Associazione Culturale Satura
Genova
piazza Stella, 5/1
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WEB
Cinque mostre
dal 9/2/2007 al 27/2/2007
dal martedì al sabato ore 16:30 - 19:00

Segnalato da

Satura




 
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9/2/2007

Cinque mostre

Associazione Culturale Satura, Genova

Il nuovo e il piu' antico: mostra personale di Adriano Avanzini. Luoghi, storie, repertori, territori, personale di Sergio Franzosi, a cura di Liviano Papa. Com / Dia-logos e' una riflessione di Maja Baudach sui modelli di comunicazione. Ecotoni: opere di Robin Falco. Anime presenta sculture di Sara Romeo.


comunicato stampa

Il nuovo e il piu' antico
mostra personale di Adriano Avanzini

a cura di Paolo Ferrari

L'opera artistica di Adriano Avanzini si presenta di primo acchito come un viaggio all'interno delle correnti dell'arte dell'ultimo Novecento, assunta in quel suo nucleo essenziale che si compone di un estratto di simboli e stilemi provenienti dai sostrati di mondi artistici che oggi definiamo usualmente con i termini di "arcaico" e "primitivo". E, per cammino opposto e complementare, da quei mondi rimonta ad incontrare l'esperienza che già fu di quegli artisti che per desiderio di nuovo si appropriarono del più antico, cercando nei tempi pre-classici della nostra Europa, oppure al di là di Oceani, nelle visioni oppiacee d'ambigui orizzonti capovolti, l'idolo e la maschera, primarie forme di figurazione antropomorfa.

Nell'opera di Avanzini, a questi opposti flussi, confluenti l'uno nell'altro a comporre un'unica corrente di stratificazioni simboliche e formali, corrispondono nel metodo due processi creativi apparentemente polari, sicuramente lontanissimi in senso "storico", ovvero secondo una cronologia storiografica lineare e progressiva. Non altrettanto se invece la storia la pensiamo non come il distendersi lineare di una fettuccia, ma come uno stropicciare di stoffa, all'interno del quale ciò che cronologicamente appare distante è invece sovrapposto, combaciante, corrispondente.

Se la grafica computeristica mette a disposizione dell'artista odierno forme e soluzioni primarie ed essenziali quali quelle che la mente primitiva (mi si passi l'espressione), scevra da stratificazioni e codificazioni accademiche, produceva con un'immediatezza ed efficacia espressiva che solo dopo secoli o millenni abbiamo in qualche modo recuperato, forse alla base della grammatica dei pixel giacciono gli stessi impulsi mentali, e infine gli stessi bisogni di vita, che animavano il pensiero selvaggio delle categorizzazioni totemiche e delle opposizioni binarie studiate da Lévi-Strauss.

Allora la pratica dell'elaborazione computeristica echeggia della sua lontanissima prossimità con il fare artistico più rudimentale che sceglie il gesto essenziale di una spatola e l'intonaco asciutto come di muro. Piuttosto che una copia e un originale, oppure un progetto e la sua realizzazione, l'opera nasce così con un suo doppio, un riflesso identico, però non per riproduzione meccanica, grande prodigio della modernità, ma per distinta e parallela genesi. Abbiamo parlato di idolo e maschera, figurazioni pre-umane di quei tempi in cui rappresentare l'uomo era inessenziale - o meglio, impossibile -, perché ogni rappresentazione era di per sé un'evocazione del numinoso. Ed è noto quanto la prima grande rivoluzione figurativa del Novecento, ovvero il Cubismo, abbia attinto dal gran pozzo degli stilemi arcaici nella ricerca di quel salto oltre la figura che era certo anche un anelito a passare oltre l'uomo, ma senza stemprarne la materia in deliqui trascendentali, assumendo, forse più con forza che con consapevolezza, la responsabilità e la tragedia di un tale atto.

Le opere di Avanzini ci ripropongono le trame composite di questa ricerca, con l'originalità propria di un percorso denso d'esperienze interiorizzate, nella quiete e a volte nella tempesta. L'originalità più autentica, che non è mai affannosa ricerca del nuovo, ma a volte adesione attiva e veritiera al comune destino di un discorso ancora echeggiante di senso.

