Il Diaframma
Milano
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Erminia De Luca
dal 19/9/2005 al 18/10/2005

Segnalato da

Benedetta Mucchi




 
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19/9/2005

Erminia De Luca

Il Diaframma, Milano

25 ASA. Mostra fotografica. Il titolo e' un omaggio alla pellicola 'scomparsa' (fuori produzione) che ha accompagnato la prima fase del lavoro dell'artista. ''...dal punto di vista puramente tecnico, osa ed ha osato operazioni decisamente retro', ovvero implosive usando pellicole in bianco e nero e molti sistemi ancora legati allo sviluppo tradizionale''. Paola Barbara Sega


comunicato stampa

25 ASA

a cura di Paola Barbara Sega

La galleria ‘il Diaframma’ ha il piacere di presentare la mostra fotografica dell’artista Erminia De Luca assieme al catalogo completo delle sue opere dal titolo ’25 ASA’.

Il titolo è un omaggio alla pellicola ‘scomparsa’ (fuori produzione) che ha accompagnato la prima fase del lavoro dell’artista.

I tre lavori esposti sono stati scelti per rappresentare questo primo periodo.

Rose, 1995. 6 opere, stampa fotografica a contatto (60x40 cm)

Autoritratti, 1996. 7 opere, stampa fotografica a contatto (49x27,5 cm)

Calla, 2000. Stampa fotografica (37x24 cm)

LA POETICA DELL’INCANTO

Il doppio carattere dello storico dell’arte è una delle poche costanti che non sono mutate fin dall’età moderna ad oggi. Si tratta di una dinamica oscillante fra il polo assestato su una lettura a carattere prettamente filologico, strettamente legata ai legami col passato, ai contenuti e alle potenzialità e tipologie del mezzo nella creazione dell’opera: in questo caso dell’oggetto fotografico. Il versante opposto si occupa di evidenziare gli aspetti più generali, tipicamente “culturologici” dell’opera in oggetto.

Ad esempio – per quanto riguarda la fotografia – la mia attività di esegeta si è soprattutto rivolta alla mia personale esperienza di storica delle arti visive quali la pittura, la scultura, le arti decorative ecc. e quando mi sono occupata di operazioni artistiche che hanno travalicato il versante dei “generi” tradizionali come la videoarte, i videogames, la fotografia, i videoclips ecc. ho sempre usato come strumento di lettura le basi tradizionali dell’estetica contemporanea, che pur plaudendo al rinnovamento (come l’estetica tecnologica di Max Bense oppure quella del paesaggio - o environnement, coadiuvato sempre dal sigillo foto–grafico - che si avvale degli studi di Assunto oppure di Arnheim), si attesta su posizioni che oserei chiamare con un termine oggi non molto alla moda, “strutture classiche”.

Per questo nell’accostarmi all’opera di questa giovane fotografa pugliese, Erminia De Luca, il mio pensiero principale – dopo essere ovviamente stata colpita dall’intensità del suo lavoro – è stato quello di intessere analogie con il “mio” personale strato culturale, che probabilmente e, senza falsa umiltà, avrebbe potuto anche non coincidere con la sua esperienza. Tuttavia, di fronte al fatto che durante i colloqui che abbiamo avuto, Erminia ed io, abbiamo convenuto che esistono reciproche coincidenze di punti di vista sulle sue opere, ho deciso di raccontare il percorso di Erminia con dei parallelismi e delle analogie che appartengono all’”immaginario collettivo” e non certo alla cultura strettamente legata alla storia della fotografia oppure a quella protofeudale del suo paesino: quel San Giovanni Rotondo dove si frammischiano con singolari caratteristiche, operazioni assolutamente post-moderne, intrise di kitsch, di misticismo e mass–media; piuttosto considero il lavoro di De Luca significativamente legato alle correnti internazionali, alle poetiche d’avanguardia del XX secolo ed esse attraversano tutta la sua ancor giovane operazione.
Non è forse per caso che l’artista si sia allontanata dal suo luogo d’origine pur restandone sicuramente molto legata. Infatti vive a Milano che è la città italiana più internazionale e cosmopolita. Inoltre, dal punto di vista puramente tecnico, osa ed ha osato operazioni decisamente retrò, ovvero implosive usando pellicole in bianco e nero e molti sistemi ancora legati allo sviluppo tradizionale, pur sapendo avvalersi delle tecniche più avanzate, come la foto digitale, che tuttavia risulta magnificamente interpolata alle antiche operazioni di matrice chimica. I suoi fotogrammi sono di taglio medio, quindi i più semplici da manipolare e soprattutto il materiale tematico è lungi dall’essere imposto dalle nuove “autorità istituzionali” come avviene nella maggior parte dei giovani fotografi di oggi, laddove l’auctoritas del mithos è passato da una forma di eteronomia all’altra: al posto degli eroi ci sono le autostrade e i campi di calcio, oppure gli aeroporti, oppure il ritratto e l’autoritratto s’intride di horror del quotidiano: malattie, protuberanze, distorsioni e menomazioni pullulano nelle opere della giovane fotografia. Le cosiddette “storie vere”, scomparse dalla pittura, ricompaiono nella fotografia, nei DVD e nella videoarte. Noiosie messe a fuoco ad obbiettivo aperto mostrano i nuovi mostri sfocati: esseri butterati e sessi seccati si alternano ad Halls sterminate di alberghi tipo Shining, oppure immagini di aeroporti che sembrano colpiti dallo sciopero dei passeggeri. Non si può tuttavia disconoscere che – almeno per quel che riguarda le personalità più interessanti dell’ultima generazione di fotografi famosi - che per altro è immediatamente precedente a quella di Erminia De Luca, si trovi un reciproco avvicinamento almeno sul piano dei contenuti a quella che comunemente – oggi - viene chiamata l’estetica del vuoto.

