Antologica 1962-1967 - Il periodo del Gruppo 1. La mostra espone il lavoro di Frasca' realizzato in quegli anni analizzandolo singolarmente. La mostra vuole essere anche un approfondimento, poponendo anche progetti grafici e architettonici del gruppo e Kappa: esperimento filmico girato nel 1965.
Antologica 1962-1967 - Il periodo del Gruppo 1
Inaugura a Roma alla presenza dell’artista, sabato 26 febbraio 2005 alle ore 18.30, presso la Galleria d’arte Mascherino, la mostra Nato Frascà , antologica 1962-1967 - Il periodo del Gruppo 1, a cura di Barbara Martusciello.
Durante l'inaugurazione e per tutta la prima settimana della mostra sarà possibile la visione del film di
Frascà Kappa, girato nel 1965, interessante esempio di sperimentazione visiva d'avanguardia, con attore
protagonista il pittore Fabrizio Clerici. Sarà inoltre riproposto il documentario del 1965 di E. Marsili, con
presentazione di Argan, Gruppo 1, Carrino, Frascà , Uncini.
Nato Frascà è un protagonista tra i più significativi dell'arte contemporanea che negli anni Sessanta ha avuto a
Roma un centro attivissimo della sperimentazione e del dibattuto culturale. L'estrema attualità del lavoro
sperimentale di questa generazione si pone come imprescindibile radice visiva e culturale di fondamentale
importanza per molte tendenze dell'arte di oggi. In questo decennio si è distinto un ampio nucleo di artisti che,
volendosi allontanare dall’Informale, ha rinnovato i codici della pittura sia orientandosi verso l’immagine di
tipo oggettuale (in questo ambito la Galleria Mascherino ha proposto le esposizioni di Mario Schifano e di
Renato Mambor), sia scegliendo l'aniconismo, lavorando a un'essenzializzazione massima della forma con
precise proposte di carattere costruttivo, ottico-percettivo e con un'attenzione diversamente praticata per le
teorie gestaltiche. Di questa seconda area di ricerca fa parte Nato Frascà con il Gruppo 1, aggregazione di
artisti fondata a Roma nell'ottobre del 1962 dallo stesso Frascà e da Gastone Biggi, Achille Pace, Pasquale
(Ninì) Santoro, Giuseppe Uncini, ai quali si unisce subito (1963) Nicola Carrino e che, con alcune defezioni,
opera sino al 1967.
La mostra espone il lavoro di Nato Frascà realizzato e proposto dal 1962 al 1967, breve ma intenso periodo
dell'attività del Gruppo 1, analizzandolo per la prima volta in forma antologica e singolarmente poichè, per
statuto, i componenti del gruppo, finchè esso ha operato, hanno esposto solo in collettivo. La mostra vuole
dunque proporsi come un approfondimento di questo periodo dell'artista che comprende anche la realizzazione
di Kappa, esperimento filmico girato nel 1965 e ancora oggi innovativo, che si pone tra i più interessanti
esempi di cinema d'avanguardia di quegli anni. Nel film, caratterizzato anche dalla presenza di attrici
professioniste quali Dina Sassoli e Mariella Lotti, recita come attore protagonista il pittore Fabrizio Clerici
che Frascà fa parlare fuori sincrono, ingegnoso effetto straniante largamente adoperato nel film.
Tra le opere in mostra: Maestà geometrica 1963, olio e smalto alluminio su tela cm 151x151 (esposto alla IV
Rassegna di Roma e del Lazio, Palazzo delle Esposizioni, Roma 1963, a Scelte e Proposte all’Auditorium del
Castello Cinquecentesco, L’Aquila 1963 e a Oltre l’Informale - IV Biennale Internazionale di San Marino
1963); Gabbia cubica prototipo 1964-65, ottone e ferro verniciato cm 50x50x50 (esposto alla X Quadriennale
Nazionale d'Arte di Roma); Modulare cubico 1965, smalto su lamiera cm 40x28,5x28,5 (esposto alla IX e alla
X Quadriennale Nazionale d'Arte di Roma 1965); Strutturale XXXI - Impercettibile 1965, olio su tela cm
70x70 (esposto alla IX Quadriennale Nazionale d'Arte di Roma 1965); Strutturale variante II 1966, smalto su
alluminio rivettato cm 94,5x94,5 (esposto alla XXXIII Biennale Internazionale d'Arte di Venezia 1966, alla VI
Biennale di San Marino: Nuove Tecniche d'Immagine 1967 e a Expo ‘67 - Padiglione Italiano dell'Expo
Universale di Montreal 1967).
