Katharina Fritsch
Shomei Tomatsu
Laura Renna
Milovan Farronato
Sandra Phillips
Leo Rubinfien
Ombrelli colorati, un serpente nero e paesaggi monocromi sono alcuni degli elementi che popolano il mondo di Katharina Fritsch. La mostra si apre con un'installazione sonora - manifestazione delle voci e dei rumori della natura - e procede con un percorso in stretta relazione con l'idea di giardino. A cura di Milovan Farronato. 'Skin of the Nation' e' un'antologica del fotografo giapponese Shomei Tomatsu sui disastri e la disperazione dell'era atomica; una selezione di oltre 260 fotografie, una videointervista a cura di Filippo Maggia e di alcuni film sul Giappone di John Junkerman. Moquette e' il titolo dell'installazione di Laura Renna nell'ambito della rassegna Area Progetto, dedicata ai giovani artisti modenesi.
KATHARINA FRITSCH
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A cura di Milovan Farronato
Ombrelli colorati appesi al soffitto, un serpente nero e straordinari paesaggi monocromi sono alcuni degli elementi che popolano il misterioso mondo di Katharina Fritsch. La prima rassegna in un museo italiano della celebre artista, già protagonista del Padiglione Germania alla Biennale di Venezia del 1995, nasce in stretta relazione con l'idea di giardino e con la sede in cui la mostra ha luogo. Dopo aver partecipato alla collettiva EGOmania (2006), Fritsch torna alla Galleria Civica di Modena con una nuova serie di lavori che trovano nella Palazzina dei Giardini la loro più ideale collocazione.
Questa sede infatti, in origine un seicentesco Casino per balli e divertimenti edificato per volontà dei duchi Estensi, che furono mecenati di Boiardo, Ariosto e Tasso e dei rispettivi poemi cavallereschi, diventa il più suggestivo scenario per una delle più note artiste tedesche della sua generazione.
Nota al pubblico italiano per l'opera Rat King che accoglieva il visitatore alla Biennale di Venezia del 2001, una ruota di enormi ratti legati per le code a formare un gomitolo, presenta in questa occasione un'inedita serie di sculture e serigrafie il cui immaginario gravita attorno al tema classico del giardino inteso come percorso di conoscenza e di avventura formativa. Un giardino dentro il quale Fritsch mette in atto l'errare fisico e morale, il perdersi e il ritrovarsi sospinti da oggetti-icone carichi di una varietà di significati e rimandi.
Del giardino a Fritsch interessa l'ambivalenza, la sua capacità di comprendere la sorpresa, gli angoli oscuri, la storia di varie generazioni.
Il giardino circonda la casa, ma non definisce uno spazio intimo e corazzato rispetto alle intrusioni, nasconde sempre sul retro, oltre alle bordature di pietra, degli angoli tenebrosi. All'artista tedesca interessa seguire queste suggestioni per rincorrere elementi, motivi e simboli ambivalenti così come ambivalente è la natura stessa del giardino: se abbacinato dalla luce del giorno trasmette sensualità e partecipazione al mistero della natura, se invece cade la pioggia diventa improvvisamente minaccioso, segreto e selvaggio. Un luogo che riassume entrambi i topoi classici del poema cavalleresco: da un lato la selva, luogo dell'erranza senza meta, in cerca d'avventura, dove si incontra ciò che non si insegue e ci si può imbattere nel cedimento erotico e quindi morale; dall'altro il locus amoenus, applicazione del concetto di Eden, che nel giardino, come costruzione intorno a se stesso, diventa spazio artificiale a propria immagine e somiglianza.
Al visitatore il compito di divenire "cavaliere errante". Accolto inizialmente all'interno di un'installazione sonora - manifestazione delle voci e dei rumori della natura - è poi costretto a intraprendere due percorsi differenti e ad imbattersi così nell'alterità, nel peccato, nel mostruoso, nel ribaltamento superstizioso dei valori, nel residuo della memoria.
