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Howtan
dal 3/2/2004 al 30/3/2004
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Segnalato da

Sara Lucci



approfondimenti

Howtan



 
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3/2/2004

Howtan

Galleria Contarte, Roma

Pratica dello strappo. La fotografia di Howtan effettua come uno strappo delle cose, una riduzione di superficie attraverso cui affiorano persistenze e residui di profondita'. L'occhio del fotografo parte da una pratica costante, che e' quella dell'assedio, di uno sguardo circolare da cui poi passa a un affondo che viviseziona il panorama d'insieme e estrapola il particolare.


comunicato stampa

PRATICA DELLO STRAPPO

La fotografia, per definizione, è una pratica dello strappo, uno strappo di pelle della realtà, una intenzionale riduzione della tridimensionalità del reale nella bidimensione del fotogramma. Ma tale sottrazione non è una riduzione di spessore bensì può diventare un ampliamento dell'intensità concettuale e mentale dell'opera d'arte. Lo strappo dunque può funzionare come un ampliamento riflessivo dell'immagine dell'arte attraverso l'immagine fotografica. La macchina fotografica diventa lo strumento di trasferimento da un linguaggio a un altro, lo spostamento progressivo da uno stato sensibile della materia dell'arte in quello di un superficialismo splendente che afferma e ferma la processualità insita in molte opere d'arte degli ultimi anni.
Perché questo avvenga è necessario che l'occhio fotografico riesca a memorizzare l'intensità, quella qualità determinante dell'arte che ne fonda anche il valore. Perché esiste una intelligenza dell'opera, una evidenza lampante, interna all'immagine dell'artista, che va restituita, riportata e trasferita dentro il campo visivo della fotografia. L'intenzionalità dell'arte è la capacità dell'opera di parlare il proprio senso, incarnato nei diversi materiali attraverso cui si traveste. Per questo la fotografia non può adoperare un occhio statistico e neutrale ma deve assediare l'opera per tra­sferirne la ragione interna, per portare sulla superficie splendente dell'immagine bidimensionale ciò che cova e fermenta dentro il tessuto dell'arte.

La fotografia rispetto all'arte tradizionale, pittura o scultura, ha sempre adoperato l'ottica della frontalità, una posizione da fermo per cui ha fronteggiato con il cavalletto un'arte da cavalletto. L'arte prodotta negli ultimi anni impedisce che la peripezia visiva del fotografo avvenga da fermo, lo spinge a una mobilità attiva e penetrante. Howtan utilizza tale dinamica per co­gliere la dinamica interna di opere legate al valore di una processualità aperta e incessante, il tempo vivo del corpo.

Alla formalizzazione di un mondo congelato dentro le sue funzioni produttive, l'arte risponde con il senso di una fluidità che scongela i materiali dalla loro posizione iniziale, per immetterli nel tessuto dinamico dell'opera, realizzata all'incrocio di molti rimandi al cinema, pubblicità, al set performativo del teatro della crudeltà. Dalla Body Art all'azionismo viennese, dal cartoon alla pornografia, dalla moda al film erotico, dal sadomasochismo al voierismo, Howtan, con felice cleptomania, recupera stimoli linguistici da una famiglia di artisti che non sono parenti tra loro: Artaud, Kubric, Serrano, Golden, Araki, Abramovich, La Chapelle, Kern. Howtan allora si pone di fronte alla nuova situazione con un'ottica che asseconda il lavoro e la mentalità del suo tempo, riuscendo a riportare nell'immagine fotografica la temporalità che governa l'arte, quel movimento eccellente che aggrega e nello stesso momento scompagina i diversi elementi dell'opera.
Così la fotografia diventa lo specchio dinamico che compie una sorta di movimento verso la vita. Infatti Howtan entra col lavoro penetrando dentro gli interstizi temporali e spaziali della scena prodotta e documentandola nei suoi passaggi. Il risultato è sempre un'immagine attenta a trasmettere anche l'eticità dell'arte come fare, un nuovo modo di mettersi degli artisti di fronte alla creazione. Da qui l'interesse del fotografo finanche per la posizione fisica nei suoi momenti ope­rativi, per la maniera di fronteggiare l'opera nella sua formazione, crescita e sviluppo.
Ma l'ottica non è mai psicologica benché sempre tesa verso la possibilità di ampliare il senso dell'opera, mediante il tentativo di fotografare il procedimento, l'artista all'opera, colto nel mo­mento di un'operosità manuale e concreta. Perché l'arte di Howtan fonda nella processualità e nella velocità di aggregazione il valore d'uso di materiali naturali, artificiali, consistenti, impalpabili, comunque adatti a sollecitare una risposta sensoriale e a produrla. Ogni opera richiede molti scatti, molti spostamenti di campo e di sensibilità mentale.

