USA Objects. I lavori in mostra rendono omaggio al design americano ed alle astrazioni geometriche. Ogni opera e' formata da strutture modulari in legno, organizzate in composizioni che ricordano dei volti.
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Testo di Em Rooney, 2015
USA Objects, il titolo della mostra di Strauss Bourque-LaFrance presso T293, si rifà all’autorevole testo del 1970 sull’artigianato americano, Objects: USA. I lavori in mostra rendono omaggio al design americano alla grafica ed alle astrazioni geometriche. Ogni opera è formata da strutture modulari in legno di tiglio, organizzate in composizioni che ricordano dei volti. Modalità questa tipica della pratica artistica di Strauss le cui astrazioni sono spesso simbolicamente pensate in relazione al corpo.
Gli oggetti dell’artigianato americano devono molto all’eredità dell’artigianato europeo che li ha preceduti. Proprio come i motivi americani richiamano quelli europei di epoca bizantina, così il modernismo americano ha legami diretti con quello europeo. Tuttavia ciò che rende l’estetica americana unica, e diversa da quella dei suoi avi, ha a che fare con la nostra relazione con i concetti di individualismo, proprietà, destino manifesto e fordismo. Il nostro movimento di arti e mestieri è stato preso in prestito da quello britannico di matrice puritana, dai nativi americani e dagli Shakers. La rivoluzione industriale ha permesso la produzione di massa e la nostra relazione con l’artigianato si è fatta tutt’uno con il nostro desiderio di possesso. Pensiamo per esempio ai modellini di aerei, di navi e bande musicali in marcia (qualcosa di USA Objects mi fa pensare in particolare ai flauti ancora chiusi nei loro astucci). In fondo i giovani americani con i loro hobby inculcati dai negozi di arti creative come Tommies’ sono cresciuti per possedere macchine, barche e case per le vacanze. Sono diventati ambiziosi, hanno soddisfatto le proprie ambizioni, e si sono trasformati in ambizione.
In origine, il titolo per questa mostra doveva essere THE GRLS, un titolo con un’immagine che si riferisce, come per i geroglifici, alle forme che compongono ciascun opera, e ai nomi delle artiste donne da cui ogni opera prende il titolo. Tuttavia, tale l’ironia vale solo nel momento in cui i lavori sono visti in un’ottica più ampia, come suggerisce il titolo USA Objects dell’intera serie. Gli oggetti, con i loro nomi fuori moda tipicamente americani: Betty, Joan, Agnes ed Helen evocano la relazione possessiva della nostra cultura nei confronti delle donne e delle cose. (Pensate a ‘Miss Louise’, la piccola barca con cabina che mio zio possedeva fino alla fine degli anni ‘80). I nomi delle GRLS rendono anche omaggio a quelle donne la cui carriera artistica è stata riconosciuta ufficialmente solo alla fine della loro vita (laddove lo iato tra grls e old ladies indica una triste ironia). L’abbreviazione ripensata graficamente della parola ‘girl’ si riferisce ai diminuitivi gurl e boi, sostantivi gentilmente sessualizzati usati nella cultura Queer per superare ottuse e bivalenti barriere linguistiche, come man e woman. Sostanzialmente, i titoli di questa serie sono maturati per incorporare una trama più ampia di referenze come Robert (Morris, Irwin), Peter (Halley), John (Armleder, Chamberlin, Cage). Questa inclusione finale di nomi di uomini ha ulteriormente allargato la trama di referenze fino a includere idee che riguardano oggetti minimalisti e i loro creatori, e gli stereotipi che questi generano. Poiché anche i ragazzi sono oggetti, come le ragazze.
Queste GRLS, e anche i ragazzi, agiscono, in un certo senso, come il nero di una cornice. Essi rivoluzionano il quadro, sono contemporaneamente struttura e quadro. Come alcune sculture di Picasso, rivelano qualcosa di patetico nell’illusione di un’immagine. I loro motivi a mo’ di scarabocchio li relegano nel mondo delle cose artefatte (appena fuori dal dominio della pittura), mentre le loro semplici composizioni rettangolari rievocano Piet Mondrian, e il suo De Stijl. Stijl, parola usata per descrivere “Lo Stile” o il neoplasticismo, ha un significato secondario usato nel campo della carpenteria per descrivere un montante o uno stipite risultante da due giunzioni che si incrociano. L’allusione di Strauss alla falegnameria (le mani di suo padre) e al De Stijl (ovvia nei colori come nella composizione dei lavori) sembra venir fuori più dall’amore che dalla critica. Il suo senso di progettazione e desiderio per una forte, netta semplicità è ambizioso, ma in modo auto-riflessivo, senza il dogma socialista di alcuni dei suoi referenti europei del XX secolo. Un altro modo in cui questi oggetti si manifestano come ‘americani’ è nella loro reverenza verso identità individuali: i titoli evocano campi o colonie – Louise (Crying while chewing gum), e questo doppiarsi del lavoro sembra riconoscere l’importanza del nominare e rinominare le cose in un paese in cui le voci delle minoranze sono cronicamente assoggettate a un patriarcato pieno di buone intenzioni.