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Luoghi, storie, repertori, territori
mostra personale di Sergio Franzosi

a cura di Liviano Papa

.... da sempre lo affascina il mondo dell'Arte, con lavoro creativo in architettura dove progetti e ricerca sono i campi nei quali si muove congenialmente Sergio Franzosi. Architettura e Arte rientrano in un unico pensiero creativo per fondersi in un'apoteosi di immagini dalle quali il Pittore pur conoscendo la ricerca di De Chirico, Sironi, Adami e di quella "Scuola francese" dei Padri del Modernismo, azzera tutto e reinterpreta una sorte di paesaggio fantastico, una città architettonica dove regna una visione geometrizzante di ampie e squadrate piazze, palazzi di un rigore prospettico estremo dove in questa visione tutto è al suo posto. Alle sue origini. Un nitore poetico, prospettico, in cui spazi-luce, pieni e vuoti si contendono l'immagine. Ed ecco che la pittura di Sergio Franzosi, si fa materia, tradizionale, da cavalletto, ma è cibernetica. Costruita. Spazio dopo spazio, tassello dopo tassello il percorso creativo dell'Artista si dipana sulla superficie pronta ad accogliere il pensiero che di frammento in frammento il racconto si rivela nella sua completezza. Ed ecco che Sergio Franzosi con pitture, collages, oggetti, si esprime e ci svela i suoi immaginari luoghi, le sue giornate, i suoi ricordi con il manufatto cartaceo, tele e faesite in un racconto tridimensionale, ci fa partecipe al suo mondo.

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Com / Dia-logos
mostra personale di Maja Baudach

a cura di Mario Pepe

Dalla metà degli anni sessanta l'arte concettuale è sinonimo di attività di pensiero non di godimento estetico, di riflessione sul rapporto conflittuale e problematico che esiste tra la realtà e le sue rappresentazioni iconiche e verbali. Si comprende quindi come un'arte di questo tipo tende ad eliminare qualsiasi significato emozionale, per proporsi con lucida e fredda razionalità. L'elemento più importante è l'idea che sta dietro l'opera piuttosto che l'abilità tecnica della sua esecuzione. L'aspetto teorico, l'azione linguistica, vengono posti in primo piano rispetto alla rappresentazione materiale di tale azione. Maja Baudach riflette sul modello di comunicazione umana elaborato da Roman Jakobson che contiene sei fattori: contesto - mittente - destinatario - messaggio - contatto - codice, e affida alla fotografia la mera esemplificazione fisica della sua elaborazione teorica. Ogni foto rappresenta un aspetto del modello. Si stabilisce una sorta di divisione dei compiti tra l' analisi semiotica e l'immagine che si incarica di ancorare i segni a determinate situazioni spazio-temporali. Il messaggio fotografico si sposta dall'ambito naturalistico, propriamente attribuito dal senso comune, a un ambito più specificatamente critico-analitico.

Le foto di Maja devono essere lette come un campione estratto da infinite possibilità di situazioni comunicative come effettivamente si propongono in una organizzazione sociale complessa come quella moderna. Il campione delle immagini è sicuramente preso dal contesto in cui l'artista vive e riflette sulla sua stessa esistenza. Le sue fotografie, mentre forzano la percezione entro schemi specificamente "realistici" portando in primo piano momenti e personaggi della vita di ogni giorno, sono allo stesso tempo capaci di suggerire situazioni "altre" e arricchirne i significati interpretativi. Nella foto del codice il prete tiene in mano una chiave che sembra attribuire al suo portatore il potere di decifrazione del messaggio. La foto del contatto che dovrebbe segnalare il canale attraverso il quale avviene la comunicazione è soffusa di tenera poeticità, unica forzatura "calda" che l'artista ha concesso al progetto tematico, quasi a sottolineare che il gioco è così complesso che può anche sfuggire di mano. La foto del messaggio rivela il contrasto tra la rappresentazione iconica del segno, in questo caso il discorso tra il personaggio in macchina e quello seduto sulla moto, e la rappresentazione verbale di tale segno. Sul piano formale, la stampa ingrandita su tessuto, che si sgrana al pixel se percepita da vicino, contribuisce ad allontanare la fruizione "oggettiva" delle fotografie in favore di una lettura di livello organizzativo più alto e di conferire un taglio freddo all'intera operazione.