Frascà nasce a Roma nel 1931. Frequenta per tre anni la Facoltà di Architettura all’Università di Roma e poi il
Corso di Scenografia di Scialoja all’Accademia di Belle Arti. Inizia la sua attività di pittore e, dopo la
partecipazione ad alcune mostre e all’edizione del Premio Michetti del 1954, è ammesso nel 1957 alla Scuola
di Oscar Kokoschka. Dopo un importante viaggio in Spagna, nel febbraio 1958 si tiene alla galleria Schneider a
Roma il suo vero e proprio debutto giudicato da Lorenza Trucchi (La Fiera Letteraria, 9 marzo)
â€convincenteâ€, con una “sofferta e meditata pittura†non figurativa e primitiveggiante ricca di ''vibranti
silenzi''. Lo stesso anno partecipa al milanese Premio San Fedele (con Pozzati, Adami e altri giovani colleghi)
vincendo il 3° premio. Partecipa nel 1961 a 6 Italian Painters a New York e al VI Premio Termoli; a giugno ha
la personale alla Galleria Odyssia dove il suo linguaggio è rinnovato dai primi segni diagonali, gesti-texture che
appaiono, di volta in volta, come scrive M. Volpi, ''graffio, o pennellata di bianco-luce, o corsivo assalto verso
i margini del quadro (...)â€. A dicembre Frascà vince una Borsa di Studio del governo francese e risiede per un
anno a Parigi, studiando e partecipando a significative esposizioni per poi rientrare in Italia, prima a Palermo,
poi a Roma. Qui si infittiscono gli incontri e i confronti tra Frascà e i colleghi Gastone Biggi, Achille Pace,
Pasquale (Ninì) Santoro, Giuseppe Uncini, Nicola Carrino: la sinergia tra loro porterà , nell'ottobre del 1962,
alla fondazione del Gruppo 1 (ma Carrino si unirà all’inizio del 1963) che, dopo alcune defezioni -Santoro
uscirà dal gruppo dopo la mostra di Firenze del 1963, Pace nel 1964, Biggi nel 1965- opera sino al 1967.
Questa esperienza, come vedremo meglio più avanti, si colloca all'interno di quelle ricerche borderline tra
psicologia, ottica, tecnologia e filosofia organizzate all'interno del concetto portante del Progetto e formalizzate
entro canoni razionali-costruttivi. Il Gruppo 1, usando i materiali della civiltà contemporanea, adotterà infatti
forme geometriche strutturate percettivamente. Come scrive Filiberto Menna nel 1966, ''La percezione è un
atto originario che è al fondamento della nostra esperienza della realtà . Ma è un atto che occorre
riconquistare (...) giacché tra il reale e i nostri sensi c'è una distanza resa sempre più grande dalle abitudini
acquisite, dai pregiudizi culturali. La ricerca di una percezione pura si presenta allora come la ricerca di un
valore, di un modello di comportamento. La percezione è un atto formativo: per il suo tramite mettiamo ordine
nella caoticità del reale. Ma (...) è una facoltà che dobbiamo recuperare al di là delle deformazioni che essa
subisce sotto il peso (...) di consuetudini puramente recettive. Ancora: la percezione è giudizio immediato sulla
realtà , ed è il fondamento di ogni altro processo, mediato e indiretto, con cui prendiamo contatto con il reale.
Un compito dell'arte, oggi (...): restituire alla percezione il suo carattere di esperienza originaria e formativa
(...) del reale (e non solo dell'esperienza estetica) dopo tanti secoli di subordinazione nei confronti del
concetto. L'arte visuale tende appunto a questo: a ridare forza e purezza all'atto percettivo e a fondare su di
esso un nuovo rapporto tra individuo e ambiente.
