Gabriele Basilico
Martina Della Valle
Andrea Botto
Guido Guidi
Primoz Bizjak
Edward Burtynsky
Teodoro Lupo
Jurgen Nefzger
Robert Polidori
Joel Tettamanti
Daniele De Luigi
Collettiva. La mostra, che presenta una serie di fotografie di artisti affermati e giovani talenti, e' imperniata sull'idea di transitorieta' come condizione per lo piu' invisibile, eppure perennemente presente, dell'abitare umano. Opere di: Gabriele Basilico, Martina Della Valle, Andrea Botto, Guido Guidi, Primoz Bizjak, Edward Burtynsky, Teodoro Lupo, Jurgen Nefzger, Robert Polidori, Joel Tettamanti. A cura di Daniele De Luigi.
a cura di Daniele De Luigi
Jarach Gallery è lieta di annunciare Somewhen, un’esposizione collettiva a cura di Daniele De
Luigi che presenta negli spazi della galleria fotografie di celebrati artisti contemporanei e di
giovani talenti emergenti del panorama internazionale. La mostra, che avrà luogo in
concomitanza con la Biennale di Architettura di Venezia, è imperniata sull’idea di transitorietà
come condizione per lo più invisibile, eppure perennemente presente, dell’abitare umano.
L’immagine fotografica, sempre legata costitutivamente all’hic et nunc, a una contemporaneità e
compresenza rispetto al proprio oggetto, ripresenta ineludibilmente uno “stato delle cose”. La
questione del rapporto tra arte e fotografia ruota sostanzialmente attorno alla capacità del
fotografo, al di là del modo in cui lo fa, di superare questo limite e di estrarre la potenzialità
prerogativa dell’immagine di condurre consapevolmente il pensiero dello spettatore, mediante un
percorso mentale, oltre i confini di ciò che in essa appare. Le opere presenti in mostra sono
accomunate dal perseguimento di questo obiettivo attraverso la messa in atto, da parte degli
artisti, di una personale strategia estetica che presenta il visibile simulando uno sguardo analitico,
neutro ed imparziale. La visione statica di un preciso momento nella storia di un determinato
luogo, la cui estensione nel tempo resta indeterminata, collide con la netta percezione, da parte
dello spettatore, di un senso di instabilità, di mutevolezza rispetto alla presenza dell’uomo. Pur
mostrando il presente, le fotografie inducono la mente a fluttuare nel tempo, immaginando il
passato o ipotizzando il futuro.
Se l’arte di progettare e costruire spazi per l’abitare dell’uomo presuppone la necessità di
pensare un’utopica immutabilità, di fingere l’inconsapevolezza che in un tempo indefinito un
evento catastrofico, l’incuria, la follia o semplicemente la volubilità dell’animo umano
distruggeranno o modificheranno quanto è stato edificato, un’altra arte si assume così il compito
di mostrare la natura effimera del carattere e del senso dei luoghi di fronte all’incessante
avanzare del tempo, inducendoci a immaginare altri tempi del loro esistere.
Le immagini realizzate a Beirut nel 1991 da Gabriele Basilico, così come quelle di Robert Polidori
a New Orleans tra il 2005 e il 2006, testimoniano drammaticamente, in fotografie dallo stile
differente ma tutte dallo straordinario equilibrio formale, quanto restava di due città sconvolte da
eventi completamente diversi ma egualmente tragici.
Concentrandosi prevalentemente il primo
su una visione complessiva della città, il secondo sugli spazi privati, essi ci pongono di fronte ai
resti materiali di un’epoca e di uno stile di vita scomparsi per sempre, tanto quanto agli
interrogativi sul loro futuro, purtroppo tuttora irrisolti. Lontano dai drammi collettivi, anche Guido
Guidi lavora sulla memoria dei luoghi. La scelta di realizzare fotografie in cui gli ambienti sono
perfettamente strutturati dal punto di vista della resa spaziale e dell’incidenza della luce, finge un
disinteresse per le tracce di vita del passato che emergono più silenziosamente, ma non per
questo con meno forza. La serie di fotografie dal sapore di epopea che Edward Burtynsky ha
scattato nella valle del fiume Yangtze nel 2002, mostrano l’atmosfera spettrale degli ultimi giorni
di vita di un insediamento umano prima di essere cancellato per sempre dal faraonico progetto
della Diga delle Tre Gole, voluto dal governo cinese. L’instabilità dell’abitare umano come riflesso
dei grandi mutamenti ambientali, oggetto da sempre della ricerca di Burtynsky, è da lui
presentata ancora una volta come inevitabile conseguenza delle logiche del mondo
contemporaneo.
Il mutamento nel momento stesso in cui si manifesta è all’attenzione, in modo diverso, anche di
Primoå Bizjak, Teodoro Lupo e Andrea Botto. Bizjak si introduce nottetempo nel cuore di edifici
urbani in stato di ristrutturazione o di abbandono, fotografandone dall’interno l’esoscheletro. La
luce artificiale che dalla parte pulsante della città inonda questi spazi vuoti, divenuti fantasmi della
memoria, ne modifica la percezione sospendendo il tempo in una dimensione irreale.
Lupo, nella serie di fotografie Staubfilm (Pellicola di polvere), riprende alcuni spazi commerciali di
Berlino nel lasso di tempo in cui un’attività ha chiuso i battenti e una nuova, nella stessa sede, sta
per essere intrapresa. In questo modo, paradossalmente, la staticità dell’immagine diventa
sintomo della mobilità di una città. L’immagine di Botto invece, realizzata durante le riprese della
realizzazione di una grande opera nella Pianura Padana, non mostra direttamente l’esecuzione
dei lavori, ma sfruttando l’eccezionale illuminazione necessaria a svolgerli, conduce la nostra
attenzione sulle dimore degli abitanti, spettatori passivi delle irrimediabili modificazioni in corso
del paesaggio.
Il dittico di Martina Della Valle presenta anch’esso una situazione edilizia indefinitamente
sospesa, mostrando da una parte l’intera parete interna di una casa, rimasta unica traccia di una
storia abitativa dopo la parziale demolizione dell’edificio; dall’altra, un dettaglio di un’altra parete
da una casa anch’essa diroccata. La presenza su questa dei lacerti di un affresco ritraente un
antico villaggio, crea un dialogo tra le parti instaurando una riflessione sull’immagine e il
trascorrere del tempo.
Laddove la vita sembra invece scorrere senza scosse, in un ripetersi ciclico indifferenziato, è
nelle fotografie di Joël Tettamanti e in quelle di Jürgen Nefzger, complice la costruzione formale
dell’immagine. Tuttavia, proprio questa indeterminatezza contribuisce a generare, per converso,
una proiezione verso un futuro tutt’altro che certo. I villaggi della Groenlandia fotografati da
Tettamanti, immersi in una pace assoluta in un’atmosfera fiabesca, nascondono la minaccia dei
grandi cambiamenti climatici e della stretta globalizzatrice sulle popolazioni indigene. Il placido
scorrere dell’attività quotidiana ritratto con ironia nelle fotografie di Nefzger, contrasta con
l’inquietante sagoma delle centrali nucleari, che si tramutano in elemento paesaggistico ordinario
dissimulando l’ingombrante lascito ambientale della loro produzione energetica.
Inaugurazione 10 settembre 2008
Jarach Gallery
San Marco - Campo San Fantin 1997 - Venezia
Orari: mart-sab 10-13 e 14.30-19.30
Ingresso libero