I motivi ricorrenti e le immagini, che subito diventano icone, sono suggeriti da altrettante sculture dalle sagome definite e dai colori saturi, ognuna abbinata a grandi serigrafie composte da più pannelli ritraenti scenari di giardini che prevalentemente rimandano a Essen, città natale dell'artista.
Le immagini provengono da foto scattate da Fritsch o da cartoline a lei spedite negli anni Settanta dalla sua famiglia: si tratta di un mondo pittorico in cui la materialità degli oggetti è distillata dalla memoria e dal sogno. Ogni pannello è virato in un solo colore. L'immagine sembra sbiadita al sole e i colori scelti tra quelli della liturgia cristiana.
Accompagnerà la mostra una pubblicazione con testi critici del curatore e la riproduzione delle immagini esposte in mostra.
Note Biografiche
Katharina Fritsch è nata nel 1956 a Essen, in Germania; vive e lavora a Düsseldorf. Perfetta simmetria, bisogno d'ordine, definizione minuziosa delle forme, sono aspetti che caratterizzano le sue opere scultoree. Per l'artista tedesca non si tratta di una questione morale, ma piuttosto di un tentativo di astrazione. Le madonne gialle, così come gli elefanti verdi o i topi neri sono presenze inquietanti per le loro proporzioni alterate e per la cura nella definizione dei particolari con cui sono realizzate. Fritsch attua un controllo minuzioso sulla forma, sulle cromie e sulla modulazione delle superfici, orientando il suo lavoro verso un'univoca possibilità di interpretazione e riconoscimento; non apre la discussione ma la costringe in un'unica direzione. Dietro un'apparente ordinarietà questi oggetti sono il risultato di un lento processo creativo, talmente accurato da impedire all'artista di avere, almeno nel corso degli anni Ottanta un'abbondante produzione. Tra la fine degli anni Ottanta e l'inizio degli anni Novanta si assiste ad una sorta di sviluppo narrativo: in sculture come Company at Table (1988) e Rat King (1993-94), l'artista trasferisce i principi che hanno caratterizzato i precedenti lavori all'interno di situazioni di comunicazione.
Artista ormai affermata internazionalmente e riconosciuta dalla critica, Katharina Fritsch ha rappresentato con Martin Honert e Thomas Ruff, la Germania durante la Biennale di Venezia del 1995. Il San Francisco Museum of Modern Art le ha dedicato una personale nel 1996, così come il Museum of Contemporary Art di Chicago e la Tate Modern di Londra, nel 2001. Un'ampia antologica le è stata dedicata nel 2002 dal K21 Kunstsammlung im Standehaus di Düsseldorf e un'altra le verrà dedicata dalla Kunsthaus di Zurigo nel 2009.
Organizzazione e Galleria Civica di Modena
Produzione Fondazione Cassa di Risparmio di Modena
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SHOMEI TOMATSU
Skin of the Nation
A cura di Sandra Phillips e Leo Rubinfien per conto del San Francisco Museum of Modern Art, in collaborazione con la Japan Society di New York
Arriva a Modena, unica tappa italiana, una delle mostre fotografiche che maggiormente hanno scosso le coscienze nel corso del 2006. Si tratta di Skin of the Nation, un'antologica del fotografo giapponese Shomei Tomatsu sui disastri e la disperazione dell'era atomica.
La rassegna, a cura di Sandra Phillips e Leo Rubinfien per conto del San Francisco Museum of Modern Art, in collaborazione con la Japan Society di New York, ha già toccato Praga e Winterthur e immette la Galleria Civica di Modena in una prestigiosa rete internazionale.
Accanto ad una selezione di oltre 260 fotografie, l'antologica si arricchisce di una videointervista con l'autore a cura di Filippo Maggia e di alcuni film - inediti per il pubblico italiano - realizzati da John Junkerman (regista indipendente americano anch'egli collaboratore alla mostra) su importanti aspetti della cultura giapponese utili alla comprensione del lavoro di Tomatsu, un lungo viaggio nella storia del Giappone dal dopoguerra ai giorni nostri.
