Ian Burns, Ingo Gerken e Luigi Rizzo. Comune denominatore dell'opera dei tre artisti e' la volonta' di decostruire lo statuto fenomenologico della rappresentazione, di investigare le varie problematiche inerenti l’immagine e di "smontare" la sua stessa messa-in-scena.
Ian Burns, Ingo Gerken e Luigi Rizzo
Pianissimo e' lieta di presentare il lavoro di Ian Burns, Ingo Gerken
e Luigi Rizzo, residenti rispettivamente negli USA, in Germania e in
Italia e nati curiosamente nello stesso anno, il 1971. La mostra
costituisce anche per questo l'occasione di un puntuale rendez-vous,
unitamente al fatto che le loro ricerche artistiche, seppure distanti
sul piano geografico, evidenziano rispetto alle attitudini un comune
denominatore: la volonta', da parte dei tre artisti, di decostruire lo
statuto fenomenologico della rappresentazione, di investigare le varie
problematiche inerenti l'immagine e di "smontare" la sua stessa
messa-in-scena.
Deconstructing Frank (Frankenstein "a pezzi" in italiano) e' il
titolo per definire questo comune atteggiamento di fronte a quel
"tavolo
operatorio" che rappresenta per loro l'opera d'arte.
Ian Burns focalizza la sua attenzione sulla natura stessa della
fruizione in relazione ad un generico e fantasmatico screen, inteso
come fondamentale cornice della visione e ricettacolo
dell'informazione, nell'era della globalizzazione. Attraverso
l'utilizzo di congegni
low-tech sapientemente orchestrati all'interno delle sue sculture-
quinte, l'artista allestisce delle rappresentazioni teatrali che
simulano,
dietro lo schermo-sipario, immagini digitali, frames, pubblicita',
videogiochi e quant'altro sia riconducibile all'universo fugace
dei flussi
informatici e televisivi. L'illuminazione, l'angolazione
dell'inquadratura e tutti gli altri elementi della narrazione per
immagini adoperati
sinergicamente concorrono alla simulazione dell'esperienza visiva (e
soggettiva) caratteristica dello spettatore moderno, di fronte al
proliferare caotico e frammentato dei messaggi visivi che la societa'
contemporanea incessantemente si scambia. In questo senso,
Burns mette in scena non tanto la Societa' dello spettacolo, quanto lo
Spettacolo della societa'. Gli screens posticci di Burns alludono,
infatti, ai palcoscenici virtuali in cui si interfacciano spettacolo
e spettatore, al Teatro simbolico del loro reciproco dis-orientamento.
Estremo approdo di un teatro impegnato, dando corpo all'immateriale
Burns critica lo spettatore e il suo estatico abbandono, lo invita
ad una rinnovata consapevolezza, piu' fisiologica e quindi reale
rispetto alla sua evanescente soggettivita' di homo videns.
Ingo Gerken opera lungo il percorso di deriva della rappresentazione,
che si tratti di installazioni site-specific, oggetti o immagini
bidimensionali i suoi costrutti evidenziano spesso un carattere
fortemente processuale. L'universo formale dell'artista si presenta
perforato e sfilacciato, dalle sue maglie sembrano filtrare forze
disgreganti e molti suoi lavori appaiono indefiniti o passibili di
ulteriori
cambiamenti. Gerken e' dialettico: i suoi interventi fotografici si
strutturano tra sintesi e decostruzione; alterne de-materializzazioni
dello
spazio reale e dell'immaginario caratterizzano le sue installazioni
ambientali; l'uso combinato di figure retoriche come la metafora e
la metonimia e' tipico in molti suoi oggetti. Come, ad esempio, nel
lavoro in mostra intitolato Boys don't cry e costituito da una sedia
in plastica sulla quale stanno appoggiati due bastoni di legno,
parzialmente spezzati e piegati a mo' di ginocchia. I colpi inferti ai
due
bastoni rappresentano il prezzo da pagare per la loro tras-
figurazione in gambe, e suggellano il corpo umano in quanto ferito
(il titolo,
infatti, e' rivolto a dei ragazzi e sembra esortarli
all'accettazione matura della nostra vulnerabilita'). Rievocati
Pinocchio e l'Alchimia,
Gerken non dimentica Frankenstein quando, per animare cio' che e'
inerte, utilizza uno s-montaggio delle parti.
Luigi Rizzo utilizza il linguaggio video in modo versatile, a seconda
del progetto da realizzare il suo immaginario si avvale di competenze
e conoscenze tecniche diversificate, tali da permettergli un
approccio duttile e ogni volta circostanziato. Il suo retroterra
privilegiato
e' costituito, da una parte, da una grande attenzione verso
l'elemento architettonico in senso lato, nel senso cioe' della
costruzione
spazio-filmica del set e della accurata installazione dei lavori
nelle sedi espositive; e, dall'altra, da una predilezione per il
sampling, per
l'utilizzo di materiale pre-confezionato, da "scartare" e ri-
confezionare, in parte o per intero o tramite un montaggio
differente. Ne e' un
esempio la videoproiezione presente in mostra, ottenuta dalla
sovrapposizione del filmato di una gara di rally sul filmato di
un'orchestra
di jazz. Si assiste ad una sorta di ri-configurazione temporale di
due girati d'epoca. La musica costituisce ora la colonna sonora della
gara, e poi sembra ritrovare, all'interno del sottostante filmato
del quartetto di Bill Evans, il suo "calco" originale. Strano caso
di ellissi
temporali incrociate, le peripezie di un famoso rally viceversa
smarriscono, in quanto "eseguite" dalle evoluzioni musicali della
band,
il loro carattere storico-documentaristico. Questo semplice
accostamento neutralizza l'identita' dei due filmati: sono entrambi
di-versi,
letteralmente. Ma allora, cosa stiamo guardando? Vero filo conduttore
di molti suoi lavori realizzati con materiale d'archivio, anche
in questo caso il re-mixaggio di immagine e sonoro costituisce quel
nodo semantico straniante che Rizzo non scioglie, ma evolve in
matassa.
Opening: giovedi' 18 gennaio 2007 h.18
pianissimo Via Ventura 5 20134 Milano
da martedi' a sabato dalle 15 alle 19