Il lavoro fotografico di Ivo Saglietti e Federica De Angeli; un viaggio, documentario e onirico, all'interno dell'area un tempo occupata dallo stabilimento siderurgico nazionale.
Il primo appuntamento di ArtPhotò 2015 presenta immagini di reportage con l’obiettivo di proporre un autore di fama internazionale, Ivo Saglietti, che utilizza un altro interessante e significativo linguaggio della fotografia.
Ivo Saglietti, fotoreporter è da sempre attratto da complesse situazioni sociali che nel caso di Ilva Cornigliano lo spingono ad unirsi alla sua amica fotografa Federica De Angeli per affrontare il progetto in mostra.
Ilva Cornigliano è un viaggio, documentario e visionario, attraverso le aree un tempo occupate dal più importante stabilimento siderurgico nazionale. E’ già stato presentato nel 2012 a GenovaFotografia sostenuto dall’assessore alla cultura Ranieri.
Tutto parte agli inizi degli anni 2000, terminata l'era delle grandi industrie a partecipazione statale, e con il passaggio ad una fase post-industriale, Genova ritorna ad essere un importante crocevia commerciale con una forte vocazione turistica. Cornigliano, superati i difficili giorni della crisi operaia, tenta di riacquistare una nuova fisionomia in un rinnovato equilibrio socio-urbanistico.
Nel 2005 la chiusura dell'altoforno comporta un miglioramento delle condizioni ambientali. Sempre nello stesso anno è firmato l'accordo definitivo con l'impresa ILVA (Gruppo Riva), che riconsegna oltre 300.000 m2 alla disponibilità pubblica.
Nel 2006 iniziano le demolizioni delle strutture presenti nelle aree da restituire alla città.
Tra il 2006 e il 2008 Ivo Saglietti e Federica De Angeli riprendono le immagini di questo cambiamento, realizzando la documentazione fotografica dedicata alla dismissione degli impianti produttivi. “Nessuna committenza è dietro alle scelte dei fotografi, che agiscono in completa autonomia, perseguendo un progetto visivo e culturale totalmente libero, animati in prima istanza dal desiderio di restituire alla fotografia uno dei suoi compiti primari: la conservazione della memoria, nello specifico quella del delicato passaggio tra deliberata demolizione e prossima destinazione, tra un difficile e ancora visibile passato e un futuro in costruzione, ancora invisibile…Il percorso, rigorosamente in bianco e nero, ci riporta all’in- terno del complesso industriale, corpo in rovina nei cui meandri i fotografi si muovono all’apparenza senza sistematicità, seguendo itinerari personali, quasi emozionali. Sono immagini nelle quali il tempo sembra sospeso, e gli scatti hanno il ritmo lento della riflessione, che impone an- che a noi uno sguardo attento e prolungato. Non sono con- clamata denuncia, né asettica documentazione: dietro le immagini vibra la tensione morale e civile dei fotografi, che ri-vendicano il diritto di esprimere la propria esigenza espressiva, rimanendo fortemente ancorati alla cruda materia nel- la quale si immergono, e che non temono di evidenziare con nitide messe a fuoco, anche in primo piano.
Le fotografie di Federica De Angeli hanno un’evidente dimensione onirica. Lunghe diagonali, di sapore classico, conducono lo sguardo verso un orizzonte tendenzialmente infinito, sul quale si ergono residui spettrali di strutture un tempo imponenti. Federica propone, con piccole modifiche del punto di ripresa e minimi scarti temporali, immagini all’apparenza simili dove l’improvvisa percezione di mutamenti e assenze, quasi invisibili a uno sguardo frettoloso, o di spazi inaspettatamente invasi da materia, producono stranianti sensazioni di sorpresa. Con poche eccezioni, la città quasi è annullata in uno sfondo indistinto, spazio di vita drammaticamente scisso dai luoghi della produzione. Saglietti sembra procedere con misurati contrasti. Una lucida e razionale impostazione, sottolineata da riprese frontali, forti geometrizzazioni e netti contrasti chiaroscurali, si accompagna a registri più drammatici, suggeriti da cieli plumbei e saturi di nubi, segnale di intensa partecipazione emotiva alla sottesa vicenda umana e politica.
Aperture di ampio respiro, d’impostazione vedutista, racchiudono scheletri architettonici, detriti e macerie dell’antico ciclo produttivo; lo sguardo si stringe su particolari dalla forte carica evocativa: residui di laminati, rifiuti sui quali caparbiamente una pianta afferma la propria volontà di vita. Riprese frontali ravvicinate restituiscono composizioni di sapore astratto, e l’unica sequenza che registra una presenza umana – lavoratori colti nell’atto non più di produrre, ma di dismettere gli impianti – si chiude su silhouettes che emergono dal buio, evanescenti ed illusorie. Presenza simbolica, ma non tragica, an- zi quasi ironica, una sorta di ready made, l’ultima figura dalle sembianze umane: una candida tuta operaia, abbandonata in una posa d’infinita stanchezza, nella quale il corpo sembra essersi prosciugato.” Testo di Elisabetta Papone dal catalogo della mostra.
Inaugurazione 16 gennaio alle 18.30
Spazio Eventa
via dei Mille, 42 - Torino Piemonte Italia
Orario: Martedì-Venerdì dalle h. 15.00 alle h.18.00
Ingresso Libero