Shomei Tomatsu, unanimamente riconosciuto come una delle figure di riferimento per la fotografia contemporanea giapponese - da Daido Moriyama a Nabuyoshi Araki - nasce a Nagoya nel 1930.
E' un adolescente quando sente le sirene annunciare l'arrivo dei B-29 americani durante la seconda guerra mondiale, esperienza che lo segnerà come uomo e come artista. Solo qualche anno più tardi si afferma come uno dei giovani fotoreporter più interessanti della sua generazione, soprattutto per la capacità di entrare nel vivo delle situazioni senza limitarsi alla semplice documentazione.
Tomatsu definisce se stesso come "un puro interprete del tempo presente"; non pare tanto interessato a "fermare il tempo", come alcune delle sue più famose fotografie paiono significare, quanto a celebrarlo, dandone ogni volta una lettura diversa, drammatica o giocosa ma comunque autentica, vissuta e condivisa in prima persona.
Questo approccio è evidente nelle immagini appartenenti alla celebre serie intitolata 11.02, il momento in cui il tempo si è fermato a Nagasaki, il giorno in cui gli americani sganciarono la bomba atomica.
Tomatsu venne allora individuato con Ken Domon, già apprezzato e stimato autore nel panorama giapponese cui venne commissionato un lavoro parallelo su Hiroshima, come giovane fotografo probabilmente capace di offrire una diversa interpretazione di ciò che la bomba atomica aveva significato per il popolo giapponese, specialmente nel decennio che seguì la fine della guerra.
Accanto a una serie di immagini che restituiscono la crudeltà e la ferocia della guerra senza mai direttamente mostrarne gli effetti se non attraverso oggetti - una bottiglia di birra fusa che sembra essere un osso umano, una statua quasi disciolta dal calore - Tomatsu ritrae persone - e specialmente le loro vite - raccontandone con grande delicatezza e pudore la difficile attività quotidiana.
Cosa abbia realmente significato la sconfitta e la successiva occupazione americana per il Giappone diventerà quasi un'ossessione per il fotografo giapponese, successivemente documentata nella serie Chocolate and chewing-gum.
La consapevolezza di riuscire a vivere il tempo presente - sua peculiarità espressiva - segnerà tutta la sua carriera: dal racconto delle contraddizioni che accompagnano il rapido sviluppo economico del Giappone, capace di divenire in soli vent'anni una grande potenza industriale, ai moti studenteschi della fine degli anni Sessanta, alla nascita di nuove mode che guardano all'Occidente ma che ancora affondano le proprie radici nella pura tradizione e cultura giapponese, sino a raggiungere negli anni recenti una sorta di equilibrio formale e di contenuti, magnificamente espresso nella serie intitolata The Pencil of the Sun.
La lunga avventura di Tomatsu è stata raccontata da lui stesso in una videointervista realizzata da Fillippo Maggia nello scorso mese di febbraio a Naha, capoluogo dell'isola di Okinawa, ove il fotografo risiede nel periodo invernale. Tomatsu grida la sua lucida partecipazione alla realtà come attore e non semplice spettatore quando risponde alla domanda sul perchè spesso includa nelle immagini la propria ombra, "perchè io appartengo a questo preciso momento esattamente come ciò che sto fotografando" . Risposta che suona come un monito alla contemporaneità e ricorda quanto le immagini, anche in un'epoca in cui scorrono disordinate e senza sosta, possono ancora costringere a fermarsi e a riflettere, specie quando rappresentano un pezzo importante della memoria di noi tutti.
Hanno contribuito alla realizzazione della mostra il National Endowment for the Arts, Allan Alcorn, Linda e Jon Gruber, la E. Rhodes and Leona B. Carpenter Foundation, Bob e Randi Fisher, la Blakemore Foundation, Mr. e Mrs. William S. Fisher, Prentice e Paul Sack, Ellen Ramsey Sanger, la Japan Foundation e Fuji Photo Film Co. Questa mostra è dedicata alla memoria di Ellen Ramsey Sanger.
