L'installazione multimediale Lohkchat di Yang Jiechang rievoca una catastrofe causata dall'uomo, e' una specie di aneddoto ironico in relazione allo sforzo dell'uomo contro il fato. Egli interpone l'alta tecnologia alla sua locale filosofia di vita Cantonese. Progetto con 15 giovani artisti studenti alla NABA concepito per Isola Art Center che vuole essere una riflessione sulle condizioni che assoggettano lo spazio, lo regolano, lo disciplinano e lo producono. Oggi pensiamo il museo come un luogo aperto di interazione e mobilitazione: soprattutto come uno spazio, tra gli altri, della trasformazione. A cura di Marco Scotini. Out presenta nuovi materiali sulle attivita' dell'ufficio a Milano
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Isola Art Center presenta:
Lohkchat, Rise and Fall di Yang Jiechang
Isola Art Center ospita l'opera 'Lohkchat, Rise and Fall' dell'artista cinese Yang Jiechang. LOHKCHAT in Cantonese è una parolaccia. Il suo significato ed utilizzo sono comunque piuttosto comune. Di fronte ai disastri e alle catastrofi, naturali o culturali, l'uomo è spesso impotente. Immobilizzato egli cerca le vie per affrontare la sua incapacità . L'alta tecnologia è una strada. La più primitiva e diretta è imprecare. Da questa prospettiva LOHKCHAT è molto di più di una parolaccia in Cantonese, è una forma di filosofia di vita - come crede Yang Jiechang - tipica della cultura locale Cantonese. Non è un fatalismo ma piuttosto un tipo di condiscendenza verso la condizione immutabile del ciclo della vita. Questa potrebbe in parte spiegare la semplicità e la chiarezza della cultura locale Cantonese? L'installazione multimediale LOHKCHAT di Yang Jiechang rievoca una catastrofe causata dall'uomo. Egli interpone l'alta tecnologia (velivoli e pianta di un aeroporto moderno) con la sua locale filosofia di vita Cantonese. Nel video, che è una parte dell'installazione, le mani dell'artista appaiono enormi, posseggono un piccolo aereo, un giocattolo in una presa onnipotente, in qualche modo un palmo sovrannaturale. LOHKCHAT è una specie di aneddoto ironico in relazione allo sforzo dell'uomo contro il fato e le forze al di là del controllo umano. "Nel folklore Cinese questo sforzo è incarnato nella figura del re delle scimmie Sun Wukong, che voleva balzare fuori dall'onnipotente palmo del Buddha. Sono sicura, alla fine, conscio che avrebbe ancora fallito e che sarebbe bruciato sotto le Cinque Dita della Montagna, Sun Wukong potrebbe aver sussurrato qualcosa come Lohkchat" (Martina Köppel, Yang 2003).
Originario di Canton, Jiechang (1956, Foshan, Cina. Vive e lavora a Parigi) appartiene, con Chen Zen e Huang Yong Ping alla prima generazione di artisti conosciuti dall'Ovest attraverso mostre come "Magiciens de la terre" curata nel 1992 da Jean Hubert Martin. Come per la maggior parte degli artisti della scena artistica di Guangzou, il lavoro di Jiechang ha una forte connotazione politica. Il pubblico italiano ha avuto occasione di scoprirlo alla Biennale di Venezia del 2003 nella sezione curata da Hou Hanru.
Who uses the space?
Progetto del corso di Arti Visive della NABA a cura di Marco Scotini
Il progetto Who uses the space? concepito per una struttura artistica alternativa come Isola Art Center vuole essere una riflessione sulle condizioni che assoggettano lo spazio, lo regolano, lo disciplinano e, allo stesso tempo, lo producono. Tra lo spazio della rappresentazione (quadro, installazione, video o altro), quello del museo e quello della città intercorre una stessa relazione ordinatrice oppure queste dimensioni di attività spaziali sono tra loro indipendenti? Quando nel 1975 Marcel Broodthaers pubblica un piccolo libro, La conquête de l'espace: Atlas à l'usage des artistes et des militaires (The Conquest of Space: Atlas for the Use of Artists and the Military) dà una risposta definitiva al problema. L'atlante è un sottile volume che contiene le mappe sagomate delle nazioni riprodotte tutte nello stesso formato, una per pagina. Broodthaers più di ogni altro ha insidiato la pretesa neutralità dell'istituzione museale facendola diventare di volta in volta - nella fiction del suo Musée d'Art Moderne - un luogo d'interdizione ai bambini (Museum enfants non admis), il display di ruoli amministrativi geometrizzati (a rectangular director), una tipologia di polizia spaziale, etc.
