Paolo Curti/Annamaria Gambuzzi & Co.
Karl Antao
Sheba Chhachhi
Probir Gupta
Shilpa Gupta
Riyas Komu
Nataraj Sharma
Yashodhara Dalmia
Sei artisti indiani rivelano il passo accelerato del cambiamento nella loro societa' oltre che il suo rovescio. La mostra, composta da tre pittori, un video artista, uno scultore e una fotografa, sottolinea una realta' bifronte dove lo sviluppo crescente in India e' accompagnato da sacche di poverta' e decadenza. A cura di Yashodhara Dalmia.
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a cura di Yashodhara Dalmia
L’arte contemporanea in India è allo stesso tempo ricca d’immaginazione,
pungente e lirica. È emersa da pratiche religiose, di corte e artigianali
radicate nella vita di ogni giorno della gente. I giovani artisti indiani,
in questa mostra curata dalla storica dell’arte Yashodhara Dalmia, come da
qualsiasi altra parte, attingono da questo ambiente tradizionale così come
dalle pratiche internazionali per creare lavori con i diversi mezzi
espressivi.
Nel rispecchiare la loro società fondata sulla tecnica, il costante
cambiamento e la rapida urbanizzazione, ma anche criticando la politica e la
corruzione del governo, lo sporco nascosto dietro l’angolo di palazzi
scintillanti, l’esistenza della povertà e delle baraccopoli, l’arte
contemporanea in India è macabra, tagliente, giocosa e a volte angosciosa.
Con grande abilità e usando materiale trovato o riciclato ha creato nuove
manifestazioni dai contorni indigeni.
Nell’esposizione India Time sei artisti rivelano il passo accelerato del
cambiamento nella loro società oltre che il suo rovescio. La mostra,
composta da tre pittori, un video artista, uno scultore e una fotografa,
sottolinea questa realtà bifronte dove lo sviluppo crescente in India è
accompagnato da sacche di povertà e decadenza.
In questa esposizione l’artista Nataraj Sharma rivela delle itineranti
relazioni, dove l’aeroplano, simbolo di un’esistenza costantemente in
movimento, può anche giacere in un torpore simile alla morte. La lucentezza
grigio-argentea del suo corpo metallico sembra quella di un serpente,
prigioniero del suo corpo. Se nei primi lavori l’aeroplano rigurgitava la
sua stessa immagine, rapace e distruttivo, la sua presenza qui è statica e
tutta all’interno di un orizzonte baluginante in lontananza.
L’opera di Nataraj ha affrontato l’interconnessione di uomini, macchine e
natura, di città svettanti punteggiate dalla bestialità e di orizzonti di
bellezza mozzafiato rovinati dall’inquinamento e da altri danni causati
dall’uomo. Nei lavori recenti un infausto segnale di invasioni militari
minaccia di deturpare i fenomeni naturali. Quando nel 2004 vide di persona
uno spettacolo della pattuglia area acrobatica dell’esercito nella sua città
di Baroda, immaginò il cielo coperto di insetti. Da qui, movimento e
passività, malvagità e umanità, grandi incursioni e luoghi di riposo modesti
sono messi in scena nei suoi lavori. Oppresso da immagini di morti su vasta
scala e rivolte nel Gujarat, dove molti nella comunità di minoranza furono
uccisi nel 2002, il suo impulso creativo nasce dalla meraviglia di fronte
allo splendore naturale e dal timore di una sua rapida sparizione per colpa
dell’uomo. Sharma, che vive e lavora tra Vadodara e Goa, ha partecipato a
diverse mostre internazionali ed ha una ricca conoscenza delle tecniche
pittoriche.
La grande tela di Probir Gupta testimonia lo scontro di civiltà con colori
metallici, con l’ombra lunga della presenza coloniale inglese che si unisce
alle forti manipolazioni del presente per esprimere l’angoscia degli
individui. La scrittura calligrafica persiana fluttuante crea un dolore e
una disperazione elegiaci che formano una continua processione del presente.