Accompagnerà la mostra una pubblicazione con testi critici del curatore e la riproduzione delle immagini esposte in mostra.
Note Biografiche
Shomei Tomatsu nasce nel 1930 a Nagoya. Attualmente vive fra Nagasaki e Naha, nell'isola di Okinawa. Nel 1954 si laurea presso la Aichi University e si trasferisce a Tokyo, dove quattro anni più tardi riceve il New Artist Award dalla Japan Photo Critics Association. Nel 1959 tiene la prima mostra personale al Fuji Photo Salon, cui seguono nei cinque anni successivi la mostra 11:02 Nagasaki e Kingdom of Mud. Dal 1966 al 1973 insegna come professore associato presso la Zokei University di Tokyo, compiendo negli stessi anni diversi viaggi nell'isola di Okinawa, tornata ai giapponesi dopo l'occupazione americana del dopoguerra. Nel 1974 partecipa alla mostra New Japanese Photography al MoMA di New York con Nobuyoshi Araki, Masahisa Fukase, Eikoh Hosoe, Daido Moriyama e Noriaki Yokosuka. Nel decennio successivo riceve numerosi premi e pubblica diversi libri. Nel 1984 la mostra Shomei Tomatsu: Japan 1952-1981 viene proposta in diverse sedi museali europee e da allora molte sono le esposizioni personali in Giappone e all'estero, fra le quali ricordiamo quelle al Perspektief Centrum Voor Fotografie di Rotterdam nel 1990, il Metropolitan Museum of Art di New York nel 1992, il Trinity College, Vermont nel 1995, il Tokyo Metropolitan Museum of Photography nel 1999 e la recente mostra al National Museum of Modern Art di Kyoto nel 2004.
Organizzazione e Galleria Civica di Modena
Produzione Fondazione Cassa di Risparmio di Modena
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LAURA RENNA
Moquette
Moquette e' il titolo dell'installazione di Laura Renna che inaugurerà domenica 20 maggio alle 12.00 alla Galleria Civica di Modena presso Palazzo Santa Margherita in corso Canalgrande 103, nell'ambito della rassegna Area Progetto, dedicata ai giovani artisti attivi nel territorio modenese.
Per questo intervento, come di consueto progettato e realizzato appositamente per gli ampi spazi architettonici di Palazzo Santa Margherita, l'artista compie un'operazione tanto semplice quanto sorprendente: ricoprire il pavimento del primo piano, nella zona di passaggio tra le due scale di accesso alle sale espositive, con un vero e proprio prato che appare in maniera inconsueta nello spazio chiuso dell'edificio.
Non un tappeto sintetico che si finge un manto erboso, non una superficie pittorica ne' un gioco di proiezioni, ma un prato naturale che siamo invitati a calpestare e attraversare lungo il percorso interno agli spazi museali. L'allestimento trasforma l'architettura rovesciando il rapporto interno/esterno, offrendo allo spettatore una fruizione diversa dell'opera che non si limita all'aspetto visivo ma coinvolge anche la sfera tattile e olfattiva.
Laura Renna compie un ulteriore intervento sagomando il tappeto vegetale con motivi decorativi geometrici esagonali, praticando manualmente una sorta di potatura in modo che altezze differenti dell'erba compongano il pattern ornamentale.
In questo modo l'opera non puo' considerarsi compiuta, ma acquista un valore nella durata dell'esposizione a causa della naturale metamorfosi che il trascorrere del tempo e il passaggio del pubblico imprimono inevitabilmente sul colore, sulla crescita e sulla forma. L'opera si concretizza infatti in una performance continua che l'artista praticherà giorno per giorno per prendersi cura del proprio giardino, annaffiandolo, potandolo, pulendolo.
