Medea... da Pasolini. Tratti certosini, rapide pennellate, decise o indefinite. Colori che si sovrappongono, colori che si confondono, una grande varieta' di tecniche e di sperimentazioni.
a cura di Olga Tamburini
Oli su tela, grafite, acquerelli: opere dell'artista Giovanni Robustelli, ancora una volta graditissimo ospite di Spazio Papel. Di seguito un interessante punto di vista di Olga Tamburini.
Tratti certosini, poi rapide pennellate, decise o indefinite. Colori che si sovrappongono, colori che si confondono, una grande varietà di tecniche e di sperimentazioni, ma soprattutto particolari capaci di folgorare lo sguardo, distogliere l’attenzione dal tutto per ammirare il particolare. Monili ricercati e raffinati, occhi che guardano, occhi che non si vedono, nascosti dal colore e pronti a raccogliere il dramma di tutta l’umanità, visioni in penombra, figure che si stagliano solenni e ritagliano luoghi/non-luoghi, spazi incastrati nella mente degli spettatori, ora mastodontici e sontuosi, ora delineati con tratti forti e chiari, eppur racchiusi in una sacralità riservata e raccolta.
Si potrebbe dire, per usare l’incipit del centauro Chirone nell’iniziazione di Giasone, che la mostra dell’artista ragusano Giovanni Robustelli (Napoli, Castel dell’Ovo fino al 4 luglio, poi presso Spazio Papel di Milano) è “una storia complicata di” simboli e suggestioni legate al capolavoro pasoliniano, storia attraversata da una fitta rete di trame e di esteriorizzazioni che non hanno a che fare con un esercizio retorico, ma si fanno in ogni opera metariflessione. La capacità di Robustelli di sconfiggere la staticità e l’immobilità delle figure, rischio insito nella trasposizione dal cinema alla pittura, crea un fermo immagine non solo sulle vicende e sui personaggi del film di Pasolini, ma sui drammi e gli archetipi che attraversano la tragedia di Medea.
Una rielaborazione certosina e paziente, istintiva e mai scontata, in cui Robustelli prende per mano i personaggi facendoli uscire dalla staticità: l’iniziazione di Giasone alla conquista del potere, i luoghi fisici ma soprattutto gli stati d’animo di Medea, le rappresentazioni di Eete, Apsirto, Chirone. La figura del centauro, simbolo della preistoria millenaria, viene spesso ritratta dall’artista: in Giasone e il Centauro (tecnica mista su tela, 2015) appare centrale la sacralità del bambino (in contrasto con le vicende successive), il corpo nudo, gli occhi che guardano lontano e l’evidenza del naso e della bocca. Lo sguardo di Chirone rivolto in alto rivela la ricerca della sfera sacra tanto cara a Pasolini nel Vangelo secondo Matteo, lasciando aleggiare la sensazione che lo sguardo del centauro sia accolto dal Sole (strettamente imparentato con Medea tramite suo padre), simbolo che ritorna costante nel film di Pasolini e nelle stesse opere di Robustelli, un topos che porta alla trasfigurazione di Medea in un’opera datata 2011.
La Medea di Robustelli è anche una storia di non–luoghi, di una serie di spazi che in realtà disvelano la dicotomia tra barbarie e civiltà, di paesaggi intrisi della sacralità ben espressa dal centauro: Tutto è santo, non c’è niente di naturale nella natura. In ogni punto dove guardi è nascosto un dio e seppure egli non c’è, ha lasciato i segni della sua presenza sacra. Quando la natura ti sembrerà naturale tutto sarà finito e inizierà qualcos’altro; ma, avverte il maestro, la santità è allo stesso tempo una maledizione: accanto all’amore degli dei per gli uomini s’insinua l’odio. Storia di spazi dunque, spazi fisici ma anche liquidi e mentali, che ruotano intorno a simboliche rappresentazioni o agli stessi personaggi, mai come mera scenografia, ma come costruzione dall’interno di un ambiente che è un tutt’uno con l’uomo. Alla scelta di Pasolini di racchiudere lo spazio cinematografico in luoghi in cui evidenziare e contrapporre la religiosità/barbarie e la razionalità/civiltà, si associa la spazialità interpretata da Robustelli attraverso il tentativo di accogliere/racchiudere/simboleggiare. Così l’opera che raffigura la città di Corinto, spazio traghettato sulla tela con tratti decisi, viene squarciata dal palazzo di Medea, trasformandosi in metafisica trasposizione simbolica. Una linea centrale immaginaria attraversa l’opera fino a lasciar intravedere due realtà contrapposte, metafisiche, delineate dall’uso di colori e dalle pennellate. Quasi una fusione nella parte inferiore, un filo conduttore, che sembra tracciare il passaggio di Medea e il fluire della sua esistenza (Corinto, 2015 – tecnica mista su tela).