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Ecotoni
mostra personale di Robin Falco

a cura di Valentina Perasso

In ecologia gli ecotoni definiscono ambienti di transizione - naturali o antropizzati - interposti fra vari strati diversificati. L'immersione negli ecotoni, proposto da Robin Falco, proietta lo spettatore in ambienti di transizione naturali, dove esistono zone di contatto o di confine unite per pochi secondi dall'energia vitale. I luoghi di Falco manifestano emozioni che esprimono l'anima, la memoria, il tempo meteorologico e il "tempo psicologico" dell'uomo mentre si addentra totalmente nella vegetazione. L'artista coglie l'attimo unico, quello in cui l'impulso e la sua abilità gli fanno scegliere la visione naturale che funziona nelle sue tele: riprende gli attimi di natura per sorprenderli nella rivelazione di pulsioni che aleggiano nella mente umana. La terra lombarda, dove il pittore vive, si materializza in forme espresse con segni veloci, che in qualche caso, tendono ad essere inghiottite in macchie di luci e colori, ripercorrendo come tecnica in parte l'istintività dell'action painting, in parte il dripping di Pollock. Il rapporto costante con la natura protagonista delle tele di Falco è multiforme e poliedrico: Esplosioni di piracanta e Iris gialli nella palude sono note di colore, bagliori di speranza e di vita, ma, improvvisamente, ci sono momenti in cui l' essenza della natura si presenta come una grande "madre" sempre pronta ad accogliere il proprio "figlio" nei momenti più difficili della vita, nella riflessione con se stessi, nell' incontro con lo spirito, ospitandolo in antri segreti per risolvere il mistero della sua solitudine. Quel posto segreto è un chiaro esempio di questi stati d'animo: l'artista mentre dipinge una cascata, diventa anche scrittore, sostenendo che ogni uomo ha un luogo noto solo a lui, dove rifugiarsi quando il cuore è ferito e la mente è confusa. Altre immagini raffigurano la natura continuamente violata da agenti atmosferici o dall'uomo stesso; ma nonostante tutto, la sua anima resiste e si rigenera sempre più rinvigorita: "..rinascerà dalle ceneri più forte e rigogliosa.", scrive l'artista. In tal senso ne sono esempio Fuoco nel Canneto e Ginestre sul vulcano del ciclo pittorico Terra, Acqua, Aria e Fuoco o quello di Natura Ferita o ancora Foglie morte dove, secondo Falco, in natura non esistono tombe ma solo culle e la foglia diventa alimento di nuove vite cadendo nel ventre della terra.

Questi filtri di variegate realtà naturali raggiungono spesso momenti di apoteosi nella congiunzione delle differenti fasi: i diversi elementi dell'ecosistema s'incontrano per pochi secondi, ma con un' unione totale. Fra i numerosi oli su tela, 'Terre d'acqua', appartenente al ciclo Sguardi sulla pianura, è sicuramente fra i più significativi. L'artista è affascinato dalle virtù dell'acqua che innonda le risaie e invade la terra rivestendola di forme e colori in un unicum col cielo: ".acqua, terra, cielo s'incontrano e si confondono per un momento in un'unione totale", si legge vicino al quadro. Una luce assoluta fa sì che l'immagine sia enfatizzata in quel lampo di realtà. Anche Specchio in rosa riflette un particolare momento, una piccola emozione: il commento di Falco: ".il mondo della separazione e del tutto si sfiorano per allontanarsi di nuovo.." definisce e completa l'immagine. Fascino e inquietudine dominano l'artista che si sente inglobato e riflesso nell'ambiente. Simbolismo, rivelazioni e qualche frammento naturale materico, invadono le creazioni del pittore-poeta nell'indagine metodica dei cambiamenti della luce attraverso i diversi stadi del giorno e delle stagioni, riproponendo la sostanza di un profumo, di un' atmosfera o di un silenzio, dimenticando la dimensione vera del tempo, trasportandoci in una era a metà fra sogno fatato e dura realtà.