Howtan ha realizzato sequenze d'immagini che si pongono come una lettura visiva del corpo, nell'intento non soltanto di restituire fedelmente il senso della vita, ma anche per cogliere il senso della forma. Infatti la fotografia non ferma mai l'opera in un'ottica standardizzata ma utilizza uno sguardo nomade e dinamico, rallentato e statico, a seconda del ritmo interno e della diversa connotazione dati dall'artista alla propria situazione estetica.
Questo dimostra che l'arte degli ultimi anni non privilegia mai un unico punto di vista in quanto non privilegia mai una creatività chiusa su di un'unica ossessione o poetica. La disparità dei materiali, la diversità dei luoghi della sua produzione dimostrano come essa intenda sollecitare e intensiflcare momenti della realtà che giacciono orizzontalmente intorno all'operatività dell'arte: più che sulla pelle delle cose vuole agire sulla sostanza biologica che le regge.
Tenere l'opera aperta ai flussi della temporalità significa cercare di ricostituire una totalità perduta. Significa ricomporre la frattura che segna di sé e separa il mondo dall'arte. La processua­lità interna all'esperienza estetica trova nei lavori di questi e altri artisti la sua affermazione e la sua concretizzazione. Energie fisiche e mentali vengono scatenate da opere che rifiutano la conden­sazione chiusa di una forma statica. Esse cercano uno sbocco nella dinamica di processi che attivano forze visibili e invisibili, fluidi e magnetismi sotterranei.
La maggior parte di questi lavori tende anche a un'occupazione fisica dello spazio, a uno scardinamento della cornice del quadro, proprio per entrare in un contatto diretto e immediato con la realtà fenomenica. Quando la cornice viene ripristinata è soltanto per aumentare la concentrazione mentale dell'opera, attraverso una introiezione dentro il campo estetico dell'energia materiale e mentale, biologica e culturale, esistente all'esterno dell'arte. Fare arte significa suscitare onde magnetiche al di sopra e al di sotto del suo sistema.
L'arte di Howtan ha attraversato molte prove, anche in rapporto a fenomeni legati e attinenti all'identità, partecipando a elaborare una mentalità diversa e alternativa. Il rapporto con la natura e la cultura ha trovato nel lavoro fotografico, la possibilità di articolarsi secondo nuovi modi di pensare, di vedere e di sentire. Il desiderio di destrutturazione, che presiede le trasformazioni è presente chiaramente nelle ultime opere.

Come sempre l'arte scavalca il presente e cavalca il futuro.
Il microcosmo dell'opera rimanda al macrocosmo del mondo e cerca di fondare un luogo di intensa totalità, dove è possibile collegare forze fisiche, psichiche e sociali nell'unità processuale dell'arte. L'arte tiene comunque aperte e mobili le relazioni, così come è mobile il mondo: i corpi sono assemblati ma non saldati in nessi troppo stretti. Tale libertà comporta anche una dinamica operativa, una fluidità che Howtan è riuscito a riprendere nei suoi fotogrammi. La fissità dell'immagine conserva comunque la memoria di una mobilità tipica dell'arte in questione e anche del clima socialmente conflittuale di questi ultimi anni.
Perché l'arte, essendo movimento per eccellenza, non si ferma mai, pronta a operare scavalcamenti o riprese. Ora all'idea sperimentale degli ultimi anni è subentrata una diversa mentalità, più legata alle emozioni intense dell'individualità e di una fotografia che ritrova il suo valore all'interno dei propri procedimenti. La sensibilità dell'arte tende a riportare il lavoro fuori da ogni omologazione internazionale a favore di una ricerca individuale e non di gruppo. Comunque la fotografia di Howtan ripropone la propria centralità rispetto a una realtà ghettizzante, pronta a allargare il proprio influsso e nello stesso tempo a concentrarsi sulla propria intensità.

