Return to Tomorrowland. L'artista danese si serve di fotografia, video, foto ritrovate ed installazioni, per indagare l'effettiva presenza di una memoria condivisa, svelando attraverso i meccanismi del ricordo e della rappresentazione le connessioni tra le storie personali e la Storia collettiva.
La Galleria Riccardo Crespi presenta Return to Tomorrowland, la prima personale in Italia dell’artista danese Søren Lose. L’opera di Søren Lose si serve di fotografia, video, foto ritrovate ed istallazione per indagare i diversi livelli di una memoria condivisa, svelando attraverso i meccanismi del ricordo e della rappresentazione le connessioni tra le storie personali e la Storia collettiva.
In mostra la serie fotografica Tomorrowland, che nasce dal soggiorno dell’artista ad Istanbul, terra di incontri e scontri politici, culturali e religiosi, emblema della fusione di tempo, storia, architettura e memoria. Gli edifici e i paesaggi di Tomorrowland, la terra del domani – fotografati in bianco e nero, manipolati e decontestualizzati - rivelano la capacità immaginativa e paradossale di Søren Lose nel delineare un presente già passato che può tuttavia essere osservato come possibilità di un luogo nel futuro. Completano la serie 3 lightboxes, The Hagia Sophia, Odakule, dawn e The Well, che mostrano una città a colori, ma sempre in penombra, dal crepuscolo alla notte.
Alla medesima esperienza fa riferimento anche la serie Transitions, una sorta di diario illustrato in cui le costruzioni della città turca sono giustapposte in una visita ideale realizzata per frammenti fotografici.
Nelle due sculture Transmutation, derivate dalle fotografie della serie Transitions, Søren Lose condensa epoche e luoghi differenti attraverso l’uso dell’innovativa tecnica del rapid prototyping che permette di creare modelli tridimensionali da renderings digitali. Il risultato finale è un assemblage che rimarca ulteriormente la commistione di stili e forme presenti ad Istanbul, eletta a metafora della stratificazione di storia e memoria insita in ogni città contemporanea.
Søren Lose è nato nel 1972 a Nykøbing (Danimarca). Vive e lavora a Berlino.
Tra le mostre più recenti:
2008 Home & Tomorrowland, Kunsthalle Brænderigaarden, Viborg (DK); Eagle,The Blue Room, Preview Artfair, Berlin (D);Tomorrowland, Galerie Møller-Witt, Aarhus (DK);Abendland, Künstlerhaus Bethanien, Berlin (D);
Lys over Lolland, Oreby castle, Saxkøbing, Lolland (DK); I Know The World, SMART projects, Amsterdam (NL); Freunde und Bekannte, Sparwasser HQ, Berlin (D);DAHEIM, Galerie Andrieu, Berlin (D)
Testo critico di Paola Noe'
Di spirito del tempo si potrebbe parlare guardando il lavoro di Søren Lose: sia esso fotografia, video, scultura, o installazioni. Non tanto nell’accezione tradizionale (il tedesco Zeitgeist) quanto nel suo significato letterale: di uno spirito, inteso come presenza, anima e ombra di un tempo scomposto nelle sue tre nature di presente, passato e futuro. Di un tempo, e quindi di storia e di memoria, punti fondamentali su cui poggia tutta la ricerca condotta dall’artista danese con grande rigore e precisione. L’idea dello “spirito”, di una presenza misteriosa e invisibile, è evidentemente dominante nella serie NORTHERN Lights (2006), immagini derivate da una vecchia pellicola anonima, recuperata in un mercatino delle pulci: ci si parano davanti scenari invernali di qualche tempo fa, seggiovie in azione, chalet di legno immersi nella neve, sciatori impegnati nelle loro discese immortalati da lontano, distese di boschi di conifere accompagnati da variazioni cromatiche di rosa e di verde-acqua, strane macchie gelatinose e liquide che si stagliano e si espandono sull’immagine originale, che nulla hanno a che vedere con la realtà meteorologica delle tempeste di neve. È lo spirito del tempo, cercato, catturato e svelato da Søren Lose.