In Moquette Laura Renna mette in gioco le sue potenzialità creative coniugando l'interesse per la scultura e l'oggetto, quello per la manualità e quello per l'aspetto artigianale del manufatto, attraverso un linguaggio pervaso di ironica leggerezza, tutti elementi che si ritrovano anche nei lavori precedenti: un esempio e' l'opera Senza Titolo del 2004, fotografia di un'installazione inedita dove l'artista impiega per la prima volta l'elemento vegetale per trasformare ironicamente un oggetto ludico proveniente dalla cultura popolare, quale il biliardino.
Laura Renna nasce a San Pietro Vernotico (Brindisi) nel 1971. Vive e lavora a Ravarino, in provincia di Modena. Dopo aver frequentato l'Accademia di Belle Arti di Bologna, lavora dal 1992 al 2004 nell'ambito del design, presentando diversi lavori al Cersaie di Bologna nel 2001, 2002 e 2003. Nel 2004 presenta una delle sue collezioni in occasione di Design Plaza, in concomitanza del Salone del Mobile di Milano.
Il suo esordio artistico avviene nel 2006 con la selezione per il ''Premio Fondazione Arnaldo Pomodoro a Milano (Concorso Internazionale per Giovani Scultori)'' dove le viene assegnato il Premio Speciale Costa Crociere per l'opera Nel Fior Fiore, un ''tappeto'' dalle dimensioni di quasi otto metri per sei realizzato con un cordone di lana infeltrita lavorato ad uncinetto, composto da 35 centrini a forma di fiore. Nello stesso anno partecipa alla mostra collettiva ''Arte & Sud: Obiettivo Contemporaneo'' al Museo Civico di Acitrezza, Castello Normanno di Acicastello, presentando Memoria inossidabile, un lavoro realizzato in lana d'acciaio intrecciata ispirata alle opere di Pino Pascali, il primo a impiegare questo materiale nell'arte; nell'ambito della rassegna ''Confini. Lo spazio del corpo/Il corpo dello spazio'' a Palazzo Pigorini a Parma, realizza Il mio nome e' Penelope?, un'installazione composta da una coperta di cavo elettrico lavorato a mano e collegato ad una lampadina.
Area Progetto e' curata nel suo complesso da Ornella Corradini per l'Ufficio Giovani d'Arte, da Silvia Ferrari e Serena Goldoni per la Galleria Civica di Modena; l'iniziativa e' nata nell'ottobre del 2005, ha ospitato fino ad ora gli interventi di Rocco Bizzarri, Michela Lorenzi, Laura Serri, Davide Bertocchi, Claudia Collina, Leonardo Greco, Chiara Tagliazucchi, Fabio Bonetti, Matteo Serri e Franco Hüller.
Al lavoro degli artisti la Galleria Civica dedica un pieghevole a colori con immagini e testo critico.
L'intervento di Laura Renna sarà inaugurato domenica 20 maggio a partire dalle 12.00, in occasione dell'apertura delle altre due mostre che la Galleria Civica di Modena organizza a Palazzo Santa Margherita - la rassegna del fotografo giapponese Shomei Tomatsu, Skin of the Nation - e alla Palazzina dei Giardini - la personale di Katharina Fritsch. L'installazione durerà fino al 3 giugno 2007.
