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Improbabili attori
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Maurizio Rinaldi



 
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22/1/2002

Improbabili attori

Libreria Agora, Torino

Fotografie di Maurizio Rinaldi. Si dice 'il mondo del cinema' e si pensa alle star, a Hollywood...Il popolo del cinema entra in questi templi del culto, in cui il rituale viene officiato, e raggiunge la collocazione canonica per chi partecipa al rito. E poi il rito/spettacolo ha inizio...Maurizio Rinaldi raffigura le mosse e i luoghi degli attori passivi del rituale, insistendo molto sul rapporto spaziale tra il dentro e il fuori, tra la luce e l’ombra...


comunicato stampa

Fotografie di MAURIZIO RINALDI

Si dice 'il mondo del cinema' e si pensa alle star, a Hollywood (magari sul Tevere), alla vita fatua e dorata che ci viene solitamente messa sotto gli occhi da giornali scandalistici (che ormai non fanno più scandalo, nulla fa più scandalo) e stupide trasmissioni televisive (ormai la stupidità è l’unica forma di 'intelligenza', ovvero comprensione, collettiva). Un termine vuoto, quindi, di significati veri e 'pesanti' (o 'pensanti', se guardato da questa angolazione e in questo basso contesto. Ma se si passa dall’esteriorità (chi fa il cinema o dove lo si fa, il pettegolezzo e tutto quello che fa spettacolo, al di fuori dello spettacolo in sé) all’interiorità, ai contenuti, al cinema in senso soggettivo, altroché se funziona il termine 'mondo'.

Il cinema (il film, la totalità dei film) è un universo parallelo, vita in un’altra dimensione che esiste quando la prima, la nostra (la realtà?) si sospende, si mette in secondo piano per guardare l’altra, per specchiarcisi, in un processo fondamentalmente di adesione e immedesimazione più o meno volontaria. E quest’operazione di straniamento/identificazione è di tipo 'religioso', sottosta a metodologie di culto, diviene un rito, comporta azioni, appunto, 'rituali'. Si svolge in luoghi a questo deputati, nel silenzio e al buio, si va ad assistere (o interpretare) un rito collettivo che richiede contiguità spazio/temporale per esercitare la sua fascinazione (forse redenzione). Il popolo del cinema (cioè quelli che lo vivono, paradossalmente, dall’esterno, al di qua dello schermo, ma che fanno di questo una sorta di consumo interiore) entra in questi templi del culto, in cui il rituale viene officiato, e raggiunge la collocazione canonica per chi partecipa al rito. E poi il rito/spettacolo ha inizio...

Sugimoto ha raffigurato, in un suo lavoro giustamente famoso, la dimensione architettonico/teatrale di questi luoghi di culto, incentrando tutta l’attenzione sullo schermo/altare, il luogo 'specifico' che ospita e 'rappresenta' l’azione rituale.

Maurizio Rinaldi raffigura, invece, le mosse e i luoghi degli attori passivi del rituale, insistendo molto sul rapporto spaziale tra il dentro e il fuori, tra la luce e l’ombra (altro paradosso, la luce è tutta dell’ambiente esterno al rito, il rito avviene al buio, ma l’essenza e la 'forma' del rito sono, esse stesse, nuovamente, luce). Il luogo di passaggio ritorna spesso, con personaggi sospesi tra il dentro e il fuori, raggiungendo l’apoteosi nell’accostare l’immagine di due attori 'attivi' del rito (ritratti su di un manifesto, all’esterno, alla luce) a due passivi 'spettatori' dello stesso rito, (ritratti dal vivo, all’interno, al buio). E ancora, magistrale, l’operatore, l’officiante concreto del rito qui ed ora, chi lo determina realmente, che però ne è escluso, restando a spiarlo, all’esterno, alla luce. La visione, poi, di Rinaldi, è tutta 'dal basso', dalla base della piramide rituale che pone nel punto più alto l’altare/schermo e in mezzo gli attori passivi.
Uno sguardo quindi che scivola, e guarda inosservato chi guarderà altri agire, inosservato a sua volta, attore non agente, solo vedente.
Nell’attesa, forse, che il rito sfoci nel miracolo dell’unificazione dei mondi, che lo schermo smetta di essere un altare e diventi una porta, che gli attori fin qui improbabili diventino attori possibili di una realtà non più sognata o divinificata, ma a sua volta probabile e possibile, che il basso e l’alto siano solo due lati di un viaggio di reciproca legittimazione, che la parola fine, sullo schermo, alla fine, non sia che uno di tanti possibili ritorni alla (della?) realtà o inizi della (nella?) storia, quella vera.
Bruno Boveri

Maurizio Rinaldi è nato nel 1956 a Scandiano (RE), dove tuttora vive e lavora.
Ha iniziato a fotografare a metà degli anni Settanta, privilegiando inizialmente il bianco e nero, per passare poi al colore agli inizi degli anni Novanta. Lavora per progetti e ricerche tematiche. Nascono così: Giardini, Gente d’Europa, Oltre la soglia (Interni di Palazzo Te e Palazzo Ducale a Mantova, prima messa a punta della tecnica di ripresa rasoterra che contraddistinguerà anche i lavori successivi), Collezione di modellini, Notti e teatri e questo Improbabili attori.

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