Introspezioni. L'artista presenta le sue ultime grandi tele, contaminazione tra pigmenti ad olio e resina. Un linguaggio pittorico dalla forte matericita', modulato su affinita' espressioniste.
a cura di Roberto Quagliarella, Valeria Diamanti, Giovanni Cerri
L’artista presenta le sue ultime grandi tele, contaminazione tra pigmenti ad olio e resina. Un linguaggio pittorico dalla forte matericità, modulato su affinità espressioniste.
Enrica Belloni ha iniziato a dipingere da adolescente e da allora il fuoco ardente della sua passione per la pittura non si è mai spento. La pittrice è di origine codognese; Codogno è un borgo limitrofo a quel territorio lodigiano che dette i natali alla dinastia dei Piazza, gloriosa stirpe di pittori – dei quali il più noto fu Callisto nel Cinquecento (ma ricordiamo i nati nel tardo Quattrocento Alberto e Martino, e i figli di quest’ultimo, i fratelli Cesare, Scipione e appunto Callisto, e ancora i suoi figli Fulvio e Muzio) – tanto per citare una lontanissima parentela, se non altro a inquadrare storicamente la zona da cui l’artista proviene, e le radici culturali sono sempre importanti, sono le nostra fondamenta anche nella questione artistica.
La sua pittura,infatti, - sebbene contenga accentuazioni e timbri espressionisti (direi dell’espressionismo ombroso che caratterizzò il lavoro del belga Permeke), nel tratto forte e impetuoso che ne delinea la figura, ne scava i contorni e ne sottolinea i chiaroscuri - ha in sé una reminiscenza classica, un ricordo che qui si presenta in una ri-lettura aggiornata e attuale delle possibilità interpretative della figura. Come ogni artista che possieda una coscienza del suo lavoro, la Belloni sente di dover esprimere il proprio tempo, con un linguaggio che parli con l’alfabeto di immagini della nostra epoca. E’ lontana inevitabilmente la compattezza e l’armonia che fu espressione formale e concettuale del Rinascimento, quell’aureo periodo semmai è remoto presupposto alla fedeltà del mezzo pittorico, al fare con i colori, i pennelli, le tele e i pigmenti.
Sono rimasti i vecchi ferri del mestiere della pittura, periodicamente nella storia dichiarata morta ed invece sempre pronta a risorgere dalle sue ceneri come la mitica fenice. Perché il mezzo è antico ma le sensibilità degli artisti cambiano negli anni, nei decenni, nei secoli e fanno rinascere con altri tagli e inquadrature gli stessi soggetti, le figure, i paesaggi, le scene profane e le rappresentazioni sacre, in una continua riproposta iconografica di temi e stili.
Questa mostra, a ribadire il concetto di filo rosso che ci lega sempre a un passato e a un’eredità con cui dobbiamo necessariamente confrontarci, comincia con un trittico dal tema religioso: Il Cristo (La ferocia). E cosa c’è di più classico di un trittico? Un modo, una forma che abbiamo visto riaffacciarsi nei secoli.Pensiamo, ad esempio, ai trittici di Francio Bacon, per citare un maestro contemporaneo. Queste tre tele poi rappresentano una riflessione sulla religione, o meglio sulle religioni monoteistiche che discendono da una stessa origine: l’ ebraica, l’ islamica e la cristiana, con tutti gli attriti e i contrasti dolorosi che conosciamo. La tela centrale rappresenta un crocifisso, altra icona che ha una storia infinita alle spalle se si pensa a quanti artisti del passato e moderni si sono confrontati con questo difficile tema. Un’altra tela raffigura un candelabro, l’altra ancora una scritta islamica. Il candelabro, la scrittura all’interno del dipinto, la foglia d’oro, l’oro ancora un elemento antico, che ci porta indietro all’arte bizantina, gotica…
Ma è pur vero che questa riaffiorante classicità, questo ricordo o nostalgia di un’armonia che oggi pare essere perduta e non più ricomponibile, viene qui – in questa trilogia – ricoperta di colore rosso sangue, quasi fosse un vermiglio grido che ci ammonisce dicendo: in nome delle religioni si uccide.
Gli altri temi su cui ruota la ricerca di Enrica Belloni sono perlopiù riconducibili alla figura, all’essere umano, in particolare la donna, che appare sempre come presenza contorta, sofferente, avvolta in una materia greve, talvolta opaca e terrosa, talvolta lucida e riflettente per la stesura di uno strato di resina che ne definisce e ne esalta le cromie nei contrasti aspri e netti del segno. Titoli come L’ombra, L’eclisse e Il rifugio sottintendono con efficacia il conflitto introspettivo che porta in sé questo continuum di presenze che emergono e allo stesso tempo paiono però anche soffocate, compresse e in lotta con un proprio io oscuro e profondo. Sono figure interiorizzate, non naturalistiche, forse autoritratti in cui uno struggente rispecchiarsi è inevitabile e coraggioso.
Testo di Giovanni Cerri
Vernissage 10 novembre 2008 - ore 18-22.
Studio Iroko
via Voghera, 11/b - Milano
Orario: 15.30-19.30
Ingresso libero