In un’altra sua serie, Home (1996-2006) la presenza nascosta di spiriti del tempo ritorna in maniera quasi esplicita. Si tratta di “fotografie in serie” di case, edifici, interni domestici, oggetti abbandonati e svuotati della presenza umana che li apparteneva. Quasi una mappatura di luoghi oggi abbandonati, e forse oggi abitati e vissuti in maniera diversa. Non è un caso che l’artista abbia scelto i luoghi della sua infanzia per documentare questa idea di vuoto e di assenza, e contemporaneamente la presenza di “spiriti del tempo”. Søren infatti torna a Lolland, isola nel mar Baltico a sud della Danimarca, torna al suo paesaggio, alle vecchie case e a quello che ne è rimasto. Non è un caso nemmeno che l’intera serie si snodi su dieci anni di lavoro: il tempo nel tempo come in un gioco di scatole cinesi. Osservate con attenzione, una dopo l’altra, “in serie” appunto, non è difficile scoprire che l’oggetto rappresentato non è solo l’architettura, il mobilio, le rovine di una vita passata. La documentazione lascia, infatti, il posto alla narrazione di nuove presenze invisibili, ma attente a non passare inosservate. È suggestivo pensare che l’architettura nelle fotografie di Søren Lose sia in grado di trasformarsi in elemento strutturale capace di dare forma al tempo e al suo spirito. Quasi come una casa del tempo. Come recita lo stesso titolo dato alla serie. Senza dubbio l’architettura è l’ultimo tassello (accanto al tempo, alla memoria e alla storia) che definisce e caratterizza il lavoro di Søren Lose. E appare perfetto che l’incontro di architettura-tempo-storia-memoria sia avvenuto nella città di Istanbul. Lo scorso anno, nell’autunno del 2007, Lose vince il progetto di artist-in-residence promosso dal Danish Arts Council. La serie Tomorrowland nasce dal soggiorno dell’artista nella città turca, emblema da millenni di un luogo di incontri e scontri politici, religiosi e culturali, oggi terra divisa tra il vecchio e il nuovo, tra Orientale e Occidentale, tra il capitalismo e la fede di altre religioni.
Il titolo scelto da Søren, Tomorrowland, ovvero “terra del domani”, rivela la capacità immaginativa e paradossale di scoprire un presente già passato che può essere guardato e cercato come possibilità di un luogo nel futuro. In Tomorrowland l’architettura sembra disabitata, vuota, abbandonata, monumenta – ovvero da ricordare in qualche modo, nel bene o nel male – in cui far vivere lo spirito del tempo. Attraverso il bianco e nero della fotografia l’artista attutisce lo scontro con un presente troppo contemporaneo e colora la bellezza triste di una città: tra gli altri, l’AKM, l’Odakule, il Park Hotel (l’unico di cui Søren svela in uno scatto anche l’interno), la chiesa bulgara, una moschea tra le tante nella vecchia Costantinopoli, l’Hagia Sofia, i minareti gemelli. Del resto anche Orhan Pamuk scrive nella sua Istanbul che “la città della mia infanzia era una fotografia in bianco e nero, un mondo semibuio e grigio”. La Istanbul di Søren è anche a colori, ma rimane sempre semibuia, come avviene per i tre light-box nei quali il colore si trasforma nella luce della sera e del crepuscolo. In uno scatto si riconosce il palazzo dell’AKM, il Centro Culturale Atatürk, nel cuore della città, simbolo della modernità (utopica) repubblicana, tempio della cultura ufficiale, ricostruito in vetro e acciaio negli anni Settanta dopo un incendio che ne aveva devastato la versione originaria. Oggi aleggia lo spettro della demolizione (per diventare un centro commerciale privato) ed è diventato oggetto del contendere delle speculazioni contemporanee proprio per la sua centralissima posizione in piazza Taksim. “Deve essere abbattuto o no?” (Burn it or not?): con questa domanda provocatoria, peraltro, Hou Hanru, curatore della X Biennale d’arte contemporanea di Istanbul, lo scorso anno aveva scelto di accogliere i visitatori.
Søren lo inquadra dall’angolo lasciando così nell’ombra la facciata con le sue gigantesche vetrate che l’hanno reso famoso. Sempre dall’angolo è catturata l’immagine dell’Odakule, svettante architettura che entra nello skyline della città turca, profilo in continua trasformazione, ormai non più e soltanto popolato di minareti e cupole. Nella serie Transitions, le architetture della città turca diventano frammenti fotografici di un ideale diario capace di illustrare lo spirito di un tempo e di una storia nascosti all’interno degli edifici, osservati con rispetto soltanto dall’esterno, e che si espandono nel bianco lasciato nella stampa fotografica. L’architettura di Istanbul non è soltanto fotografata da Søren Lose: dopo la bidimensionalità dello scatto fotografico bianco e nero essa ritorna a essere volume in Transmutation (due pezzi in mostra), vero e proprio assemblage concreto e semplificato, lontano dall’idea di “caso” dadaista, un insieme fantascientifico, una condensazione surreale di diversi contesti architettonici: una vecchia casa, lo scheletro di un grattacielo in costruzione, un palazzo ottocentesco e una moschea ottomana sembrano in un attimo costretti ad avvicinarsi, cancellando il vuoto e lo spazio delle strade e delle piazze cittadine, in una commistione di stili e di forme urbanisticamente poco accettabili. La tecnica utilizzata dall’artista è quella della prototipazione rapida, ovvero un procedimento complicato e quasi avvenieristico di tecnologia industriale impegnata a costruire prototipi (dalle automobili agli aerei) partendo da un file digitale. Il risultato finale si concretizza nella fragilità elegante del gesso bianco: una città come Istanbul diventa, appunto, prototipo universale della precarietà e della nostalgia della contemporaneità di oggi. Aleggia ancora lo spirito del tempo, un tempo sempre più consolatorio quando passato, sempre più drammatico quando futuro.
Paola Noé
Ufficio stampa
Cecilia Collini cecilia.collini@gmail.com
Opening 27 novembre 2008 ore 18.30
Galleria Riccardo Crespi
via Mellerio, 1 - Milano