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Anime
mostra personale di Sara Romeo

a cura di Valentina Perasso

Addentriamoci nel mondo di Sara Romeo - giovane artista attiva a Genova e a Carrara, molto abile nella scultura, nel disegno e nella ritrattistica - per scoprire la grande emozione, le profonde sensazioni che è in grado di trasmetterci. Scendendo nel " Pozzo", ci si imbatte nelle sue sculture: la semplicità del materiale utilizzato, come la terracotta a volte abbinata al legno e al ferro, rievoca quasi uno stile folk, non imbrigliato in canoni tradizionali, che ci invita a riflettere sulla spiritualità e l'essenzialità della vita. Anche la colorazione delicata, come l'azzurro spento o il giallo chiaro dei pochi e semplici indumenti indossati dai diversi personaggi raffigurati, è perfettamente in sintonia con la tipologia del materiale scelto e con il concetto di sostanzialità del vivere. Fra le numerose figure, gli acrobati, scolpiti nel loro dinamismo, sembrano invocare un grande silenzio, quasi mistico: li vedi sospesi nell'aria, con espressioni pacifiche, ma con una gestualità e un movimento molto incisivi, tanto da sembrare quasi un'apparizione che dura pochi attimi davanti ai nostri occhi, ma che rimane immortalata quasi fisicamente nella nostra anima: un messaggio da decifrare, indefinito nel tempo e nello spazio.

Ma chi sono i protagonisti di questa proiezione? Spesso le donne ("Khora Khanè"), con la loro fragilità ma anche la ferma determinazione: una tende il braccio e ci propone un sorriso, l'altra invece sembra precipitare violentemente non nel vuoto, ma sul terreno, definito da una superficie solida in legno. La donna riesce a fermarsi appoggiando una mano sulla superficie e il suo viso ha un'espressione sempre sicura. Cosa significa questa caduta? Il tentativo di fare qualcosa di troppo grande per lei? La ricerca di aiuto o almeno comprensione? C'è comunque, sempre, una possibilità di ascesa: il braccio teso della compagna la può salvare, le cadute, a volte, servono a rinascere più forti.Questo senso di fugacità e di evasione dalla vita di sempre emerge anche dalla "Zingara - Sposa": una donna errante, in sintonia con gli stati d'animo dell'artista, che indossa una abito rosa, col capo coperto e i piedi scalzi, alla ricerca di qualcosa e di una stabilità che non ha ancora trovato, ma che forse troverà; lo suggerisce il rosa dell'abito, un colore molto positivo e il mazzolino di fiori che tiene in mano, quasi di buon auspicio. Sono sagome circoscritte da linee essenziali con movimenti ben definiti, plastici che solo la natura e l'arte possono tracciare. Sensazioni, che l'artista istintivamente propone sentendole come fasi diverse della sua esistenza, inglobate nella materia, una purezza racchiusa nell'arte che è soggetta a continue pulsioni interiori e che si concretizza in qualunque tipo di materiale, per poi assumere fisionomie che toccano il nostro cuore, la nostra mente. Note autobiografiche s'incarnano nelle sculture della Romeo, ma anche nei suoi disegni: il colore degli acrilici è decisamente più vivace e acceso, ma riprende ugualmente, nei visi e nei corpi, il tratto delle figure scolpite. Protagonista, come spesso anche nelle sculture, è sempre la donna, soggetto particolarmente caro all'artista. Fra le diverse storie, quella della fanciulla dai capelli rossi accucciata per terra, come se piangesse mentre contempla la sua ombra, è molto vicina alla Romeo: un cappellino rosso con la piuma caduto sul pavimento è sicuramente una peculiarità tutta da scoprire che si accosta all'artista.Le sue manifestazioni artistiche non impongono un messaggio esplicito: ci lasciano padroni di contemplare e sviluppare continue storie, allusioni, richiami che possono assecondare i nostri schemi mentali, che non sono stereotipi ma riflessioni, emozioni fugaci.

Inaugurazione: 10 febbraio 2007

Satura
piazza Stella 5 - Genova

dal martedì al sabato ore 16:30 - 19:00

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