Ma la percezione non è una tabula rasa. L'occhio non è pura visibilità , ma è inestricabilmente legato a tutto il
resto, e ne è pur sempre in qualche misura condizionato. Il problema, allora, non è quello di negare questo
rapporto con ciò che ognuno possiede in sé (...) ma è (...) di portare alla luce, analizzandolo, il processo
psichico profondo che nutre e condiziona la nostra esperienza del reale. Per l'artista, il problema consiste
allora (...) nel sottoporlo ad una analisi critica, oggettivarlo proiettandolo all'esterno, concretizzandolo in
strutture che ne rendano possibile la verifica. (...) Questi artisti, cioè, non cercano una forma assoluta (...) ma,
al contrario, impostano la loro sperimentazione in vista della messa a punto di elementi grammaticali e nuclei
sintattici di un nuovo linguaggio visivo (...)''. L'essenziale, tenacemente voluto da Frascà e dai colleghi, così
come da altri esponenti della nuova tendenza, è la presenza e compartecipazione del fruitore, come risulta
anche nella Poetica della Percezione del dicembre 1964, ufficilizzata dal Gruppo 1 in occasione della mostra
alla galleria del Cavallino di Venezia: ''(...) il fruitore, fino ad oggi considerato non addetto ai lavori, deve
diventare, con pieno diritto, parte vitale del quadro: ciascuno al proprio livello di conoscenza e di sensibilità ,
è liberamente obbligato a leggere le nostre opere non per ciò che si vorrebbe immaginare che rappresentino,
ma per ciò che sono: relazioni reali tra forme e colori, tra spazi e spazi, tra superfici e volumi. L'opera è un
continuo proporsi che prende vita e ha un senso dal momento che VOI la guardate; essa stimolando la vostra
percezione arricchisce di nuovi eventi la vostra esperienza umana.'' E' in quest'ambito sperimentale che FrascÃ
intensifica un'attenzione cromatica palesata, specialmente in questo periodo, dall'uso di colori artificiali, acidi e
alluminio, poi fluorescenti. Parallelamente, ormai superata ogni gestualità residua, sulla superficie pittorica dÃ
vita a una serie di percorsi di linee e incontri tra configurazioni dinamiche istintive che trovano un ordine di
tensioni formali dentro una forma ellittica all'interno della quale emergono tessiture diagonali; in questo
contesto studia la dinamicizzazione dello spazio statico. Questo lo porterà a precisare la forma in composizioni
geometriche pure, scegliendo il quadrato come struttura-chiave della sua ricerca: in esso esalterà la struttura
diagonale come massima tensione centrifugo-centripeta ricercandone i significati archetipici. I suoi quadri,
infatti, pur sperimentando l'ambiguità della percezione con tutte le sue derive, insistono sul rapporto dialettico
di principi complementari (negativo e positivo, meno e più, superficie e profondità ...) che rimandano a quelli
esistenziali, con tutto il loro carico di tensioni che Frascà cercherà sempre di analizzare e regolare.
La prima mostra del Gruppo 1 (senza Carrino) è allestita nel dicembre 1962 in uno spazio alternativo rispetto
alle consuete sedi dell’arte: l’Autoscuola Schiavo. Questo luogo era stato progettato dallo stesso Frascà che
aveva completamente realizzato l’arredamento degli interni in puro stile ottico-minimale, grazie anche
all'esperienza fatta nel cinema realizzando nel 1961 l'ambientazione per il film L'Eclisse di Antonioni, poi
ripetuta (nel 1967 creerà le scene della Traviata di Visconti al Covent Garden di Londra; nel 1971 scene, arredi
e costumi di film come Diario di una schizofrenica di N. Risi; collaborerà inoltre ad alcune pellicole di
Bolognini, Camerini, Carpi, Birri, Clément, Franciolini, Matarazzo, Pietrangeli, Rossellini, Vidor, anche come
aiuto-regista). Accanto al Gruppo 1, all'autoscuola Schiavo espongono anche Giulio Turcato e Piero Dorazio,
che inizialmente condividono molte delle ricerche di questi più giovani artisti. Durante l’inaugurazione,
affollata di pubblico e di personalità del mondo dell'arte, tra le quali Jean Fautrier in visita a Roma, è concepito
un intervento sonoro con esecuzioni musicali di Arel, Chiari, Gelmetti, Grossi e Koenig.
Per tutto l’arco del 1963 il Gruppo 1 è impegnato in una vasta attività espositiva. A febbraio ha una personale
alla Galleria Quadrante di Firenze presentata da G. C. Argan, P. Bucarelli e N. Ponente. Frascà , che è tra gli
altri componenti del Gruppo quello che, come rileva un giovanissimo Giancarlo Politi sulle pagine della Fiera
Letteraria, “(...) maggiormente si è schierato in una posizione anti-informale (...), costruisce con freddezza da
anatomista le sue superfici dalle precise campiture spaziali e dove l’emozione è rappresa e fissata da un
lavorio tecnico sotto un vigile e severo controllo intellettuale (...)â€. Le opere realizzate per tutto il '63, infatti,
analizzano progressivamente la superficie investita da tessiture diagonali, indagate nei primi Strutturali, serie
che approfondirà negli anni successivi. La ricerca cromatica si sposta sull'uso dei colori primari puri
complementari, via via aprendosi a una superficie cromatica con contrasti minimali e parallelamente
intensificando i suoi studi sulla luce e sulla luminosità del colore, portati avanti sino al '65.