Ufficio Stampa Studio Pesci
Via Giuseppe Petroni 18/3, 40126 Bologna Tel. +39 051 269267 – Fax +39 051 2960748 email info@studiopesci.it
Immagine: Shomei Tomatsu, Prostitute, Nagoya, 1958, printed 2003. Gelatin silver print; 13 7/8 x 10 3/16 inches
Promised gift of Al Alcorn to the San Francisco Museum of Modern Art © Shomei Tomatsu
Inaugurazione domenica 20 maggio 2007, ore 12.00
Galleria Civica di Modena
Palazzina dei Giardini, Corso Canalgrande, Modena
Orari: Mercoledì - Venerdì dalle 10.30 alle 13.00 e dalle 16.00 alle 19.30
Ingresso libero
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20th May – 22nd July 2007
Katharina Fritsch
Curated by Milovan Farronato
Coloured umbrellas, a black snake and extraordinary monochromatic landscapes are just some of the elements that fill the mysterious world of Katharina Fritsch. The renowned artist’s first exhibition in an Italian museum space, after featuring in the German Pavilion at the Venice Biennale in 1995, is based on a close relationship with the notion of the garden and the venue in which the exhibition is to be held. After taking part in the group show EGOmania (2006), Fritsch returns to the Galleria Civica of Modena with a new series of works that could not be better placed than in the Palazzina dei Giardini. As a matter of fact, this building, originally a 17th-century hall for dancing and entertainments, built on request of the Estense ducat, patrons of Boiardo, Ariosto and Tasso and their respective knightly works, forms the ideal backdrop for one of the most prominent German artists of her generation.
Curated by Milovan Farronato, organised and produced by the Galleria Civica of Modena along with he Fondazione Cassa di Risparmio di Modena, the exhibition will open its doors on Sunday 20th May 2007 at 12pm. Known to the Italian public for her work at the entrance to the 2001 Venice Biennale, a circle of giant rats (Rat-King), with their tails tied together in a ball, she here presents a new series of sculptures and silkscreens in which the imagery revolves around the classic theme of the garden seen here in terms of a journey of discovery and a learning adventure. A garden in which Fritsch examines both physical and moral straying, losing and finding oneself in the shadows of object-icons loaded with a range of meanings and suggestions. Fritsch is interested in the ambivalence of the garden, its ability to comprehend that which is surprising, the dark corners and the history of various generations.
The garden surrounds the house, yet it does not constitute an intimate space protected from external intrusions; rather, around the back, beyond its stony borders, it always offers up a few sinister niches. What interests the German artist is uncovering these sensations, tracing the elements, motifs and symbols as ambivalent as the very nature of the garden itself: when bathed in daylight it transmits the sensuality and sense of participation in the mystery of nature; if on the other hand it is drenched in rain, it becomes suddenly threatening, secret and wild. It is a place that sums up both the classic topoi of the knightly poem. On one hand, there is the forest, the space of endless wandering, where one finds that which one was not looking for: perhaps an erotic treasure and thus a moral yielding; on the other hand, it is a locus amoenus, reflecting the very concept of Eden itself, yet which in the garden, like a construction built around itself, becomes another artificial space in all respects.
The visitor’s task is to take on the role of the ‘wandering knight’. We start off within a sound installation – with all the calls, cries and sounds of nature - before being forced to set out on one of two paths through the world of otherness, of sin, through the superstitious reversal of values, the traces of the memory. The recurrent motifs and images, which immediately take on an iconic value, are inspired by just as many well-defined and colourful statues each linked to larger-scale prints made up of a number of panels depicting garden scenes, largely featuring Essen, the artist’s home town.
The images themselves come from photos taken by Fritsch or from postcards sent to her in the 1970s by her own family: a pictorial world in which the material nature of the objects is removed from the memory or dream. Each panel makes use of a single colour. The image seems to have faded in the sunlight, and the colours appear to have been chosen from amongst those of the Christian Liturgy.
* Katharina's Garden Milovan Farronato
* Simple does not mean simplistic Angela Vettese
Biographical Notes
Katharina Fritsch was born in 1956 in Essen, Germany; she now lives and works in Düsseldorf. Perfect symmetry, a need for order, the scrupulous definition of shapes: these are the aspects which characterise her sculptural works. The German artist does not see this as a moral issue, but rather an attempt at abstraction. Her yellow Virgin Marys, just like her green elephants or black rats constitute unsettling presences due to their altered proportions and for the care and attention to detail with which they are executed. Fritsch exerts a painstaking control over the shapes, colours and the textures of the surfaces she uses, directing her work towards a single possible interpretation and recognition: she does not so much open up the debate but force it in a single direction. Behind an apparent ordinariness, these objects are the outcome of a slow creative process, so laborious as to have prevented the artist from having a particularly prolific production, especially during the ‘80s. Around the end of the ‘80s and the beginning of the ‘90s, her work underwent a sort of narrative development: in sculptures like Company at Table (1988) and Rat King (1993-94), the artist was to transfer the principles which had characterised her previous work within set communication systems.