La domanda Who uses the space? viene ora posta da un gruppo di giovani artisti alla loro prima esperienza espositiva, o quasi. Rispetto ad altre generazioni precedenti, quella attuale non si interroga più sull'essenza dell'arte ma sul suo carattere storico-culturale e funzionale. Il grado zero non è la tela bianca o "il disegno geometrico" ma la domanda radicale su "come" e "chi" produce lo spazio. E lo spazio è quello di vita contro quello dell'economia, lo spazio comune, lo spazio disegnato dalle differenze, lo spazio dell'esclusione, lo spazio di negoziazione, quello dell'integrazione e, soprattutto, quello trasformativo della migrazione. In questo senso, intervenire entro un contenitore d'azione e di auto-rappresentazione come è Isola Art Center è già una direzione operativa, una scelta di campo. Willem Sandberg diceva che in un museo si dovrebbe avere la sensazione di poter giocare a ping-pong. Oggi lo pensiamo come un luogo aperto di interazione e mobilitazione: soprattutto come uno spazio, tra gli altri, della trasformazione.
Il progetto nato all'interno del corso di Arti Visive della Nuova accademia di Bella Arti di Milano (NABA) e curato da Marco Scotini coinvolge alcuni studenti dei corsi di Marcello Maloberti, Stefano Boccalini, Antonella Bruzzese (Gruppo A12), Dimitris Kozaris.
Partecipano: Antonio Barletta, Malin Baumann, Marco Bongiorni, Valentina Brenna, Lisa Chiari, Tommaso Garner, Magne Ilsaas, Noga Inbar, Cristina Mariani, Alberto Montorfano, Halldor Sturluson, Vanessa Tagliabue, Lorenzo Tamai, Ian Tweedy, Lorenzo Zelaschi
Urban transformations
Out presenta nuovi materiali sulle attivita' dell'ufficio a Milano, Citta' del Messico, Tirana e di altre città . Sono a disposizione in modo permanente i materiali del Comitato "I Mille" sulla lotta del quartiere Isola in difesa dei suoi spazi pubblici.
Per domenica e' prevista la messa in terra di una palma nel giardino di via Confalonieri.
Appuntamenti:
Giovedì 12 maggio ore 18.30
"Definizione zero, origini della videoarte tra politica e comunicazione":
In occasione della ristampa del volume di Simonetta Fadda "Definizione zero, origini della videoarte tra politica e comunicazione", Paolo Rosa (Laboratorio di comunicazione militante; Studio azzurro), Luciano Giaccari (MuEl), Luciano Inga-Pin (galleria il Diagramma), Horatio Goni (expanded cinema) e Alberto Grifi (Anna, Parco Lambro) parleranno della loro esperienza col video negli anni Settanta. Il libro prende in esame il modo in cui il video si è affermato come mezzo artistico nel mondo, con un approccio "impegnato" e "radicale" che in parte è stato poi introiettato nel mondo dell'arte, a livello di modalità di presentazione e di forme adottate nelle opere.
In permanenza opere di: Massimo Bartolini, Tania Bruguera, Loris Cecchini, Gabriele di Matteo, Bernardo Giorgi, Maurizio Nannucci, Luca Pancrazzi, Dan Perjovschi, Marietica Potrc, vedovamazzei
Inaugurazione: giovedi 5 maggio ore 18.00
Isola Art Center
Stecca degli artigiani, secondo piano
via Confalonieri 10, Milano
Orario: venerdì, sabato e domenica dalle 16 alle 20
info: Alessandra Poggianti tel 349-8051697
ida@undo.net
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Who uses the space?
Lohkchat by Yang Jiechang
Isola Art Center presents the work ‘Lohkchat, Rise and Fall’ by the Chinese artist Yang Jiechang.
LOHKCHAT is a bad word in Cantonese. Its meaning and use, however, are quite universal. Facing disaster and catastrophe, natural or cultural, man often is powerless. Immobilized he looks for ways how to deal with his impotence. High-tech is one way. The most primitive and direct way is swearing. From this perspective LOHKCHAT is more than a bad word in Cantonese, it is a kind of philosophy of life – as Yang Jiechang believes, typical of local Cantonese culture. It is not fatalism but rather a kind of compliance with and understanding of the unchangeable cycle of life. This understanding might be one reason for the simplicity and straightforwardness of local Cantonese culture.
Yang Jiechang’s multimedia installation Lohkchat re-enacts a man-made catastrophe. He juxtaposes high-tech (aircraft and plan of a modern airport) with his simple local Cantonese philosophy of life. In the video that is part of the installation the artist’s hand appears huge, holding a tiny plane, a toy in the grip of an omnipotent, somehow supernatural palm. Lohkchat is a kind of humorous anecdote relating the human struggle against fate and all those forces beyond human control. In Chinese folklore this struggle is best embodied in the figure of the monkey king Sun Wukong, who wanted to jump out of Buddha’s omnipotent palm. I am sure, in the end, aware that he again had failed, and buried under Buddha’s “Five Finger Mountainâ€, Sun Wukong must have whispered something like “Lohkchatâ€.