Con un accento apocalittico, la folla degli uomini e le emissioni metalliche
si scontrano senza redenzione. Il soggetto di Gupta è costituito da
malformati e mutanti esseri umani condannati senza speranza, come tragica
conseguenza dei crimini globali. Il fango scuro, che sgorga in
continuazione, minaccia di esondare, come nei suoi primi lavori dove le
immagini idilliache del Kashmir sono piene di arti amputati come segnalatori
di mine antiuomo. Il suo energico scandaglio di queste scure interpolazioni,
comunque, lo pone continuamente aldilà del recinto, nel terreno
dell’“altro”. L’artista ha studiato a L’Ecole Nationale Superieure Des Beaux
Arts di New Delhi.
Negli ultimi anni l’artista e scultore Riyas Komu ha reinterpretato il
ritratto passando senza soluzione di continuità dal cinema alla fotografia
alla pittura. Ha riunito allo stesso tempo Islam, comunismo e il pensiero di
Gandhi, la stessa mescolanza che anche suo padre praticò, per creare
un’atmosfera emozionale per i suoi soggetti. Pertanto ha dipinto a mano
alcuni fotogrammi della donna con hijab tratti dal film Il cerchio
dell’iraniano Jaffar Panahi per scrutare la sua ansia, minacciata dal mondo
esterno. Nei due distillati ritratti in esposizione vediamo una donna senza
purdah, ma comunque isolata dal mondo da un invisibile velo e chiusa in se
stessa da un’incombente tristezza. Come musulmano, appartenente ad una
minoranza in India, Komu si è spesso trovato tra due fuochi: da una parte la
tensione sociale crescente in una metropoli come Mumbay, dall’altra la
pressione dell’Islam radicale che ha indotto molti nella sua città natale ad
aderire alla jihad. La sua galleria di ritratti, comunque, scelta tra il
profluvio di immagini dei mass media, ha incluso i diseredatati, i senza
casa, gli emarginati, dal lavoratore migrante al calciatore, che hanno
trovato un rifugio e hanno suscitato un intenso scrutinio. Se questi sono
vittime di circostanze storiche, sono anche sopravvissuti delle proprie
difficili situazioni, e sono mostrati nella loro duplice identità di
cittadini di un ordine mondiale sempre più vasto. Komu, che è sia pittore
che scultore, ha esposto alla Biennale di Venezia del 2007.
Le video installazioni di Shilpa Gupta contengono rimandi alla cultura di
ogni giorno che rivela sottofondi sinistri al di sotto del manto di
normalità. Nel lavoro in mostra il soffitto diventa il luogo dove guardare
la torre dell’orologio, lascito dell’architettura coloniale inglese del XIX
secolo, diventato un simbolo di Mumbai, città dove lei risiede. La città,
nota per il suo carattere metropolitano, presenta delle figure che calano
dalla periferia e sono incappucciate come monaci, ma vestite con uniforme
militare. La natura subalterna del lavoro è sottolineata dal fatto che la
struttura, simile ad un gioiello, che si espande e si contrae, stia in
effetti denotando atti trasgressivi. Gupta, i cui taglienti video sono
lavori interattivi nei quali anche lo spettatore è chiamato a partecipare,
ha spesso raccontato la soppressa e sovversiva realtà della persona.
L’invecchiamento del corpo femminile è il soggetto di Sheba Chhachhi,
fotografa e artista multimediale, le cui opere sono di grande intensità. In
contrasto con il pensiero convenzionale, la sensualità di una donna che
invecchia è esplorata attraverso le carni rugose e piegate. Queste sono
parte del suo continuo progetto fotografico che cerca di recuperare il corpo
femminile dai luoghi comuni sociali, di mercato e mediatici. In accordo con
l’artista, che vive e lavora a New Delhi, queste fotografie sono state fatte
in collaborazione col soggetto, invitando lo spettatore ad entrare in
un’intimità che non è voyeristica.
