Circolo Culturale Bertolt Brecht
La pesantezza del supporto combusto o accartocciato, e la leggerezza di un fiore; in questo ossimoro si colloca la pittura di Zel Ebrity 133. Massimo Brazzini non ha mai rinunciato alla figurazione, pur contaminandola con graffi e accentuando le fisionomie. A cura di Lorenzo Argentino.
Zel Ebrity 133
Romanzo di Formazione
A cura di Lorenzo Argentino
Spazio 4/Giovanola Multimedia
Indagine su un artista al di sopra di ogni sospetto
Gesto e poesia. La pesantezza del supporto combusto, bruciato e accartocciato, e la leggerezza di un fiore, la delicata secca fragilità di una foglia e la forza di una pennellata istintuale. E’ dentro questa griglia ossimorica che si colloca la pittura di Samuele Maiellaro, che da tempo ormai si firma Zel Ebrity 133. Rivedere il suo percorso è seguire una crescita, le tappe della sua pittura potrebbero essere le tappe di un romanzo di formazione: le prime prove sono quelle di un ragazzo che fa graffiti e ripete all’infinito il proprio nome, la propria sigla. Presto questa fase di onanismo artistico si evolve e la scrittura diventa un’occasione per organizzare lo spazio della tela. Le lettere si animano, diventano veri e propri soggetti, trascendono sé stesse, perdono il loro suono per acquisirne un altro. Oggi, che le lettere non vengono più dipinte, ma prese a prestito già in forma di parola e di messaggio, la firma non scompare, e neppure il numero che della firma fa parte: le tele ancora traboccano di 1 e di 3. Ma si tratta ora di presenze, talvolta più marcate, talvolta più timide. Quella firma a caratteri tipografici è oggi una comparsata alla Hitchcock, un cammeo. Non è ripetendo il proprio nome che Zel Ebrity sta cercando la sua strada. Lo sta piuttosto facendo muovendosi nel solco dell’astrazione e dell’ampia gamma sintattica della gestualità aniconica. Una gestualità che usa il colore – rosso e nero, bianco e oro – caricandolo di significati simbolici e timbrici, e la materia, con tele piegate e arcuate, tele bruciate, bucate, mescolate a carte, giornali, scarti e reperti. Ogni quadro è una sorta di summa di quanto c’è di caduco al mondo: notizie, slogan, inviti, deperibili come foglie e fiori e arbusti, effimeri e dimenticabili, finché qualcuno non li mette dentro un quadro. E il mettere non è mai a caso, ma è sempre organizzato all’interno di un’impalcatura cruciforme, che sorregge compositivamente il dipinto: l’asse verticale e quello orizzontale sono ben visibili, nonostante il colore ora magmatico, ora rarefatto in goccia, nonostante il progressivo sommarsi delle textures e il lacerarsi di una per fare spazio all’altra. E verticale e orizzontale rimandano all’ossimoro da cui si era partiti e a un’altra categoria di opposti: maschile e femminile, che qui sembrano cercare equilibrio. Perché se sono maschili le campiture tirate come sciabolate, è femminile la grazia degli inserti floreali, lasciati lì come una dedica, un ricordo messo a seccare tra le pagine di un libro. E il libro più letto da questo ragazzo è il grande romanzo della strada. Dove i fiori più belli sono quelli che nascono dall’asfalto.
Cinzia Bollino Bossi
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Massimo Brazzini
Unstretched
A cura di Lorenzo Argentino
Spazio 2/Giovanola
Sguardi divergenti
La chiave per comprendere l’opera di Massimo Brazzini è in un suo video usato a guisa di curriculum. Niente può spiegare, motivare e contestualizzare l’allestimento scelto per questa mostra quanto quella manciata di minuti. Lì la prende alla lontana, Brazzini. Tira in ballo i Beatles e i Rolling Stones, Jerry Lewis, i russi in lancio verso la Luna e i discorsi del Papa. Perché quello c’era nel ’65, quando è nato lui. Quando il massimo dell’esotismo era andare oltre Gaggiolo a fare il pieno di benzina sigarette e cioccolato e ricevere un segnale diverso da quello della Rai. Quando le puntine arrancavano saltando tra i solchi dei dischi in vinile, e il cinema si godeva ancora al cinema. Quel video è una sorta di Amarcord prealpino, dove, giunti al capitolo pittura, con le note di Jarrett che rimbalzano occhi e cuore tra Pollock e Rothko, leggiamo la frase chiarificatrice: “e provai di tutto, con tutto”. Ovvio che a uno così i punti fermi possono anche stare un po’ antipatici. Uno come Brazzini non è tipo da punto e a capo, ma neanche da punto e basta. Mette punti e virgola e due punti; spiega o cambia argomento, ma sempre nell’ambito della stessa frase. Che è poi questa voglia vorace e ingorda di andare oltre, di non bastarsi. E fa niente che a furia di aggiungere si cambia accento, si cambia stile, e magari chi guarda ha perso le tracce del punto di partenza. Brazzini non le perde, non corre questo rischio. Il suo fare pittura non ha mai rinunciato definitivamente alla figurazione, pur contaminandola con un segno metropolitano, da graffito, pur accentuando facce, corpi, campiture e pennellate con sferzate quasi caricaturali, fumettistiche. Brazzini da sempre fagocita immagini e suoni per cercare una risposta alle domande. E la domanda che si fa ora è: esiste una tela grande come uno sguardo? Esiste una tela capace di essere guardata, ma anche ascoltata, percepita, vissuta con tutto il corpo, non solo con gli occhi? I nostri sensi, sempre sollecitati, hanno bisogno di qualcosa di grande e ampio che li contenga, così come la nostra memoria ha bisogno di ricordi collettivi per legittimarsi. Rifiutare il limite di un allestimento fatto di diligenti distanze tra un quadro incorniciato e l’altro e provare a riempire di tele fin dove è possibile, significa tentare una risposta moderna all’aulicità degli affreschi. Significa replicare con gesti, forme, violenze cromatiche e sberleffi pittorici all’ovattata, claustrale, silente e colta decorazione parietale. Il tutto con una buona dose di ironico istrionismo attoriale, e di viscerale e ludico amore per la pittura, che posticiperà di un altro po’ il punto fermo. C’è ancora tanto da provare…
Cinzia Bollino Bossi
Immagine: Zel Ebrity 133
Inaugurazione: Lunedì 22/10/2007 alle ore 18.30
Il Circolo Culturale Bertolt Brecht al momento dispone di tre sedi, una (lo Spazio 1) nella zona nord - Bicocca di Milano, le altre (lo Spazio 2 e lo Spazio 4) nella zona sud - Abbiategrasso/Navigli.
Lo Spazio 2 e lo Spazio 4 sono in via Giovanola 21/c, facilmente raggiungibili a piedi dalla nuova fermata Abbiategrasso della linea 2 verde della metropolitana. In automobile bisogna costeggiare via Chiesa Rossa (Naviglio Pavese) e girare a sinistra in via Boifava, fino a raggiungere via Giovanola.
Le mostre resteranno aperte nei giorni di lunedì, mercoledì e venerdì, dalle ore 17.00 alle ore 19.00
Ingresso libero