The artist now enjoys an international standing, having gained broad critical acclaim. Together with Martin Honert and Thomas Ruff, Katharina Fritsch represented Germany during the Venice Biennale in 1995. The San Francisco Museum of Modern Art dedicated a solo exhibition to her in 1996, as did the Museum of Contemporary Art of Chicago and the London Tate Modern in 2001. A wide-ranging retrospective exhibition of her work was dedicated to her in 2002 by the K21 Kunstsammlung im Standehaus in Düsseldorf, with another one planned for 2009 at the Zurich Kunsthaus.
Organisation & Production Galleria Civica of Modena, Fondazione Cassa di Risparmio of Modena
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Period 20th May – 22nd July 2007
Shomei Tomatsu
Skin of the Nation
Curated by Sandra Phillips and Leo Rubinfien on behalf of the San Francisco Museum of Modern Art
in collaboration with the New York Japan Society.
One of the photography exhibitions which most profoundly shook people’s consciences around the world throughout 2006 is now coming to Italy, making its only stop in Modena. It is entitled ‘Skin of the Nation’, a retrospective on the Japanese photographer Shomei Tomatsu dealing with the disasters and desperation of the atomic era.
The Italian version of the event is organised and produced by the Galleria Civica of Modena along with the Fondazione Cassa di Risparmio of Modena, and the exhibition opens on 20th May 2007 at 12pm at Palazzo Santa Margherita, in corso Canalgrande 103, Modena.
The show, curated by Sandra Phillips and Leo Rubinfien on behalf of the San Francisco Museum of Modern Art, in collaboration with the Japan Society of New York, has already been on display in Prague and Winterthur, thus placing the Galleria Civica of Modena within a prestigious international gallery network.
As well as a selection of some 260 photographs, the retrospective also features a video interview with the artist talking to Filippo Maggia as well as a number of films – unseen by the Italian public – by John Junkerman (an independent American director, who has also collaborated on this exhibition) on various key aspects of Japanese culture which are of great help in understanding Tomatsu’s works, with a long journey through the history of Japan from the post-war period to the present day.
Shomei Tomatsu, unanimously recognised as one of the key figures on the contemporary Japanese photography scene – made up of artists from Daido Moriyama to Nabuyoshi Araki – was born in Nagoya in 1930. He was an adolescent when he heard the sirens announce the arrival of the American B-29s during the Second World War, an experience which was to leave its mark both on the man and the artist. Only a few years later he came to the fore as one of the most interesting photo-reporters of his generation, especially for his ability to go right to the heart of the situation, without stopping at the merely documentary level. Tomatsu defines himself as “a pure interpreter of the present”; he has no desire to "stop time", as some of his most famous photographs might seem to hint at, but rather to celebrate it, providing it with a different reading every time, be it dramatic or playful, but always authentic, real and experienced first hand. This approach may be clearly seen in the images that belong to the well-known series entitled 11.02, the moment in which time stood still in Nagasaki: the day on which the Americans dropped the atomic bomb.
Tomatsu was then identified with Ken Domon (already a highly esteemed artist on the Japanese scene, who received a commission for a parallel work on Hiroshima) as another up-and-coming photographer, likely to offer a fresh interpretation of that which the atomic bomb had meant for the Japanese people, especially in the decade following the end of the war. Through a series of images which portray the cruelty and ferocity of war without ever directly showing its effects if not through objects – a molten beer bottle which resembles a human bone, a statue almost melted by the heat – Tomatsu shows people and these people’s lives, telling of their difficult daily existence with great delicacy and respect. Just what the defeat and successive American occupation actually meant for Japan was to become almost an obsession for the Japanese photographer, one which he was later to document in his series Chocolate and chewing-gum.