Il Gruppo 1 espone a marzo alla Galleria Rotta di Genova con dibattito pubblico e dopo altre mostre a maggio
partecipa, all’Auditorium del Castello dell’Aquila, alla manifestazione interdisciplinare Scelte e Proposte (che
ha Argan come Presidente dell'evento e la Bucarelli nel Comitato di Presidenza), seguita da un convegno. In
questa occasione è possibile ascoltare musica di Berio, Bussotti, Chiari, Gelmetti, Clementi, Evangelisti,
Grossi, Guaccero, Koenig, Nono, Stockhausen, Vlad e sono lette poesie di Balestrini, Giuliani, Pagliarani,
Porta, Sanguineti, Vivaldi. Scrive Giorgio De Marchis sul catalogo: ''Questa mostra del Gruppo 1 (...) si
presenta in funzione dell'ipotesi se sia possibile una pittura post-informale in senso neo-concreto, e quale ne
sia l'aspetto e il significato. Questo raggruppamento non è completo (...) anche se dà una chiara indicazione su
un aspetto esistente e caratteristico della giovane cultura romana, differenziata da altre aree culturali.''
Nel giugno dello stesso anno il Gruppo 1 è invitato alla IV Biennale Internazionale di San Marino titolata
emblematicamente Oltre l’Informale. La manifestazione, di notevole importanza in quegli anni, è presieduta da
Argan e, tra gli altri, da Restany, Apollonio e Gatt e da Palma Bucarelli nella Commissione Premi, che assegna
il 2° premio al Gruppo 1 e il 1° premio ex aequo al Gruppo N e al Gruppo Zero.
E' durante questa Biennale che, per definire la vasta area di ricerca non figurativa geometrico-razionale di
artisti e gruppi tra i quali il Gruppo 1, si usa il termine Neo-Concretismo, poi soppiantato da Gestaltismo.
Questa definizione si aggancia alle teorie della Gestalt-Psychologie (Psicologia della Forma), già molto nota e
nuovamente in auge anche grazie all'uscita in quegli anni di Arte e Percezione visiva di Arnheim (con
prefazione di Gillo Dorfles), che applica le teorie gestaltiche alle arti figurative. La Gestalt-theorie, alla base
della Gestalt-Psychologie, nasce in Germania all'inizio del secolo e si afferma a livello internazionale nel
dopoguerra: è un orientamento filosofico e psicologico che considera la percezione visiva e cognitiva in genere
mossa da leggi ritenute interne agli organi di senso, capaci di agire a livello precorticale; accettando la
sintetizzazione di Vasarely (in Note per un manifesto, 1953) si fonda sul fatto che l'occhio non ha affatto una
funzione di recettore passivo di informazioni visive.
Dopo altri impegni espositivi il Gruppo 1 (Biggi, Carrino, Frascà , Pace e Uncini) formula la Dichiarazione di
Poetica (settembre 1963) in forma di manifesto -veicolo usato spesso dal gruppo per chiarire e comunicare la
propria ricerca- pubblicato poi a dicembre in occasione della prima mostra a Roma in una galleria, La Medusa,
e discusso nel convegno, che si tiene in quella stessa sede, da Argan, Bucarelli, Gatt, Maltese, Tempesti,
Tomassoni, Volpi e dal pubblico presente. In esso sono espresse le ragioni del gruppo: rifiuto dell'isolamento
individualista, coscienza dei valori sociali che la collaborazione comporta, necessità di procedere in gruppo per
affermare e potenziare in un unicum quanto è parcellizzato in un singolo; è poi chiarito che attraverso la
conoscenza l'artista può controllare e trasformare il caos e le tensioni della società contemporanea in coscienza
del proprio tempo attraverso forme definite e chiare: ''(...) Ecco come la validità delle forme primarie o
elementari si può estendere a valore sociale (...)''. E’ poi ribadita l'importanza dell'uso nuovo della facoltà della
percezione e il valore della fruizione nonché il nuovo tipo di rapporto tra arte e scienza e arte e industria... Tale
Dichiarazione era stata precedentemente letta dal gruppo al 12° Convegno Internazionale Artisti, Critici e
Studiosi d’Arte di Verucchio, Rimini e sedi limitrofe, scatenando aspre critiche all’interno del mondo dell’arte
e provocando l’ostruzionismo di iniziali simpatizzanti tra i quali Perilli, Consagra, Turcato, persino Toti
Scialoja e soprattutto Piero Dorazio, che temettero di essere oscurati da quelle nuove ricerche anche per
l'appoggio dato ad esse da Giulio Carlo Argan. Mentre al nord gli artisti emergenti hanno avuto la possibilità di
crescere e affermarsi anche grazie all'aiuto di generosi artisti senior come ad esempio Lucio Fontana, a Roma le
cose sono andate diversamente in parte pure a causa di diatribe e tensioni partite da artisti accreditati che
avrebbero avuto il potere di instradare, guidare e supportare le nuove generazioni e non l'hanno fatto.
