noè
ph: +1 212 837 2720 giovanna@negrifirman.com
Inaugurazione 21 Marzo, ore 19.30
Circolo Marras
via Cola di Rienzo, 8 (cortile interno) , Milano
Orari: 10-19
Ingresso libero