The awareness of managing to experience present time – with all its expressive peculiarities – was to become the hallmark of his career. From his telling of the contradictions that went hand in hand with Japan’s rapid economic development, managing to turn into a great industrial power in just 20 years, to with the student movements at the end of the ‘60s, to the arrival of new trends looking towards the West while still deeply rooted in the heart of Japanese tradition and culture. In more recent years, he reached a sort of balancing point in his form and contents, magnificently expressed in his series entitled The Pencil of the Sun.
Tomatsu’s long adventure is told by the man himself in a video interview conducted by Filippo Maggia last February in Naha, capital of the Okinawa island, where the photographer resides during the winter months. Tomatsu emphasises his own clear-minded participation in reality as an actor and not a mere spectator when asked why he often includes his own shadow in his images: “Because I belong to this precise moment just as much as that which I am photographing”. This is an answer that sounds like a warning to the contemporary world, and it reminds us just how much the images, even in an age in which they endlessly flash past our eyes, can still make us stop and reflect, especially when they represent an important part of all our memories.
The exhibition has been made possible thanks to the participation of the National Endowment for the Arts, Allan Alcorn, Linda and Jon Gruber, the E. Rhodes and Leona B. Carpenter Foundation, Bob and Randi Fisher, the Blakemore Foundation, Mr. and Mrs. William S. Fisher, Prentice and Paul Sack, Ellen Ramsey Sanger, the Japan Foundation and Fuji Photo Film Co. This exhibition is dedicated to the memory of Ellen Ramsey Sanger.
Biographical Notes
Shomei Tomatsu was born in 1930 in Nagoya. He currently lives between Nagasaki and Naha, on the island of Okinawa. In 1954 he graduated from the Aichi University and moved to Tokyo, where four years later he was to receive the New Artist Award from the Japan Photo Critics Association. In 1959 he held his first solo exhibition at the Fuji Photo Salon, in the five years to come followed by the exhibition 11:02 Nagasaki and Kingdom of Mud. From 1966 to 1973 he taught as associate professor at the Zokei University of Tokyo, undertaking a number of trips in those same years to the island of Okinawa, which had been returned to the Japanese after the American post-war occupation. In 1974 he took part in the exhibition entitled New Japanese Photography at the MoMA in New York together with Nobuyoshi Araki, Masahisa Fukase, Eikoh Hosoe, Daido Moriyama and Noriaki Yokosuka. In the following decade, he received a number of prizes and published several books. In 1984, the exhibition Shomei Tomatsu: Japan 1952-1981 was displayed in a number of European museum spaces, and ever since then he has held many solo exhibitions both in Japan and abroad, including those at the Perspektief Centrum Voor Fotografie of Rotterdam in 1990, at the Metropolitan Museum of Art of New York in 1992, at Trinity College, Vermont in 1995, at the Tokyo Metropolitan Museum of Photography in 1999 as well as his recent show at the National Museum of Modern Art of Kyoto in 2004.
Video-interview curated by Filippo Maggia, co-ordinator of the Italian exhibition
Unseen film material curated by John Junkerman
Organisation and Production of Italian exhibition Galleria Civica of Modena, Fondazione Cassa di Risparmio of Modena
Press Office Studio Pesci, Bologna tel.+39 051 269267, info@studiopesci.it
Galleria Civica Press Office tel. + 39 059 2032883, galcivmo@comune.modena.it
Press Preview Friday 18th May, 11.30am
Opening Sunday 20th May, 12pm
Galleria Civica, c.so Canalgrande 103, 41100 Modena
Opening times From Wednesday to Sunday, including holidays, 10.30am – 1pm; 4pm – 7.30pm
Closed on Mondays and Tuesdays
At weekends in June and July during the Oltre i Giardini initiative,
the exhibition will remain open until 10pm on Fridays, Saturdays and Sundays.
Admission Free