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Katja Davar e Nele Waldert
dal 21/5/2014 al 11/9/2014
lun - ven 10-13 e 14-19, sab su appuntamento

Segnalato da

Effearte




 
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21/5/2014

Katja Davar e Nele Waldert

Effearte, Milano

La mostra di Davar, "Lettura di un'onda", presenta fitte trame decorative realizzate a mano e poi trasformate in video-animazioni. Waldert in "Della dissimulazione onesta" espone piccole sculture fatte dei materiali piu' disparati.


comunicato stampa

Raddoppia l’ultimo appuntamento della stagione con due personali delle artiste Katja Davar e Nele Waldert. Le due mostre Katja Davar. Lettura di un’onda, prima personale dell’artista in Italia, e Nele Waldert. Della dissimulazione onesta, seppure inaugurate e ospitate contemporaneamente negli spazi della galleria, sono autonome sia nell’allestimento sia nel concept. Entrambe attive nel cuore della regione renana, rispettivamente a Colonia e a Düsseldorf, e pressoché coetanee, Katja Davar e Nele Waldert sviluppano tuttavia ricerche dai presupposti e dagli esiti completamente differenti.

Katja Davar (Londra, 1968) vive e lavora tra Londra e Colonia. Le sue opere rispecchiano, con la loro complessità compositiva, l’elevato grado di approfondimento teorico da cui muovono. I suoi “paesaggi virtuali” sono il risultato di un’originale ricerca che combina un vedutismo di matrice classica e orientale; il potenziale estetico della più recente grafica statistica e della moderna logica diagrammatica; e l’interesse, in parte stimolato dalle origini iraniane della sua famiglia, per le primigenie forme di scrittura prealfabetica, con particolare riguardo alla tradizione cuneiforme dell’antica Mesopotamia.

A una scrupolosa ricerca storico-filologica l’artista affianca un metodo di lavoro altrettanto meticoloso: si affida esclusivamente al disegno a mano (utilizzando solo matita e china su carta o tela, appositamente levigata con carta abrasiva) oppure a matrici da lei stessa realizzate, che le consentono di reiterare indefinitamente lo stesso motivo simbolico in fitte trame decorative. La medesima perizia tecnica si ritrova anche nelle video-animazioni, dove i singoli disegni, modellati con raffinati strumenti digitali, si trasformano in oggetti tridimensionali in movimento, accurati e poetici.

Lettura di un’onda è il titolo del primo, paradigmatico capitolo di Palomar (1983), l’ultimo libro di Italo Calvino. Il signor Palomar è «un personaggio in cerca di un’armonia in mezzo a un mondo tutto dilaniamenti e stridori» e, per trovarla, tenta di descrivere, con precisione quasi maniacale, ogni singolo fenomeno naturale o sociale che attiri il suo interesse conoscitivo. Sebbene impostata secondo i rigorosi dettami del moderno metodo scientifico-matematico, al quale il signor Palomar si ispira e di cui subisce il fascino, senza tuttavia poterne o volerne padroneggiare tutti i risvolti, questa personale lettura del mondo ha esiti principalmente lirici. L’atteggiamento di Palomar – in ciò risiede l’affinità con la proposta di Katja Davar – rievoca una dimensione ibrida, a cavallo tra scienza e poesia, tra scienza e arte, già tipica dell’epoca rinascimentale ed elisabettiana.

Come ha messo in luce la storiografa britannica Frances Yates, il progetto scientifico moderno è sorto quando le discipline matematiche si sono emancipate dalla cultura tardo cinquecentesca, orientata al nascente metodo galileiano, ma ancora impregnata di ermetismo e neoplatonismo, con i loro tradizionali correlati: esoterismo, magia e alchimia, occultismo, cabala e astrologia. Non vigendo ancora una netta distinzione tra scientiae e artes, queste pratiche conoscitive, come attestano molti pionieri delle scienze esatte – tra cui Cartesio nel Discorso sul metodo (1637) e Francis Bacon nel Novum organum (1620) –, erano chiamate curiosae scientiae, un concetto che ci sembra definire nel migliore dei modi sia il gesto letterario di Palomar sia la ricerca artistica di Katja Davar.

Nele Waldert (Düsseldorf, 1964) vive e lavora a Düsseldorf. Della dissimulazione onesta è la sua seconda personale in Italia. Le opere di Nele Waldert sono sculture di piccole e medie dimensioni, realizzate con i materiali più disparati. Quasi tutte le lavorazioni avvengono direttamente nel suo atelier, mentre per altre (come la cottura di determinate terracotte e ceramiche o la soffiatura del vetro) ricorre a laboratori esterni; solo in rari casi commissiona produzioni particolari ad artigiani esperti.

Il fulcro della sua ricerca è il tentativo, in continua evoluzione e forse giunto finalmente a compimento, di trovare un essere umano “modello”, l’uomo standard: volto inespressivo; tratti somatici privi di età e provenienza geografica; sessualità incerta. Il risultato è un singolare essere a cavallo tra l’antenato ermafrodita biblico o platonico e l’odierno uomo qualunque, anonimo, globalizzato, erede del sujet o citoyen universale teorizzato dagli illuministi. Spesso questa ricerca di neutralità rende tali soggetti lievemente inquietanti, esseri alieni o addirittura alienati. Questo turbamento è minore dinnanzi alle figure animali, poiché, per stessa ammissione dell’artista, sono più facilmente standardizzabili in quanto non occorre neutralizzarvi (nel doppio senso di «eliminare» e «rendere neutra») una psicologia complessa e fortemente individualizzata.

Come nella statuaria greca arcaica, i “ragazzi” di Nele Waldert hanno un’impostazione frontale, le braccia accostate al corpo e un sorriso indecifrabile: kouroi privati dell’ideale atletico e della valenza edificante. Inoltre, mentre nel kouros e nella kore il cosiddetto «sorriso arcaico» è imputabile a limiti tecnici e a una mancanza d’interesse per l’analisi introspettiva, nelle sculture in mostra, all’opposto, è l’esito consapevole di un processo che elide proprio quel bisogno di verità e di scavo interiore che connota la successiva ritrattistica occidentale e la storia della fisiognomica.

Benché collocati in situazioni bizzarre e improbabili, i personalissimi kouroi di Nele Waldert, grazie alla loro atarassia espressiva, diventano inconsapevolmente i migliori esponenti della dissimulazione onesta: il contegno cui lo scrittore napoletano Torquato Accetto dedicò nel 1641 l’importante trattato che dà il titolo alla mostra. «La dissimulazione», secondo la sua definizione, «è una industria di non far veder le cose come sono. Si simula quello che non è, si dissimula quello ch’è». Nella loro quieta imperturbabilità, «tollerando, tacendo, aspettando», le piccole sculture dell’artista renana non reagiscono, perché «in questa vita non sempre si ha da esser di cuor trasparente» e, grazie a questa raffinata dissimulazione, riescono a entrare in sintonia con tutti gli spettatori.

© 2014 Veronica Liotti

Inaugurazione 22 maggio dalle 18,30.

Effearte
via Ausonio, 1 A
20123 Milano
orari:
lunedì/venerdì 10-13 e 14-19
sabato su appuntamento

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