Martina Köppel-Yang 2003
Born in Canton, Yang Jiechang (1956, Foshan, China. Lives and works in Paris) belongs, with Chen Zen and Huang Yong Ping, to the first generation of Chinese artists who gained visibility in the West thanks to exhibitions like “Magiciens de la terre†curated in 1992 by Jean Hubert Martin. Like most of the artist on the Guangzou art scene, Jiechang produces work with strong political overtones. His work was first seen in Italy at the Venice Biennial in 2003, in the section curated by Hou Hanru.
Who uses the space?
A project of the Visual Arts course at NABA curated by Marco Scotini
The project Who uses the space? conceived for an alternative art structure like Isola Art Center is intended as a reflection on the conditions that govern and regulate space while producing it at the same time. Between the space of representation (painting, installation, video, etc.), that of the museum and that of the city, is the same ordering relationship at work, or can we see them as independent dimensions of spatial activity? When in 1975 Marcel Broodthaers published a small book entitled La conquête de l’espace: Atlas à l’usage des artistes et des militaires (The Conquest of Space: Atlas for the Use of Artists and the Military), he offered a definitive response to the problem. The atlas is a slender tome containing the profiled maps of nations all reproduced in the same format, one per page. Broodthaers, more than any other artist, challenged the supposed neutrality of the museum as institution, making it become – in the fiction of his Musée d’Art Moderne – a place where children are not allowed (Museum enfants non admis), the display of geometrically defined administrative roles (a rectangular director), a type of spatial policing, etc. The question Who uses the space? is now posed by a group of young artists participating in what is practically their first exhibition. Unlike previous generations, this one no longer asks itself about the essence of art, but about its historical-cultural and functional character. Degree zero is not a blank canvas or the “geometric designâ€, but the radical question on “who†produces space and “howâ€. And the space is the space of life as opposed to that of economics, collective space, space defined by differences, the space of exclusion, the space of negotiation, that of integration and, above all, the transforming space of migration. In this sense, intervention in a container of action and self-representation like the Isola Art Center is already an operative direction, a choice of position. Willem Sandberg said that in a museum one should have the sensation of playing ping-pong. Today we think of the museum as an open place of interaction and mobilization: above all as a space, among others, of transformation. The project conducted in the Visual Arts program of the Nuova accademia di Belle Arti of Milan (NABA) and curated by Marco Scotini involves students from the courses taught by Marcello Maloberti, Stefano Boccalini, Antonella Bruzzese (Gruppo A12), Dimitris Kozaris.
Participants: Antonio Barletta, Malin Baumann, Marco Bongiorni, Valentina Brenna, Lisa Chiari, Tommaso Garner, Magne Ilsaas, Noga Inbar, Cristina Mariani, Alberto Montorfano, Halldor Sturluson, Vanessa Tagliabue, Lorenzo Tamai, Ian Tweedy, Lorenzo Zelaschi
Urban transformations
out presents new materials on the office’s activities in Milan, Mexico City, Tirana and other cities. The materials prepared by Comitato “I Mille†on the struggle in the Isola neighborhood to defend public spaces are also on permanent display.
On Sunday a palm tree will be planted in the park on Via Confalonieri.
Appointments: Thur 12 May 18.30
“Definition zero: origins of video art, between politics and communicationâ€:
For the reprinting of the book by Simonetta Fadda "Definizione zero, origini della videoarte tra politica e comunicazione", Paolo Rosa (Laboratorio di comunicazione militante; Studio Azzurro), Luciano Giaccari (MuEl), Luciano Inga-Pin (galleria il Diagramma), Horatio Goni (expanded cinema) and Alberto Grifi (Anna, Parco Lambro) will talk about their experiences with video in the 1970s. The book examines the way video has emerged as an art medium around the world, with a "committed" and "radical" approach that has partially been incorporated by the art world at the level of modes of presentation and the forms applied to works.
Permanent works are on display at the Isola Art Center by Massimo Bartolini, Tania Bruguera, Loris Cecchini, Gabriele di Matteo, Bernardo Giorgi, Maurizio Nannucci, Luca Pancrazzi, Dan Perjovschi, Marietica Potrc, vedovamazzei.
Opening: thur 5 may 18.00 6-22 may 2005
Isola Art Center
Stecca degli artigiani, secondo piano
via Confalonieri 10, Milano
fri, sat & sun 16.00-20.00
info: Alessandra Poggianti tel 349-8051697
ida@undo.net