Tra natura osservata e natura amata... Anche quando Antonietta Sabatini guarda un volto che lento emerge o tende a effondersi nel colore, la natura si dischiude perche' e' vista nella sua vocazione a comunicare, a farsi dire oltre l'immediato.
''Tra natura osservata e natura amata...''
Testo di Franco Patruno
Tra natura osservata e natura amata non c'è conflitto. La percezione è già adesione affettuosa dello sguardo. Tra guardare e vedere la tensione può essere, invece, etica: ci si può semplicemente imbattere nel e con le cose senza avvertirne la reale presenza, cioè la relazione profonda che già presiede il rapporto tra chi osserva e l'oggetto non solo intravisto. Vedere, invece, è penetrare, intuire l'inedito e il non scontato; ancor di più è lasciarsi precedere da ciò che finalmente è percepito come altro arricchente.
Anche quando Antonietta Sabatini guarda un volto che lento emerge o tende a effondersi nel colore, la natura si dischiude perché è vista nella sua vocazione a comunicare, a farsi dire oltre l'immediato. Il volto, allora, è una trasparenza che non s'impone, quasi trepido avanzare verso la luce che è nel colore. È evidente che la natura non solo partecipa a questo tenue gioco di velature che tende ad attenuare indebite accensioni. Non è dissolvimento della forma che, invece, costantemente affiora. Ma deve rimanere nella stasi del silenzio evocato, per non disperdere il ricordo ancora vivo e pulsante. È evidente pure che la sua è una ricerca costante di poetica e non un imperativo dogma estetico. In altri termini: se la ricchezza d'atmosfera, tipica di quell'impressionismo che è una costante del sentire d'arte (ben oltre il momento storico del suo fulgore), ha toccato solo marginalmente la pittura di Antonietta, la velatura che anima costantemente il suo accostarsi all'atmosfera diffusa ed effusa può, con tutte le apprensioni che ogni definizione suppone, dirsi romantica. Ma quello della pittrice è un percorso, un cammino, una ricerca. Penso ad una ''Natura morta'' del '96 che valuta inediti spazi ritmati da oggetti solidi che ''appaiono'' in concretezza piena senza alludere ad altro che non sia quell'oltre il quadro del colore che s'è fatto luce e sostanza atmosferica. Siamo, forse, in quell'ambito in tensione tra l'ultimo naturalismo arcangeliano (ma con Mandelli, prossimo all'esperienza inglese tra Bacon e Sutherland) e alcuni splendidi quadri di Congdon. Certo, l'artista non accede al gesto che sembra penetrare nelle cose per mutarle o evidenziarne i percorsi più drammatici. La sua ricerca, invece, è simile ad un pellegrinaggio della intuizione e delle forme; Antonietta sa che ogni passaggio verso una meta non è un frammento disperso, perché la sua consistenza e autonomia coincidono con quell'andare verso che è ricchezza di ogni procedere.
Franco Patruno
Galleria del carbone
via del carbone, 18/a
Ferrara