Nella scultura epifanica di Karl Antao si percepisce un sentimento in
espansione della vita che si muove verso l’esterno per inglobare altre
nozioni di realtà. Se l’uccello alato entra in nuove zone, c’è un movimento
attitudinale verso formazioni naturali. La figura ieratica è emblematica
della sua antichità e della sua incombenza sul futuro. Questa descrizione
estatica è spezzata dal fatto che appare in uno stato di trance che
imprigiona la figura rendendola simile a una mummia. Le sue sculture hanno
sì un carattere fantastico, con teste di uomini che si trasformano in pesci
e insetti striscianti o piante rampicanti che spuntano dai corpi, ma restano
comunque radicate nella realtà. L’artista vive e lavora ad Ahmedabad, nel
Gujarat, regione nota per i frequenti episodi di violenza cittadina, e la
sua scultura in legno rappresenta un’accusa verso una realtà sempre più
dura, dove l’esistenza diventa un incubo. Per Antao e per lo spettatore il
combattimento non avviene sul piano fisico, ma su quello della riflessione e
della cultura.
I differenti lavori di questi artisti testimoniano varie sfaccettature
espressive di una società a più livelli. Essi spaziano dalla pittura alla
fotografia ai nuovi media e trasmettono immagini di una vita pluralistica.
Insomma, danno corpo alle diverse realtà di un paese che sta avanzando con
decisione pur conservando le sue arcaiche tradizioni, intessendo un arazzo
allo stesso tempo dissonante e ricco di stimoli.
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curated by Yashodhara Dalmia
Galleria Paolo Curti/Annamaria Gambuzzi & Co. is proud to present the show
India Time, opening on Thursday 8 May at 18.00, at via Pontaccio 19, Milan.
The artists will attend the opening.
Catalogue curated by Yashodhara Dalmia,
published by Galleria Paolo Curti/Annamaria Gambuzzi & Co.
24 pages, 12 colours illustrations, 20 in black and white.
Contemporary art in India is inventive, sharp edged and at the same time
lyrical. It has emerged from religious, courtly and artisanal practises
embedded in everyday life of the people. Young Indian artists, in this show
curated by the art historian Yashodhara Dalmia, as elsewhere, draw from this
ambient tradition as well as international practises to create works in
diverse mediums.
In reflecting their own tech-savvy, fast changing society, rapid
urbanization and seamless traversions but also critiquing the politics and
corruption of governance, the dirt in the corners of glittering buildings,
the existence of poverty and shanty towns, contemporary art in India is
macabre, cutting edge, playful and sometimes anguished. It has in skilled
ways, using painterly, found and re-cycled material created new epiphanies
which conjunct with indigenous contours.
In the exhibition India Time six artists reveal the accelerated pace of
change in their society as well as its seamy side. The show, consisting of
three painters, a video artist, a sculptor, and a photographer underlines
this Janus faced reality where the crescendo of movement in India is also
accompanied by pockets of decay and degeneration.
In the show the artist Nataraj Sharma reveals an itinerant state of affairs
where the airplane, a symbol of an existence which is constantly on the
move, can also lie in death-like stupor. The silvery grey sleekness of its
metallic body creeps reptile like, captive to its own body. If in earlier
works the airplane regurgitated its own image, predatory and obliterating,
its presence here is static and still within a distantly glimmering horizon.
Nataraj’s expanding oeuvre has dealt with the interconnectedness of man,
machine and nature, of towering cities beset with bestiality and of horizons
of breathtaking beauty which are also riddled with sulphurous pollution and
other man made disasters. In his recent works an ominous note of
militaristic invasions threatens to deface natural phenomena. It was when he
witnessed an air show by the Indian Air Force in 2004 in his home city of
Baroda that he envisaged the sky filled with a growing blanket of insects.
From here, motion and passivity, villainous and human, the larger intrusions
and constricted resting places come into play in his work. Overlaid with
images of large scale deaths and riots in Gujarat where many from the
minority community were killed in 2002, his propelling force has been the
plenitude of natural splendour and its speedy overtaking by man made
disasters. Based in Vadodara and Goa, Sharma has several international shows
to his credit and a rich repertoire of painterly mediums.
Probir Gupta’s large canvas witnesses the crush of civilizations in metallic
colours as the long shadow cast by the British colonial presence in India
coalesces with super power manipulations in the present to emit the anguish
of individuals. The free floating Persian calligraphic script, creates an
elegiac sorrow and despair which form a continuous procession of the
present.In an apocalyptic note, the swarm of humanity and metallic emissions
jostle with each other without redemption.
