Swimming blue. L'attrazione per i rivestimenti degli oggetti, le membrane protettive e le coperture isolanti sono i temi preferisti dell'artista, che emergono anche in questa installazione fotografica.
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In una perfetta giornata di sole un enorme telone incerato, posto a proteggere e occultare un edificio in costruzione, viene in parte scardinato dal suo supporto e sollevato dal vento. Un episodio di per sé abbastanza anonimo che potrebbe lasciare del tutto indifferenti, a parte la preoccupazione degli addetti ai lavori di dover nuovamente fissare la copertura. Per Benoît Pailley c’è invece qualcosa di più che un semplice imprevisto di cantiere, c’è un significato suggerito e metaforico, uno stato estetico che diviene allegoria di un’ipotesi esistenziale. L’artista francese decide così di cogliere l’attimo iniziando a fermare il movimento scattando foto dal basso verso l’alto e a registrarlo nel suo ondeggiare con una telecamera digitale. Il risultato è l’installazione Swimming blue, pensata appositamente per la galleria, dove una serie di immagini del telone, ognuna diversa dall’altra, accompagnano lo spettatore verso il cuore dell’esposizione, nella quale la staticità della ripresa fotografica lascia posto all’azione in due proiezioni video di diverso formato.
La coreografica danza, limitata dall’impossibilità di estendere il movimento a tutta la superficie della copertura, che in parte rimane vincolata all’edificio, assume nelle riprese di Pailley un forte valore concettuale. La pesante stoffa gonfiata dal vento, come la vela di una nave che non riesce a prendere il largo perché ancorata al porto, diventa traduzione di ogni tentativo di fuga da vincoli e imposizioni sia interiori che sociali; preda della forza incontrollabile degli agenti atmosferici, chiede all’osservatore di identificarsi nel suo struggente sforzo di liberazione in un cielo pacificato, di partecipare emotivamente del suo tentativo di evasione nell’immensità del blu. D’altra parte il lavoro porta a riflettere sul ruolo del telone, utilizzato per obnubilare e proteggere gli scheletri degli edifici urbani, fragili e informi. Le funzioni primarie di impermiabilizzare dagli agenti atmosferici e celare il contenuto alla ricerca di una privacy lavorativa, rivelano, con il loro fallimento, quanto fragili e indifese siano le strutture, anche quelle psicologiche, che si cercano inutilmente di salvaguardare servendosi di svariate sovrastrutture.
Già esposto come video all’interno della prima mostra personale di Pailley, presso il Flux Laboratory a Ginevra, Swimming blue riassume alcuni dei temi, sui quali l’artista si era già concentrato in precedenza. L’attrazione per i rivestimenti degli oggetti, le membrane protettive e le coperture isolanti, siano essi pesanti teloni cerati, ponteggi edili o leggerissimi vestiti, era già evidente nella serie Façades, ispirata dai lavori in corso che mutano costantemente la veduta delle strade di New York. Qui le impalcature addossate ai palazzi divenivano lo spunto per la riambientazione in studio di simili situazioni attraverso installazioni costituite da intrecci di grucce metaliche per abiti, che da una parte simulavano le griglie delle armature, mentre dall’altra fungevano da espositori per i capi di abbigliamento. Il grande telone protettivo richiama inoltre la stoffa, in quanto materiale plasmabile, leggero, volatile, adattabile a qualsiasi supporto e soprattutto simbolo di protezione, di copertura della nudità e di sicurezza. Ma la stoffa è anche la materia prima degli abiti, con cui Pailley continua a confrontarsi come fotografo, integrandoli all’interno di particolari scenografie e installazioni da lui stesso progettate, senza che questi siano mai indossati da modelli/e. Così Swimming blue riassume a suo modo una parte dell’immaginario dell’artista, che non esita ad affrontare nel suo lavoro i temi centrali dell’esistenza con originalità, delicatezza e molto disincanto.
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On a perfect sunny day a huge tarpaulin, hung to protect and screen a building under construction, comes partly loose from its support and is lifted by the wind. A fairly nondescript event in itself that might leave one totally indifferent, apart from the problem it creates for the site workers who have to attach it again. For Benoît Pailley, however, it is something more than a minor inconvenience on a building site: there is an implied, metaphoric meaning, an aesthetic quality that becomes the allegory for an existential hypothesis. The French artist decides to capture the moment, halting the movement by taking photos from below looking up, and to record the flapping motion with a digital video camera. The result is the installation Swimming blue, created specifically for the gallery, in which a series of images of the tarpaulin, all of them different, accompanies the viewer towards the heart of the exhibition, where the static nature of the photos is exchanged for two video projections in different formats.
The spectacular dance, limited by the impossibility of extending its movement across the entire surface of the sheet, which in part is still attached to the building, assumes a powerful conceptual value in Pailley’s images. The heavy fabric, swollen by the wind like a sail on a ship that cannot put to sea because it’s anchored in port, becomes a metaphor for every attempt to escape from inner and social restraints and impositions. Prey to the uncontrollable forces of nature it asks the observer to empathize with its enormous effort to release itself into a peaceful sky, and to emotionally participate in its attempt to escape into the immense blue expanse. But the work also leads the viewer to reflect on the role of the sheet, used to obscure and protect the fragile, amorphous skeletons of urban buildings. Its principal functions – offering protection from the elements and concealment so that work can take play in privacy – reveal by their failure just how defenceless and fragile constructions are, including psychological ones, which we seek in vain to protect by using various superstructures.
Swimming blue, already shown as a video in Pailley’s first one-man exhibition at the Flux Laboratory in Geneva, returns to some themes the artist has considered before. His attraction towards the coverings on objects, protective membranes and insulation coatings, whether they’re heavy waterproof canvas, scaffolding or light clothing, was already evident in the series Façades, inspired by building work which constantly changes the appearance of New York’s streets. In those works, the scaffolding around buildings became the cue for recreating similar situations in the studio in the form of installations consisting of a tangled mass of metal clothes hangers, which on the one hand simulated the metal grid of scaffolding, and on the other served as a means for displaying clothes. The large protective tarpaulin also recalls fabric, in that it is a light, flexible and mutable material, adaptable to any support, and above all a symbol of protection, a cover for nudity and a security. But fabric is also the raw material of clothes, which Pailley continues to photograph, integrating them into particular scenes and installations he creates, but without them ever being worn by models. Therefore in its own way Swimming blue returns to a part of the imagination of an artist who does not hesitate to address in his work the central issues of existence with originality, delicacy and considerable disenchantment.
Image Furini Arte Contemporanea
via Cavour, 6 - Arezzo
orari di apertura: da lunedì a sabato 10-13/15,30-19,30
Ingresso libero