La fotografia ormai ha varcato il guado e non può più essere considerata un linguaggio subalterno dell'arte. L'occhio meccanico e obiettivo della macchina fotografica non ha alcun automatismo che lo obbliga a coniugare la stessa ottica, ma è aperto a molti stimoli e memorie che gli consentono ormai variazioni e spostamenti. Comunque resta il fatto che la fotografia tende sempre a sottrarre un dato della realtà dalle sue relazioni d'insieme e con­segnano alla definitività dell'attimo e dell'istantaneità.

La fotografia di Howtan effettua come uno strappo delle cose, una riduzione di superficie
attraverso cui affiorano persistenze e residui di profondità. L'occhio del fotografo parte da una pratica costante, che è quella dell'assedio, di uno sguardo circolare da cui poi passa a un affondo che viviseziona il panorama d'insieme e estrapola il particolare. Velocità e congelamento sono le polarità entro cui si muove la fotografia. La velocità è dettata dalla necessità di passare in rassegna il campo visuale d'insieme, su cui scorre l'occhio prensile del fotografo.
Il congelamento è il portato della scelta e della preferenza denunciata dalla inquadratura che stabilisce così il bordo della visione, il confine che separa e privilegia il dettaglio. In questo senso la fotografia è un esercizio linguistico, in quanto determina un oscuramento delle parti non messe a fuoco dall'obiettivo e lasciate fuori dall'immagine e il conseguente abbagliamento del dettaglio privilegiato. Memoria e dimenticanza sono i movimenti oscillanti, le pendolarità entro cui corre e scorre l'occhio del fotografo. Perché egli non può non tener conto di ciò che lascia fuori dall'inquadratura.
Howtan ha sempre operato all'interno dello specifico fotografico, riuscendo a calibrare il proprio occhio fisiologico in sintonia con quello obiettivo della camera, oscillando in maniera equilibrata tra capacità di riconoscere il reale e capacità di sorpassarlo mediante una perizia sensibile, quella di portare il dato nella condizione di segno di un linguaggio astraente rispetto alla realtà fotografata.
Egli ha capito che il linguaggio dell'immagine fotografica non si discosta da quello di altre arti, che l'arte in generale è sempre pratica splendente di una ambiguità senza soste, che il linguaggio dell'arte non parla mai direttamente e frontalmente del mondo ma lo coniuga sempre obliquamente e trasversalmente. Insomma Howtan ha capito che anche la fotografia, che tradizionalmente sembrava porsi frontalmente rispetto alle cose come pu­ra registrazione, possiede invece un occhio obliquo e laterale che guarda le cose e le riflette modificate di segno, spostate in un altro luogo.
Così viene schivato il pericolo di un naturalismo insito nel meccanico mimetismo che è sembrato pervadere il genere fotografico. Invece Howtan dimostra come l'apparato di registra­zione delle cose, la camera monoculare dell'apparecchio foto­grafico, passando attraverso il taglio, l'inquadratura e il colore, costituisce non tanto un linguaggio parallelo, bensì un alfabeto che parla un'altra lingua rispetto alla forza dialettale del quotidiano. Una lingua che naturalmente non manca di memoria, il riferimento alla realtà di partenza, ma che ha la qualità di trasferirla dentro la lampante istantaneità di un alfabeto che parla anzitutto se stesso e si muove secondo regole interne.
Le regole del linguaggio di Howtan sono estremamente fles­sibili e tendono a muoversi lungo una doppia tangente, quella dell'analisi del dato e quella della sua trasfigurazione sintetica. L'analisi comporta un approccio alla realtà da fotografare in tutte le sue relazioni e complessità oggettuali. Solo partendo dal complesso è possibile poi approdare al semplice, visto come particola­re estrapolato dai suoi nessi iniziali. Howtan ha compreso che la fotografia lavora nella direzione del ready-made, dell'oggetto bello e fatto, che comunque non resta mai tale dopo il suo spostamento sulla pelle della pellicola.