Del resto si sa che l’estetica del vuoto si richiama a quella dei Simbolisti laddove la conciliazione fra l’umano e il cosmico, fra la natura e le arti contiene l’impronta di un vuoto e di un”assenza” che è la matrice di perenne creatività.

Erminia De Luca ha cercato nel corso della sua ormai più che decennale attività alcuni temi o meglio vari spunti di materiali tematici che la portano a cercare un’identità smarrita: infatti nell’illustrare il suo “repertorio” spicca - per prima - la serie d’immagini su LE ROSE DI FERRO, in seguito la serie di AUTORITRATTI (1996) e SETTE OPERE A MILANO (2002), compreso l’omaggio a Tina Modotti (2000) sono in perfetta sintonia con l’iperbolico simbolismo sintetico ed essenziale, ma visionario ed infinito comparabile alla grafica di Rodolphe Bresdin, artista magico e favoloso, ispiratore del misteriosi incantesimi di Odilon Redon.

LE ROSE DI FERRO sembrano toccate da un fatale destino, come se una fata malefica le avesse costrette per sempre a rendere infinita, cupa e immortale la loro caduca freschezza. Infatti spesso la rosa venne presa come simbolo soprattutto dai grandi artisti artigiani del ferro del periodo dell’ Art Nouveau e penso al famoso Mazzuccottelli. L’artista si serviva di questa “immagine – simbolo”, non solo per adornare inferriate e balconi dei palazzi e dei villini protoborghesi, ma le rose di ferro compaiono spesso raggruppate corredate di sottili steli oppure in grandi vasi nei nobili e austeri cenotafi costruiti a cavallo del secolo nei cimiteri di molte città. Le ROSE DI FERRO tuttavia, sono il segno più evidente della poetica dell’incanto della nostra artista, sono costruite con magica perizia, tanto da smentire la famosa frase di Susan Sontag secondo la quale “il pittore costruisce, il fotografo rivela”.

Le ROSE di De Luca non solo sono una rivelazione nel senso più westoniano del termine, cioè ci fanno partecipi di una percezione del fenomeno della de-contestualizzazione, ma sono “in realtà” de-contestualizzate anticipando quel flusso d’imprescindibile spirale fra finzione e realtà che iniziatasi appunto con la poetica dei Simbolisti culminerà con le forme dei ready-made, che non sono solo utilizzati dai cubisti,futuristi e dadaisti, che lanciarono come mezzo di suprema ambiguità artistica il trucco della decontestualizzazione dell’oggetto. E’ da sottolineare tuttavia che, a differenza delle foto alla Weston, molto contratte e cariche di realismo magico, appunto nei primi decenni del XX secolo, i Bragaglia, fotografi esponenti del futurismo s’interessavano al tema del “movimento”, raggiungendo paradossalmente un risultato percepito come un raggelamento tipico di molta arte pittorica di quegli anni e sono queste le impressioni che più ci avvicinano alla seconda fase dell’arte di De Luca.