La querelle rimbalza sulle pagine di quotidiani tra i quali L’Avanti, L’Unità , Il Messaggero e Paese Sera e su
settimanali come L'Espresso e Gente; sull'Europeo viene pubblicato un servizio in due puntate dai titoli
roboanti: I pittori accusano e I colcos dell’arte. Il dibattito s'inasprisce perché si fraintende il concetto di
“morte dell’arte†espresso da Argan -anche su articoli pubblicati sulla terza pagina del Messaggero- che si
vuole vedere concretizzato proprio nell’organizzazione in comunità degli artisti del Gruppo 1. La
compartecipazione ideologica all’interno di un progetto unico e l'adesione a mostre solo se invitati tutti insieme
come gruppo viene scambiata da molti come una presa di posizione contro la creatività individuale e
presupposto per una volontà -come ricorda Biggi- “di programmare la fine dell’artista singolo e di concorrere
così all’arganiana morte dell’arte†attraverso quadri e sculture che si credono erroneamente fatte a più mani...
Le opere del Gruppo 1 sono invece realizzate dai singoli artisti, anche se all'interno di una comune
sperimentazione teorica, anch'essa messa in discussione dagli oppositori del Convegno ma condivisa, seppure
con diversità sostanziali, da altri gruppi tra i quali il milanese Gruppo T, il Gruppo N di Padova, il Gruppo di
Ricerca di Enzo Mari, Umberto Eco, Bruno Munari...
Anche se il tipo di ricerche e la loro applicazione estetica non sono uguali, ognuna delle strade percorse in
questi anni dai tanti artisti e gruppi, tra i quali il Gruppo 1, è simile nell'intento di analizzare il dinamismo della
superficie, sia ottico che plastico, non prescindendo, come abbiamo accennato, dalle teorie gestaltiche e
insistendo sull'uso delle tecnologia e della ricerca scientifica applicata all’arte per dar luogo a sollecitazioni
visuali e percettive. Il loro ampio operare, che ha connessioni con gli studi di Seurat e Signac, affonda radici,
ramificate ma anche separate, nelle ricerche dei primi del Novecento -Balla e le sue Compenetrazioni
iridescenti, le astrazioni dei Delaunay, Moholy Nagy e i costruttivisti russi, Albers e Bauhaus, De Stijl...- e
viene accorpato in tante definizioni: Arte Cinetica (branca della Programmata, che abbandona la staticità della
pittura per attivarsi usando congegni mobili, la tridimensionalità sino a svilupparsi su scala ambientale),
Programmata (vocabolo usato da U. Eco nel catalogo della mostra itinerante del '62 all'Olivetti di Milano) o
Gestaltica e infine Op(tical) Art (termine coniato nel 1964 e contrapposto a Pop Art).
Pur se all’interno di questo ambito dell'avanguardia, il Gruppo 1 segue una propria strada aprendo quella che i
critici definiscono una “terza via†rispetto a quanto si sta praticando in quegli anni in Italia: lontanissima,
come abbiamo premesso e com’è evidente, da ogni interesse oggettuale oppure Pop ma pure da
caratterizzazioni Neo-Dada così come da ricerche di radicale azzeramento, di recupero del concetto di silenzio
e spazio vuoto. Il Gruppo 1 non aderisce ciecamente -come abbiamo visto- a quel particolare rapporto tra
scienza e arte di tipo cinetico-programmatica che, come chiariscono gli stessi suoi componenti, non li
coinvolge nei suoi assunti esasperatamente dogmatici e ideologizzati e non li interessa in quanto fenomeno del
movimento in senso meccanicistico, ritenuto marginale e allo stato nozionale di sensazione. Non teorizzano né
propongono l'esclusione di elementi come la composizione e il colore tradizionalmente intesi, riproponendo
-scrive G. C. Argan per la mostra del Gruppo 1 alla Galleria del Cavallino di Venezia nel '64- ''almeno come
prima materia di analisi, procedimenti tradizionali dell'arte ma riconsiderati da un nuovo punto di vista come
mezzi di indagine e non più come mezzi espressivi dipendenti da una preventiva intuizione. Più precisamente:
non si dissimula né contrasta la tendenza a una impostazione scientifica del problema, ma si nega che essa
significhi una destoricizzazione dell'attività artistica''.
Nel corso del 1964 si susseguono gli impegni espositivi di Frascà con il Gruppo 1, invitato ad agosto alla XV
edizione del Premio Avezzano che ha titolo Strutture di Visione. E’ questa, come recita la brochure di
presentazione, ''una esposizione di tendenza'' per ''offrire un contributo all'appassionato dibattito operato dalla
IV Biennale Internazionale di San Marino e riacceso dalla XXXII Biennale di Venezia'' e consentire un
approfondimento ''delle produzioni provvisoriamente definite gestaltiche (o neoconcrete, neoplastiche,
neocostruttiviste, neopuriste etc.)'' attraverso ''opere di quegli artisti italiani che, isolatamente o in gruppo,
conducono ricerche sulle strutture della visione''.
