Diversamente e misteriosamente uguale. La mostra, attraverso una trentina di opere estremamente significative, intende restituire il senso di un'esistenza interamente consacrata all'arte plastica, partendo dalla storica ''Testa di bimba'' del 1922, per arrivare alla ''Serena attesa'' del 1976.
Nel 1918, quando Roberto Terracini (1900-1976) iniziò la sua attività professionale, Torino era ancora elettrizzata dal carisma
degli scultori saliti alla ribalta nell’ultimo decennio dell’Ottocento: Leonardo Bistolfi, Pietro Canonica, Edoardo Rubino.
Davide Calandra, invece, era morto da appena tre anni.
Terracini, che pure aveva lavorato come “ragazzo di bottega” da Bistolfi e Giovanni Battista Alloati, si disintossicò ben presto
dalle morbose malie simboliste e floreali: partendo dall’esempio dei suoi maestri accademici, Zocchi e Contratti, puntò verso
una plastica realista. Lo sottolinea con esattezza Renzo Guasco, osservando come il realismo di Terracini sia «diverso dal verismo
ottocentesco, un realismo ispirato a modelli classici italiani, in un arco che poteva andare dal ’400 al ’700».
L’inclinazione dello scultore, dunque, è tendenzialmente “narrativa”: si direbbe un modellato reale e arcaico insieme, che unisce
con disinvoltura la scultura greca e certa plastica del Quattrocento padano. In questo senso La pensierosa, una terracotta
datata 1938, è un saggio fra i più alti. E si osservi ancora, ad esempio, la superba Canefora neogreca (1938-39), talmente
in bilico tra astrazione e descrizione.
Nato a Torino da una famiglia di ebrei piemontesi e rimasto orfano all’età di nove anni, Terracini ebbe un talento precocissimo
e un’energia creativa prodigiosa. Presenziò con successo alle Biennali di Venezia del 1934 e del 1936. Dal ’38 al ’45,
non poté partecipare a concorsi e mostre nazionali, a causa della promulgazione delle leggi razziali. I bombardamenti del 13
luglio 1943 rasero al suolo il suo studio; così della produzione anteriore si salvarono i pochi pezzi collocati altrove. Durante
la guerra Roberto si rifugiò con la famiglia sulle montagne della val Pellice; qui, coperto dal cognome Ferraguti, entrò in contatto
con le bande partigiane della 105ª Brigata Garibaldi-Pisacane. Finita la guerra, fece ritorno a Torino, dove riprese immediatamente
a lavorare e a esporre presso la Promotrice, il Circolo degli Artisti e il Piemonte Artistico e Culturale. Tra il 1952
e il 1973 si dedicò all’insegnamento, prima in istituti statali d’arte e poi al liceo dell’Accademia Albertina, quale titolare della
cattedra di figura modellata. È del 1955 la Pietà in marmo porfirico di Tolmezzo, carica di pathos, concepita in ricordo degli
allievi caduti in tutte le guerre e collocata nella cappella dell’istituto San Giuseppe di Torino. Per l’Esposizione di Italia’61 eseguì
i due bassorilievi fonici del boccascena del Teatro Nuovo. Nel 1968 si aggiudicò la gara per la nuova sede INPS di
Bologna, con sei pannelli in bronzo.
A proposito di Terracini, scomparso prematuramente in un incidente stradale, Eva Romanin-Jacur ha parlato della «necessità
di una linea che non si interrompa mai, che chiuda se stessa, che sia il confine naturale dei volumi, diversa e misteriosamente
uguale da ogni angolo spaziale la si voglia osservare». È proprio questa linea a determinare la straordinaria coerenza
plastica dell’artista: come una costante. Come un fil rouge necessario, legame indissolubile tra l’anima e il corpo di una scultura
– appunto – sempre diversa e misteriosamente uguale.
La mostra, attraverso una trentina di opere estremamente significative, intende restituire il senso di un’esistenza interamente
consacrata all’arte plastica, quale è stata quella di Roberto Terracini: partendo dalla storica Testa di bimba del 1922 (una
delle prime uscite ufficiali dello scultore, alla Quadriennale di Torino del ’23), per arrivare alla Serena attesa del 1976, ultimo
lavoro compiuto e fuso in bronzo. Allestita nella doppia sede del Circolo degli Artisti e della Libreria Antiquaria Dentis,
l’esposizione vorrebbe essere, altresì, lo spunto per ripensare all’opera di Terracini in modo finalmente libero da “ideologie”
estetiche, dandole una giusta collocazione nel complesso panorama della scultura del Novecento, non solo piemontese. Un
ampio catalogo fornirà, infine, il primo regesto – anche iconografico – dell’intera produzione plastica dell’artista.
Due sedi:
Libreria Antiquaria Dentis
Via S. Tommaso, 5 - Torino
e
Circolo degli Artisti di Torino
Via Bogino, 9 - Torino
Orario: lun - ven 15,30-19,30