AUTORITRATTI, sono stati creati attorno al 1996. Qui De Luca si cimenta in una serie di autoritratti che indagano il tema “principe” nella storia dell’arte: quello del DOPPIO. L’altro da sé ha sempre affascinato il mondo dell’arte, dalla letteratura alla pittura ecc, si pensi ancora ad un grande simbolista come Gustave Moreau e alle sue tele sul tema di Narciso. Infatti a differenza di molti artisti direttamente precedenti alla De Luca che si avvalgono del tema del ritratto come “travestimento” oppure per trasformare il proprio volto in immagini di orrore ispirandosi per esempio, al romanzo nero, come ha fatto spesso la Sherman, Erminia De Luca indugia su una poetica del Narciso come specchio di Dioniso, persino la sua autoimmagine come donna pipistrello, non suscita orrore, ma un sentimento di impotenza di fronte ad una speranza giovanilmente e incontenibilmente tesa a trattenere in eterno la pluralità nel “tutto”, che è il nostro personale e purtroppo “finito” e destinato alla finitudine CORPO: torna alla mente la breve Satura di Montale “Si arraffa un qualche niente/ e si ripete/ che il tangibile è quanto basta./ Basterebbe un tangente/ se non fosse/ ch’è lì, a due passi guasto.” Agevolmente lo specchio di De Luca vuole scavalcare qualsiasi recinzione e dopo una fuggevole, ma molto simbolista, immagine dedicata alla Modotti, una Calla, che rammenta due versi di una poesia di Maeterlink: “…eleva verso il cristallo azzurro/ la sua mistica preghiera bianca”, si lancia in una breve serie di RITRATTI o AUTORITRATTI, dove il ductus foto–grafico diventa sempre più fluido e sfuggente per favorire il flusso della memoria e delle evocazioni. Allora abbiamo splendide immagini come La Statua, La Concubina, La Rondine che preludono un’apertura all’ALTRO; una adesione allo Specchio di Dioniso, un aprirsi alla vita. De Luca a questo punto si allontana dalle poetiche “A rebours”. Erminia non diventa un cesellatore d’immagini, un orafo prezioso e chiuso in un mondo dove domina l’estenuata eleganza e una inane solitudine.

Infatti FUORI DI ME, comprende la serie di: ALBERI (2003), CIELO (2004), RIZOMI (2004). L’omaggio alla Modotti, non era senza un significato, perché anche Erminia si apre al mondo, anche se non si risolve ad effigiare, come la sua ava, il mondo degli umili, sarebbe un vieto pre–testo per fare ideologia. Oggi - la nostra artista ha ben capito il carattere rizomatico della nostra cultura - che si espande in profondità che germoglia sotterranea e che esplode in superficie solo per arrivare ai Confini della terra, in quel cielo informe e abbrunato dalla polluzione, sotto il quale – in silenzio - ma non in solitudine, Erminia, come tanti altri esseri umani spesso misconosciuti, conducono le loro battaglie.

AI CONFINI DELLA TERRA potrebbe, all’apparenza, avere analogie stilistiche con l’arte e la fotografia informale degli anni ’50, di cui la sottoscritta è stata una delle prime esegete, in occasione della mostra sull’ Informale in Italia del 1982, a Bologna. Eppure, troppa acqua è passata attraverso i “ponti” dell’arte, in questo mezzo secolo. Lontano dai tormenti degli artisti dell’informale, la giovane artista punta piuttosto su una visione cosmica del “meraviglioso”, come in tutto il suo lavoro, anche qui a De Luca interessa l’identità e l’integrità del soggetto, non l’integrità della forma.
Le foto della breve serie: Ai confini della terra potrebbero essere “GRAFIE” riprese da foto scientifiche del cosmo, possono essere tracce di antiche Galassie affiorate dal VUOTO e dal NULLA. Infine, i RIZOMI mettono in scena strati iconografici difficilmente accessibili, sono una sorta di trappola, di ingorgo, in cui si dibatte ciascuno di noi. I sottili filamenti che generano poderosi e nodosi apparati lignei sono un analogo della nostra anima, cui basta qualche sottile traccia di realtà per concepire l’essenza, che è sempre un vuoto, ma che genera frondosi boschi e prati di memorie, come scriveva Cesare Vivaldi: “Finita l’apparecchiatura a mano/ con gli stimolanti, i veleni/ rimane il prato come è sempre stato.”
PAOLA BARBARA SEGA

“LE ROSE DI FERRO sembrano toccate da un fatale destino, come se una fata malefica le avesse costrette per sempre a rendere infinita, cupa e immortale la loro caduca freschezza.”

AUTORITRATTI – “Erminia De Luca indugia su una poetica del Narciso come specchio di Dioniso, persino la sua autoimmagine come donna pipistrello, non suscita orrore, ma un sentimento di impotenza di fronte ad una speranza giovanilmente e incontenibilmente tesa a trattenere in eterno la pluralità nel ‘tutto’...”

CALLA – “...una fuggevole, ma molto simbolista, immagine dedicata a Tina Modotti”

Erminia De Luca, “...dal punto di vista puramente tecnico, osa ed ha osato operazioni decisamente retrò, ovvero implosive usando pellicole in bianco e nero e molti sistemi ancora legati allo sviluppo tradizionale.”
Paola Barbara Sega

“A tutti i viaggiatori, soprattutto a chi fermo di stanchezza e sfinimento riprende la strada dopo un sorso d’acqua.”
Erminia De Luca

Inaugurazione: Martedì, 20 Settembre 2005 ore 18.30

‘IL DIAFRAMMA’ – Via dell’Annunciata, 31 – MILANO
dal martedì al sabato dalle 11 alle 13 e dalle 16 alle 19,30

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