Mostra personale. "Il negativo lo stampa in camera oscura, lo graffia, usa il collage, il colore. Diventa cosi' un po' pittore, scultore, performer. Partendo dal buio dell'Anima dei suoi soggetti, quelli vivi, Witkin squarcia il velo sottile tra il mondo 'normale'..." Claudio Composti.
Mostra personale
Nella Storia dell’Arte, così come nella Scienza o nella Letteratura, i grandi artisti sono stati quelli che, più degli altri, hanno avuto la capacità di “vedere oltre”. Dei visionari. Delle “antenne del mondo” in grado di captare, forse nemmeno in piena coscienza, quello che la gente comune non può (o non vuole) vedere: Hyeronimus Bosch, Leonardo Da Vinci, Renè Magritte, Max Ernst, Dalì… Joel Peter Witkin fa parte di questa schiera di visionari. Per mostrarci i suoi (o nostri?) incubi, o semplicemente realtà diverse, usa il mezzo fotografico. Tuttavia, sarebbe sbagliato e limitativo definirlo semplicemente un “fotografo”.
E’ un artista a 360. Il negativo lo stampa in camera oscura, lo graffia, usa il collage, il colore. Diventa così un po’ pittore, scultore, performer. Diversamente dalle apparenze, il suo lavoro è un inno alla Vita. Partendo dal buio dell’Anima dei suoi soggetti, quelli vivi, Witkin squarcia il velo sottile tra il mondo “normale” (?) e il mondo delle altrui perversioni, che lui indaga con la perizia e la maniacale morbosità di un anatomopatologo (d’anime). Costringe chi guarda ad affrontare le proprie paure, le voglie nascoste, il proprio “lato oscuro”. l’Amore e la Morte. In una parola la Vita. Voyeuristi un po’ morbosi, assistiamo a queste tanto condannate diversità, eppure così attraenti. Questo però scandalizza. Invece peggiore e subdola, è la voglia che ci spinge a guardare l’(a)-normalità di un Grande Fratello, un nano o un incidente in autostrada o la morbosità - questa sì terrificante - di voler sapere da Telegiornali e quotidiani tutti i particolari d’omicidi, stragi private o casi irrisolti. Così, più gli assassini sono i cosiddetti “normali”, vicini di casa, parenti, conoscenti, mamme o maestre, più l’Orrore cresce in noi, perché inaccettabile razionalmente. Joel Peter Witkin non fa sconti. Ci mostra, non senza sapiente e fine citazionismo della Storia dell’Arte Moderna e Contemporanea (Es. “Lo studio del pittore” 1855 di Courbet) una parte di Realtà che socialmente rifiutiamo.
Vero e proprio teatro Grand Guignolesco implica tuttavia la volontaria partecipazione dei soggetti, nello sfogo delle loro perversioni. Fondamentale per comprenderne l’opera è considerare la sua Storia privata. Nato a Brooklyn nel 1939, figlio di madre italiana cattolica e padre russo ebreo ha vissuto un fortissimo e contrastante rapporto con la Religione, Dio, il concetto di Punizione e Morte, segnato anche dall’esperienza. Attratto da sempre da quel mondo in ombra abitato dalle diversità, sul quale dice di voler gettare un raggio di luce, risale al ’56 il suo lavoro “Freaks” (“Mostri”) del Circo di Coney Island - non a caso avrà il suo primo rapporto sessuale con un transessuale del circo -.
La guerra in Vietnam, poi, come reporter di guerra (1961-64), lo porta a “vivere la Morte” con una “normalità” e una sorta di attrazione simile a quella di un medico chirurgo. Cade anche l’ultimo tabù: maneggiare cadaveri per farne soggetti di opere d’arte. Ovviamente di persone sconosciute e mai reclamate (Witkin vive e lavora ad Albuquerque- New Mexico). Uomini anonimi e soli in questa vita, i quali, tramite Witkin, tornano protagonisti in un “viaggio a ritroso”. Dalla Morte alla Vita, per un attimo. Il tempo di uno scatto prima di affidarli all’Eterno. Tuttavia, c’è più malinconia e senso di Morte nell’erotismo degli esili corpi legati delle modelle di Nobuyoshi Araki o morbosità nelle prosperose carni delle donne di Jan Saudek: Eros e Thanatos. Joel Peter witkin, invece, diventa il baluardo finale di un ultimo saluto al Mondo di chi, a questo Mondo, non appartiene più. Simbolica ed esemplare l’opera che ritrae il cadavere di un uomo seduto su una sedia: nudo, senza testa e ai piedi un paio di calzini. L’evidente stato di morte (decapitato!) e la posizione, seduto come nell’attesa del suo turno (di entrare in Paradiso ???) contrasta fortemente con questi calzini neri che tuttavia diventano il punto più forte di tutta la composizione, traccia di Vita che lega il cadavere ancora a questo Mondo terreno. Joel Peter Witkin è riuscito a cogliere il passaggio esatto tra il “qui” e l’Aldilà: un Limbo forse dove, come si dice, ogni corpo morto perde 21 grammi. Il peso dell’Anima. Amen.
Galleria Ca' di Fra'
via Carlo Farini, 2 - Milano