Dopo questo appuntamento è pubblicata, nel settembre 1964, la Dichiarazione del Gruppo Uno di Roma, 1964
che viene poi letta ed editata durante il 13° Convegno Internazionale di Verucchio, che sostanzialmente
conferma quanto redatto nella Dichiarazione di poetica del '63 ma ribadendo che la scelta dei mezzi da
adoperare per realizzare le opere è indipendente dal fatto che esse siano tradizionali piuttosto che tecnologiche.
Il Gruppo 1 sottolinea poi l'opposizione sia alla Pop Art che a quello che sembra si stia trasformando in
''tecnocrazia''; rivendica l'impossibilità , bene accetta, di totale controllo calcolabile (programmaticità ):
''proporre una certezza assoluta significa dimenticare l'uomo e la sua natura''. Altro argomento approfondito è
l'adesione del Gruppo a un'area di ricerca specificamente europea piuttosto che al Neo-plasticismo storico,
quindi con uno sguardo rivolto a coniugare tradizione e avvenire. In coda al testo c'è l'invito agli storici e ai
critici d'arte a formulare ''quali fra le varie metodologie operative possono più chiaramente configurarsi nel
termine cosiddetto gestaltico.''
A dicembre, in occasione della personale del Gruppo 1 alla Galleria del Cavallino di Venezia, è pubblicata la
Poetica della Percezione redatta in precedenza nello studio romano di Frascà (Piazza Madama 7) dove furono
stilati gli altri documenti sottoscritti dagli artisti.
Per tutto l'anno, e in quello successivo, Frascà si dedica alla calibrazione della qualità e della quantità della
luminosità nel colore e approfondisce la ricerca sugli Strutturali portando avanti (anche con i Vetri, le Gabbie,
i Modulari Cubici, le Gabbie Strutturali e poi, soprattutto dal 1966, con gli Strutturali Varianti) interessanti
studi volumetrici: sperimenterà infatti il passaggio delle strutture diagonali dal quadrato al cubo e le
problematiche della componibilità modulare. Come egli stesso ha chiarito, in quel periodo vuole ''mostrare in
un volume a misura di ambiente, le varie tessiture, identiche fra di loro, contemporaneamente deformate dalla
percezione del riguardante relativamente alla sua posizione e alla complessità delle superfici stesse: piatte,
curve sfuggenti, concave, convesse, sfondate aggettanti (...)''.
I soli Carrino, Frascà e Uncini rappresentano il gruppo nel 1965 in alcune mostre sia in Italia che all'estero (tra
queste: The Exibition of Works by Contemporaries Italian Artists al Nijgata Art Museum in Giappone;
Italienische Malerei Heute alla Stadtischen Galerien di Monaco), sino alla partecipazione alla IX Quadriennale
Nazionale d'Arte di Roma.
Il 3 luglio 1965 il Gruppo 1 redige un nuovo manifesto, Spazio, Geometria, Strutture, Collaborazione,
pubblicato e letto a settembre durante il 14° Convegno Internazionale di Verucchio. A giugno Frascà , che ha
già avuto, come abbiamo visto, alcune esperienze importanti nell'ambito del cinema, inizia a preparare il suo
primo lungometraggio in 16 mm, Kappa, che girerà tra agosto e settembre (ma il montaggio del film, per una
serie di problemi, sarà finito solo nel maggio 1966) e proietterà per la prima volta in sedi private proprio nel '66
(per Visconti, Antonioni e altri e per Argan, che chioserà : ''questo non è un film ma un'ora di esistenza!'') e
ufficialmente il 12 luglio 1967 nella rassegna Cinema sperimentale. Il cinema a Spoleto, curata da Mario
Natale nell'ambito del Festival dei Due Mondi.
Il film, dalla durata iniziale di 80' (esclusi i titoli), poi aggiornata in fase di montaggio a circa 56', in bianco e
nero più colore, si avvale della collaborazione di Alberto Grifi per la fotografia, Roberto Capanna per
l'assistenza e il suono, Bruno Frascà per l'organizzazione, L. Mattei per il montaggio, Aldo Clementi per
l'elaborazione sonora. E' un'opera davvero innovativa e originale perché scardina il consueto modo di vedere
con uno spostamento del centro della ricerca verso il linguaggio. Questo avviene tramite l'uso di ingredienti
visivi e sonori (girati ma soprattutto di repertorio) come il fumetto, la pubblicità , la letteratura di genere, la
fantascienza, immagini archetipiche, persino la Bibbia, trasmissioni radio e televisive: segni dell'immaginario
collettivo e popolare, enorme materiale che costituisce la visione contemporanea. Frascà lo assembla, lo
sovrappone come se volesse scuotere la consueta percezione dello spettatore. Certamente Enrico Ghezzi e
Marco Giusti devono aver tenuto in debito conto anche un'opera come Kappa quando hanno realizzato il loro
dirompente programma Tv Blob, e soprattutto Ghezzi deve averla guardata con attenzione, considerando l'uso
che egli ha fatto del parlato fuori sincrono, ingegnoso effetto straniante ideato e largamente adoperato da
Frascà nel suo film...