Gupta’s text has consisted of malformed and mutated humans doomed beyond
repair as a tragic aftermath of global misdeeds. The dark sludge, ever
spewing, has threatened to flood his spaces,such as his earlier works where
the poster image of idyllic Kashmir is riddled with amputated limbs as
markers of landmines. His energetic scrutiny of these dark interpolations,
however, perpetually places him beyond the fence in the terrain of the
'other'. The painter and installation artist trained at Ecole Nationale
Superieure Des Beaux Arts works from New Delhi.
In recent years the artist and sculptor Riyas Komu has reinterpreted
portraiture passing seamlessly from the cinematic and photographic to the
painted image. He has at the same time garnered Islam to Communism and
Gandhian beliefs, a heady mix of which his father practised, to create the
emotional climate of his subjects. Thus he made hand painted stills of the
woman in the hijab drawn from Jaffar Panahi’s Iranian film The Circle to
scrutinize her anxious frame, threatened from the external world. In the two
distilled portraits in this show we have a woman without the purdah but yet
isolated from the world by an invisible veil and drawn into herself in a
brooding sadness. As a Muslim, belonging to a minority community in India,
Komu has often found himself in a double bind: on the one hand the subject
of an upsurge of communal tension experienced in the metropolitan city of
Mumbai where he lives. On the other, he also articulates the pressures of
radical Islam which have turned many in his home town towards Jehad. His
hall of portraits, however, culled from the deluge of mass media, have
included the dispossessed, the homeless, the marginalized ,from the migrant
labourer to the footballer, who have found shelter and evoked an intense
scrutiny. If these are victims of historical circumstances they are also
survivors of their predicament and are shown in their dual identity as
systematic citizens of an increasingly wider world order.
Komu who is both a painter and a sculptor exhibited at the Venice Biennale
in 2007.
Shilpa Gupta’s video installations reverberate with everyday culture which
reveals sinister undertones beneath outward sheens of normality. In the work
in the show the ceiling becomes a site for viewing the clock tower a remnant
of 19th century British colonial architecture which is a hall mark of Mumbai
city where she resides. The city, known for its metropolitan character, has
figures swooping in from the periphery which are hooded like monks but in
army fatigues. The subaltern nature of the work is underlined by the fact
that the expanding and contracting jewel like pattern on the ceiling is
actually denoting transgressive acts. Gupta whose cutting edge video
projections are interactive works where the viewer is also the participant
has often relayed the suppressed and subversive reality of the persona.
The ageing woman’s body is the subject of the photographer and installation
artist Sheba Chhachhi’s works of great poignancy. Contrary to conventional
beliefs, the sensuality of the ageing woman in all its wrinkled and folded
flesh, is explored. These are part of her ongoing photographic project which
seeks to recuperate the female body from the dominant social, market and
mediatic representations. According to the artist, based in New Delhi, these
photos were made in collaboration with the subject, inviting the viewer to
enter an intimacy that is not voyeuristic.
In Karl Antao’s epiphanic sculpture we have an expansive feeling of life
moving outwards to encapsulate other notions of reality. If the winged bird
enters newer zones there is an attitudinal move towards natural formations.
The hieratic figure is emblematic of antiquity and its looming presence in
the future. This rapturous description, however, is ruptured by its mummy
like trance which holds the figure in captivity. If his sculptures have a
fantastical quality about them with fishes metamorphosing out of human heads
or creepers growing out of people’s bodies, they are also rooted in ground
reality. Based in the city of Ahmedabad in Gujarat known for its constant
recurrence of communal violence, Antao’s wooden statue is an indictment of
an increasingly stark reality where existence is a metaphoric nightmare. For
the artist and the bystander the combat is not physical but by reflective
and cultural means.
The diverse works of these artists bring together various facets of
expression in a multi- layered society. They cover the entire gamut from new
media art to photographs and expressions in paint relaying images of
pluralistic life. In sum they articulate the diverse reality of a country
which is forging ahead and also retains its archaic traditions weaving a
dissonant and at the same time rich tapestry of life.
Inaugurazione 8 maggio 2008
Paolo Curti/Annamaria Gambuzzi & Co.
via Pontaccio, 19 - Milano
Orario: da lunedì al venerdì 11-19 sabato su appuntamento / Mon–Fri 11-19 Saturday by appointment
Ingresso libero / free admission