Nonostante le critiche e i molteplici significati in questo progetto, vi è una joie de vivre in USA Objects che sono sicuro manterrà una sua vitalità man mano che la serie evolverà all’interno e all’esterno dei domini di astrazione e rappresentazione. Queste strutture in legno di tiglio, ognuna dipinta (o scarabocchiata) individualmente, sono come i dipinti pastiche dalla madre di Strauss, Quest’ultima, lavorando da casa, creava opere che erano come resti di teatri popolari. Nessuna superficie veniva lasciata immune da queste rappresentazioni o trompe l’oeils, si trattasse di un paesaggio, un ritratto, un gioco o articoli per la casa. Strauss mi raccontava che durante la sua infanzia sua madre gli mostrava le foto di Steiglitz di Georgia O’Keefe nuda per insegnargli “che corpi e arte sono fenomeni inseparabili”. Ed è proprio in questo campo di influenze che Joan (Empty Alter, Empty Bed), e John (Father Figure) sono nate.
Inaugurazione venerdì 30 ottobre ore 19
T293
via G. M. Crescimbeni, 11 Roma
Orario: martedì - venerdì 12-19, sabato su appuntameto
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Text by Em Rooney, 2015
USA Objects, the title of Strauss Bourque-LaFrance’s exhibition at T293, refers to the seminal 1970 book on American Craft, Objects: USA. The works in the show pay homage to American Craft, geometric abstraction, and graphic design. Each piece is made of hand-painted, modular basswood units organized into compositions that resemble faces. This gesture is typical of Strauss’s work, as his abstractions are often, mystically, related to the body.
American craft objects are indebted to the lineage of European craft objects that came before them. Just as American Motifs reference European Motifs dating back to the Byzantine era. The same is true of American modernism; it has direct ties to European modernism. But what makes America’s particular aesthetic unique, and divergent from our ancestors’ has to do with our ties to individualism, property, Manifest Destiny, and Fordism. Our craft movement borrowed from puritanical Britain, the Native Americans, and the Shakers. The industrial revolution allowed for mass production and our relationship to craft merged with our desire for ownership. Think: Model planes, model boats, and marching bands (something about USA Objects makes me think specifically of flutes inside their cases). Eventually young American hobby Tommies grew up to own cars, boats, and vacation houses. They became aspirational, they fulfilled their aspirations, they became aspirations.
An earlier title for the show was THE GRLS, a title with an image that relates glyphically to the shapes of each work, and the female artists the pieces were originally named after. Though the irony of this title is only fully activated when we think of the works under the umbrella title given to the series, USA Objects. The objects, with their old-fashioned Americana names; Betty, Joan, Agnes and Helen evoke our culture’s proprietary relationship to women and things. (Consider ‘Miss Louise,’ the cuddy cabin boat owned by my uncle in the late 80’s). The GRLS’ names also pay homage to actual women whose artistic careers were not recognized until the end of their lives (the space between grls and old ladies pointing to a sad irony). Strauss’s redesigned, graphic shorthand for girl relates to the diminutive gurl and boi, softly gendered nouns used by queers to break down stubborn, linguistic, binary blockades like man and woman. Ultimately the titles in the series grew to incorporate a wider net of influences like Robert (Morris, Irwin), Peter (Halley), John (Armleder, Chamberlin, Cage). This eventual inclusion of men’s names opened up the pool of references to include ideas about minimal objects and their makers, and the stereotypes they engender. Boys be objects too.
These GRLS, and boys operate, in a way, like the back of a frame. They turn the painting around, they are the structure and the painting at once. Like Picasso’s frame-back sculptures they reveal something pitiful in the illusion of an image. Their scribble motif relegates them to the world of things touched (just outside the reach of painting), while their simple rectangular compositions evoke Piet Mondrian, and his De Stijl. Stijl, a word used to describe “The Style” or neoplasticism, has a secondary meaning used in carpentry to describe a post or jamb made by crossing joints.
Strauss’s nod to joinery (his father’s hands) and De Stijl (obvious in the color as well as the composition of the work) seems to be made more out of love than critique. His sense of design and desire for strong, bold simplicity is self-reflectively aspirational sans the socialist dogma of some of his early 20th century European referents. Another way these pieces are “American” is in their reverence to individual identities: the titles evoke camp -Louise (crying while chewing gum)- and this dubbing of the work seems to acknowledge the importance of naming and renaming in a country where minority voices are chronically usurped by even well-intentioned patriarchy.
Despite the critiques and many layered meanings in this work there is a joie de vivre in USA Objects that I am sure will remain fervent as the series evolves in and out of abstraction and representation. Each individually painted (or scribbled) piece of basswood is like a pastiche of Strauss’s mother’s paintings. She worked from home, creating pieces that were like remnants of folk theater. Whether it was a landscape, portrait, toy, or housewares no surface was left uncomposed of tableaus or trompe l’oeils. Strauss told me that during his childhood his mother showed him Steiglitz’s nude photos of Georgia O’Keefe to teach him “that bodies and art are inseparable phenomena.” And it is with this moorland of influences that Joan (Empty Alter, Empty Bed), and John (Father Figure) were born.
Opening 30 October 2015, 7pm
T293
via G. M. Crescimbeni, 11 Roma
Hours: tue - fri 12am-7pm, sat on appointment