Il modo con il quale il film è costruito, con un rimando al cinema di Man Ray e alla sperimentazione visiva
psichedelica, costringe lo spettatore -come Frascà ebbe a dichiarare nel 1968- ''ad aprirsi a una libertÃ
temporale assoluta, dove cronaca, ricordo, persuasione occulta, rimozioni, sensazioni -insomma livello
sensoriale e livello psichico- non formino due categorie temporali e spaziali separate, ma subiscano processi
comuni circolando senza diaframmi in una stessa area comune dove non conta tanto la misura fisica del
tempo, quanto la sua relatività capillare''. Il film contraddice quindi la logica e la norma del raccontare
cercando di costruirsi un suo spazio -come chiarisce Frascà in uno scritto del 1979- ''attraversando strati che
vanno dal conscio al subconscio servendosi di probabili associazioni visivo-mentali'' adoperando le ''categorie
presente-passato-futuro come materia fluida'' nella quale immergersi come per lasciarsi andare ai ''tempi
biologico-evolutivi'' della vita: nascita-morte-nascita all'infinito. Così il film -che Frascà desacralizza,
svelandone i trucchi e gli errori cinematografici normalmente tagliati o celati nel prodotto finito- è una sorta di
esplorazione e autoesplorazione in forma di autoanalisi ''che l'artista compie sul proprio essere (uomo, artista)
e sul proprio essere stato (bambino)'', come egli ha chiarito, ed è al tempo stesso un viaggio nell'inconscio
collettivo. La trama di Kappa scorre intorno a un soggiorno in riva al lago di una troupe lì radunata per girare
un film di cui il regista-autore (lo stesso Frascà ) tiene volutamente segreto il soggetto-base. In Kappa, dove
agiscono le attrici Dina Sassoli e Mariella Lotti e il pittore Fabrizio Clerici, si vedono anche alcuni
collaboratori del film; queste presenze e la didascalia iniziale ''Girato a Castelgandolfo tra agosto e settembre
1965'' con una frase tratta dall'Ulisse di Joyce danno allo spettatore, come scrive B. Di Marino, ''un apparente
dato reale, cronachistico, (...) unico punto fermo di tutto il film: altri elementi, oscillanti tra il gioco, la realtÃ
e la simulazione cinematografica, sono il carrello della macchina da presa o il proiettore 16 mm, elementi che
compaiono più di una volta in campo, rivelando la natura di set di questo spazio tanto concreto quanto mitico.
L'autore -secondo questo primo livello di lettura- è un ospite, indesiderato e scomodo, che sta registrando il
suo film in un contesto borghese vero (ma reso finto e ancora più simulato della stessa messa in scena
cinematografica) e che, attraverso le riprese, risveglia a un tratto le coscienze di queste persone mettendole di
fronte, inconsapevolmente, alla crudezza di una rappresentazione simbolica che riflette la realtà subconscia di
qualsiasi individuo.''
La visione di Kappa, dopo lo sdoganamento del 12 luglio 1967 a Spoleto, è possibile grazie a proiezioni private
e a quelle in manifestazioni nazionali tra le quali: nel 1975 la Quadriennale di Roma, nel 1977 il Festival del
Cinema d'Avanguardia Internazionale al Centro Internazionale di Brera di Milano, nel 1978 Artericerca '78 al
Palazzo delle Esposizioni di Roma; all'estero viene proiettato tra l'altro al Festival di Lucerna nel 1971, allo
Stedelijk Museum ad Amsterdam nel 1975, alla Première mondial du Cinema d'Art et Experimental italien
1960-1978 al Centre Pompidou di Parigi nel 1978.
Questa pratica sperimentale filmica di Frascà -che si dedicherà ancora alla regia, soprattutto per la televisione,
dal 1969, realizzando trasmissioni sull'arte e girando nel 1978 il suo secondo film, Soglie, che raccoglie
materiali dal 1967 al '78- sancisce la sua attenzione alla contaminazione linguistica e distingue il suo lavoro da
quello degli altri colleghi del Gruppo 1. Nonostante questa sua direzione personale, non condivisa con i
colleghi, il suo impegno in team prosegue con convinzione; si susseguono infatti le mostre con Carrino e
Uncini. Il 5 marzo 1966 si inaugura l'antologica del Gruppo 1 (parallelamente alla personale di Antonio
Calderara) alla Libreria/Galleria Guida di Napoli, interessante spazio del dibattito artistico e culturale
partenopeo seguito dal giovane Achille Bonito Oliva, che in quest'occasione mette a segno la sua seconda prova
da teorico (la prima è stata la cura, nella stessa sede, della doppia personale di Mambor e di Pascali che ha
rappresentato il suo debutto ufficiale nel campo della critica).