Una diversa prospettiva accompagna l’opera Medea e la Colchide (2013, olio e acquerello su carta). Alla sinuosità dei paesaggi pasoliniani, Robustelli fa eco delineando una figura insolita, una sorta di trasfigurazione che rimanda all’idea del grembo. “Dà vita al seme e rinasce il seme”, recita Maria Callas nel film di Pasolini, racchiudendo nella ciclicità il senso ancestrale della vita stessa che si esplica in maniera sentita e onnicomprensiva in alcune delle opere che ritraggono Giasone e Medea (acquerello e matite colorate su cartone – 2015, tecnica mista su Tela 2015). I colori si mescolano, le pennellate sono sinuose eppur rapide e decise, l’alchimia si condensa nell’indefinita commistione pittorica soprattutto della seconda opera. Il tentativo di fusione di due mondi diversi è destinato a sfociare in tragedia, con una rassegnazione che è essa stessa un atto eroico. Lo spazio del grembo che accoglie/raccoglie, divenuto appunto ventre nelle opere che raffigurano i due personaggi nell’atto sessuale, trasportano l’osservatore in un mondo sacro legato alla fertilità e alla figura di Korè, possente, arcaica, maestosa. Tutte le raffigurazioni di Medea sono intrise di una solennità che la avvicinano, anche nell’interpretazione pasoliniana, all’iconografia di una Madonna. Si riannoda il filo sotteso che lega Paolini al complesso rapporto con il cattolicesimo e con la stessa sfera sacra.
La figura della Medea di Robustelli non è solo raffigurazione esterna, ma ricostruzione interna all’autore stesso. Nella mostra, sono visibili opere datate 2010 (Medea, grafite su carta e Medea, acquerello su cartone), 2011, 2012, 2013, fino alla complessa ed interessante interpretazione attraverso la tecnica degli oli e degli acquerelli. Fin dalle prime produzioni, l’autore definisce ma non schematizza la figura della protagonista, riuscendo a collocare Medea in un insondabile e misterioso mondo. Il rapporto tra ciò che fugge e ciò che può essere trattenuto si evidenzia in tutte le opere che rappresentano Medea/Callas, che era stata scelta da Pasolini per i lineamenti capaci di riprodurre la forza contadina e intatta della natura. Una forza primigenia che Robustelli cerca sempre di cogliere, sia nelle opere dove il volto della Callas appare definito, sia in quelle in cui lascia solo intravedere, in una sfumatura enigmatica e fuggevole, la potenza del suo volto. Medea potrebbe essere letta come l’espediente per scoprirsi, ma anche per una complessa e profonda ri-scoperta di tutti i sentimenti che travolgono l’umanità.
La mostra di Robustelli riesce anche a essere una storia di spazi che racchiudono il silenzio, lo stesso che cinematograficamente sottende il film di Pasolini, come tentativo di allontanare le scene dalla massificazione e di ricercare la primordiale condizione umana. Robustelli, con grande maestria e sensibilità, coglie le sue figure in una solitudine a tratti agghiacciante (come nella raffigurazione di Medea senza gli occhi – Medea, 2014 – olio su tela), figure assorte in una ricerca tutta interiorizzata di potere, dolore, riscatto, ancestralità. I paesaggi non esistono perché diventano parte interna ai personaggi, spesso decontestualizzati e rinchiusi in una solennità ieratica e sempre drammatica. Gli stessi incontri d’amore tra Medea e Giasone (acquerello e matite colorate – 2015, grafite su carta – 2013, Medea nella tenda – 2015, Medea nella tenda/2 -2015,) rimarcano la lontananza tra i due: il solco tra razionale e barbarico si fa sempre più profondo e appare in tutta la sua drammaticità la differenza sostanziale tra due mondi uniti nell’unico atto che avvicina a Dio. Tra Medea e Giasone, nell’opera cinematografica, non c’è mai dialogo tranne nella parte finale, dove l’incomunicabilità si manifesta attraverso parole che non hanno alcun valore salvifico, ma diventano veicolo di vendetta e incomprensione. E infine lo spazio onirico e visionario, presente nelle opere di Robustelli nella dialettizzazione tra barbarie e civiltà tutta interna ed interiore alla figura di Medea. Il sogno, sia nell’opera monumentale del 2015 (tecnica mista su carta) sia nell’acquerello e matite colorate su cartone che si avvicina alla versione cinematografica (dove Medea appare persino rasserenata da un sorriso), racchiude il drammatico e funesto presagio: la ricerca della giustizia, per volere del Sole, deve passare per la violenza. È una scelta obbligata e trascendalizzata, l’elemento catartico che permette di scavalcare le leggi umane e dar voce alla sofferenza.
Inaugurazione 27 settembre ore 17
Spazio Papel Milano
via Savona, 12 Milano
mar-ven. 14-19 o su appuntamento
ingresso libero