Il taglio che il fotografo effettua costringe il dato a approda­re a una sua involontaria assolutezza, confinante con una splendente e esibita solitudine che annulla ogni altra realtà confinante riducendola a puro sospetto visivo, cioè a fantasma che si può soltanto ipotizzare. Infatti le fotografie di Fontana lasciano sempre intravedere ai bordi ritagli di realtà sezionate e lasciate fuori dall'inquadrature, che pure premono con qualche dettaglio ai confini esterni dell'immagine. Fontana tende sempre a dimostrare che la realtà è complessa, sezionabile quanto si vuole ma mai annullabile.
La storia dell'arte ci ha abituato a considerare la sua produ­zione come una pratica soggettiva dell'occhio che piega a propria immagine e somiglianza il reale mediante gli attrezzi del linguaggio. L'immagine è sempre la conseguenza di una piega, di una torsione dell'occhio dell'immaginario intorno al proprio campo visivo, di un movimento irrimediabilmente soggettivo e affettivo.
La fotografia di Howtan invece ha introdotto un procedimento anaffettivo, una mentalità che sembra meglio fare il calcolo delle cose e strappare alla realtà la pelle. Un luogo comune assegna alla fotografia il luogo di una crudele oggettività, il senso di una pratica chirurgica che seziona, taglia e preleva il dettaglio dalla rete di relazioni con il mondo.

La distribuzione dei ruoli assegna quindi all'artista il posto dello sguardo eccentrico ed al fotografo quello dello sguardo statistico, all'arte il privilegio di assecondare la malattia della soggettività e alla fotografia il compito di sviluppare l'impossibile atteggiamento dell'impassibilità e della neutralità.
Howtan che pratica sempre una tangenza adesiva e schiva con il mondo dell'arte, capovolge questo luogo comune e introduce nell'ambito dell'immagine fotografica la torsione tipica dell'anamorfosi che appartiene alla storia della pittura, adope­rando rigorosamente gli strumenti del linguaggio fotografico. Egli si mette nella posizione del duello, nella frontalità istituzionale del fotografo di fronte al dato, ma non lascia scattare il dito sulla macchina precipitosamente, bensì promuove una serie di relazioni e di rispecchiamenti, per cui arriva all'immagine mediante un ral­lentamento mentale e l'assunzione di una posizione di lateralità rispetto al proprio mezzo.

La foto non è casuale e istantanea, non è il risultato di un raddoppiamento elementare, bensì di una messa in posa che complica e rende ambigua la realtà da cui parte.
Una torsione, tipica dell'anamorfosi, torce l'immagine, la accartoccia e la modifica, nel tentativo di introdurre nell'ambito della visione l'eccentrico. Se l'anamorfosi produce il risultato dell'oscuramento, dell'interdizione della visione frontale dell'opera, il processo esecutivo richiede il rigore della costruzione. Allora Howtan piazza il proprio modello lungo una coordinata per cui esso viene colto dall'obbiettivo fotografico soltanto alla fine di una serie di rimbalzi speculari, nell'alveo splendente di un corpo nudo in piscina o avvolto dalle fiamme, oppure segnato dal rosso del sangue che quasi diventa un colore.

In questa maniera la figura perde le proprie proporzioni e acquista una sinuosità e una flessibilità adattata allo spazio in cui si rifugia a seguito dei vari rispecchiamenti. L'anamorfosi qui è ri­gorosamente costruita come organizzazione spaziale, come evento reale e non realizzata direttamente mediante il freddo uso degli attrezzi fotografici che, volendo, possono produrre mille giochi di deformazione mediante il grand'angolo. Il riporto dell'immagine sulla tela allude alla possibilità di portarla nello spazio di una visione culturalmente più complessa e di una tradizione più vicina all'arte figurativa.
D'altronde Howtan opera attraverso la messa a punto di momen­ti operativi molteplici, secondo il progetto di una scena che va prima costruita e poi fermata dall'occhio fotografico. Ora l'occhio ac­cetta la malattia, l'introduzione di un immaginario che riesce prima a disporre le cose secondo un rigore spaziale direttamente collegato alla possibilità del risultato fotografico, e poi a catturarle mediante l'impiego di un'ottica specifica.
Finalmente la fotografia assume l'artificio di preordinare la realtà e di cogliere l'evento senza sorpresa e improvvisazione, ma con l'attesa di un'immagine che rispecchia affettivamente una visione soggettiva.
Achille Bonito Oliva

Inaugurazione il 4 febbraio alle ore 19.30

Le opere di howtan rimarranno in esposizione fino al 30 marzo ma verranno affiancate del 4 marzo da opere di altri artisti contemporanei che operano nel mondo del design oggettistico.

galleria contarte
Roma, Piazza della Maddalena 2 (00186)
+39 3356459565 (info)

IN ARCHIVIO [2]
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