La mostra antologica espone, per la prima volta, anche i progetti grafici e architettonici del gruppo che nei due
anni precedenti aveva collaborato a progetti di architettura e di grafica pubblicitaria.
Filiberto Menna, nel cataloghino della mostra, scrive a proposito di Frascà che egli ''(...) opera più direttamente
nel senso di una pura sperimentazione visiva, condotta sui fenomeni di ambiguità percettiva e sul movimento
visuale dei patterns ottenuti mediante l'impiego di colori fluorescenti: le sue opere risultano quindi fondate su
una struttura bipolare, costruita cioè dal rapporto dialettico di due principi complementari (il più e il meno, il
positivo e il negativo, la figura e il fondo, ecc.) i quali si presentano come analogia del rapporto dialettico di
più complessi e fondanti principi vitali''. Bonito Oliva, nella stessa pubblicazione, nota che l'uso che Frascà fa
''(...) di colori fluorescenti rimanda immediatamente, proprio per la qualità di estensione che essi hanno alla
luce, all'atteggiamento della scena urbana, che è sempre dialetticamente pubblico e privato. Il rimando si
costituisce attraverso un colore-evento che ordisce una trama lungo una rigida simmetria frontale e la
differenziazione della figura si compie non soltanto per mezzo di unità aggiunte, ma anche attraverso una
suddivisione interna''. Frascà , Carrino e Uncini, prosegue Bonito Oliva, ''comprendono la necessità di operare
nel contesto urbano, conservandone la problematicità , che assolutamente non è caoticità , ed indagandola per
non costringerla, bensì per restituirne normatività visuali.''
Il Gruppo 1, che partecipa ad altre mostre tra le quali Twentieth Century Italian Art sia al Baltimora Museum
che al Virginia Art Museum of Fine Arts di Richmond, e a Italian Art Today a Copenaghen, ha l'importante
riconoscimento dell'invito alla XXXIII Biennale Internazionale d'Arte di Venezia (18 giugno 1966) nell'ambito
della quale pubblica un ulteriore documento: la Dichiarazione XXXIII Biennale di Venezia.
Nel 1967, prima dello scioglimento, il Gruppo 1 espone tra l'altro al Padiglione Italiano dell'Esposizione
Universale di Montreal, mentre Frascà , che sta approfondendo il suo lavoro sulle curve originate dalle
configurazioni diagonali, che lo porteranno alla rottura degli schermi geometrici, proietterà Kappa al Festival
dei Due Mondi di Spoleto; seguirà a luglio l'invito del gruppo alla VI Biennale di San Marino, dal titolo Nuove
Tecniche d'Immagine, presieduta ancora da Argan, coadiuvato da Apollonio, Bucarelli e da Calvesi, M. Fagiolo
e altri. In questo contesto (al quale partecipano, tra gli altri, Alviani, Angeli, Castellani, Ceroli, il Gruppo N, il
Gruppo T, Icaro, D. Judd, Warhol, Marotta, Mari, R. Morris, Pascali, Rotella, Pistoletto, Schifano;
contemporaneamente si inaugurano le mostre-omaggio a Dorazio, Lichtenstein e Vasarely) Frascà ripropone
Kappa perché questa kermesse comprende una sezione di film d’artista concependo, per la prima volta, il
cinema non come settore complementare o integrativo della mostra ma, appunto, come ''nuova tecnica di
immagine''.
Il 21 luglio 1967 il Gruppo 1 si scioglie, ufficializzando l'evento con una vera e propria Comunicazione che in
maniera scarna annuncia che Carrino, Frascà e Uncini proseguiranno il proprio lavoro individualmente,
ritenendo ''esaurite le ragioni del lavoro di gruppo''.
Frascà , che si sta dedicando anche all'insegnamento -è stato chiamato da Argan a dividere con lui la Cattedra di
Percezione Visiva all'Istituto di Design- e a collaborazioni con la Rai, rifiuta da questo momento, e per lungo
tempo, di fare mostre. Viaggia in Algeria, Svezia, Europa, e soggiorna in Inghilterra per realizzarvi, come giÃ
accennato, le scene della Traviata di Visconti.
Galleria d’arte MASCHERINO
Via del Mascherino 24, ROMA
Orario di apertura: dalle 16.30 alle 19.30 (escluso lunedì e festivi)