Annalisa Ceolin
Angelina Chavez
Alessandra Salardi
Marta Sarlo
Letizia Battaglia
Nancy Fina
Pascal Betens
Nell'ambito di Orvieto Fotografia 2009 "Focus On Female". Nella mostra "In bilico" le 4 donne dietro l'obiettivo e quelle davanti ad esso - spesso le stesse - spartiscono un'urgenza e un tema comune: contrastare, col mezzo della fotografia, le slabbrature, i bordi offuscati e le inadeguatezze dell'identita'. Letizia Battaglia e' diventata famosa con i morti di mafia che ha fotografato, ma colei che e' nota nel mondo in Italia e' considerata persona non grata. Sono anche esposte le immagini Fashion di Nancy Fina ed i Nudes di Pascal Betens.
Nell'ambito di Orvieto Fotografia 2009, "Focus On Female", che quest'anno ospiterà nelle suggestive location della città quali, Palazzo dei Sette e Chiesa di S. Rocco, ben 12 mostre fotografiche.
In bilico
Annalisa Ceolin, Angelina Chavez, Alessandra Salardi, Marta Sarlo.
In bilico in realtà, e in breve, è uno stato nel quale molta parte delle persone
si trova, e in questo scorcio di secolo, e in generale nell’uno o nell’altro momento
della propria vita. Questa oscillazione fra centratura e squilibrio, fra identità
ed eterodirezione del vivere, definisce un po’ il modo di trattare il proprio soggetto
da parte delle autrici qui raccolte. Forse con una sola eccezione, infatti, le donne
dietro l’obiettivo e quelle davanti ad esso – spesso le stesse – spartiscono
un’urgenza e un tema comune: contrastare, col mezzo della fotografia,
le slabbrature, i bordi offuscati e le inadeguatezze dell’identità.
La sdefinizione cui accennano le figure di Annalisa Ceolin sembra piuttosto
spazio-temporale: di fronte alla fotocamera le sue donne sono atemporali,
anonime pur se surcodificate. Con l’incisività del colore, l’esattezza del framing,
l’espressione vivace o serena dei volti, esse entrano ed escono da un impianto
metalinguistico che ricomprende il materiale fotografico nel soggettario dell’opera.
Le immagini della Ceolin suggeriscono, e però anche sviano, così, l’impressione
di appartenere a uno ieri remotissimo, quasi sottratte al museo, mentre la loro
iperdefinizione continuamente ammicca a ciò che è “appena stato”.
L’autoritratto e la lunga esposizione sono invece la strategia con la quale
Angelina Chavez affronta il proprio quotidiano. Un teatro domestico che propone
gli ostacoli (“Obstacles” è il titolo della serie) in cui l’Io si imbatte. Un lavoro performativo
e analogico nel quale l’autrice è coinvolta dalla concezione alla postproduzione
in un unico ininterrotto fluire creativo. Il risultato, intenso benché completamente
privo di barocchismi emotivi, non ha perciò nulla di angosciante, ma propone quel
senso dialettico di familiarità e di straniamento che è proprio al concetto
freudiano di perturbante. Un porsi in bilico tra identità e immagini di sé insieme
inscritte nel luogo della vita e da esso contraddette.
Nelle impressioni dirette di Alessandra Salardi troviamo davvero la fortissima
tematizzazione, e l’autodrammatizzazione, dell’autrice alle prese col proprio mezzo
e col proprio linguaggio. Che la foto garantisca la presenza identitaria del corpo è un
fatto inoppugnabile, ma è anche fenomeno in stato di perenne riaffermazione
e riscoperta. Nei grandi fotogrammi della serie “Ombre” il corpo dell’autrice,
nel suo mutare atteggiamento, postura, emozioni, è impresso e insieme mangiato
dalla luce. Il suo apparire al negativo, quasi sopraffatto dalla stessa luce
che lo delinea, insomma, è in equilibrio fluido rispetto al suo raffermare in positivo
l’esserci e il senso dell’autrice e come soggetto, e come tema.
Nell’arco creativo contemporaneo deve essere ricompreso anche il reportage
come modalità testimoniale del volere d’autore. Attraverso lo sguardo fotografico
di Marta Sarlo siamo portati nell’incredibile vicenda esistenziale di “Angela” una exnuotatrice
che ha abbandonato l’attività agonistica perché colpita da un’obesità
fisiologica che nulla ha a che vedere con lo stile di vita o la bulimia. Il suo stato
di instabile equilibrio oscilla tra un senso interiore di normalità e il suo impossibile
riconoscimento da parte del mondo esterno. La stessa fotografia oscilla tra fedele
descrizione e caratterizzazione, tra obiettività cronistica e sottolineatura del particolare
ai limiti del filmico o del letterario.
Tra le autrici qui presentate nessuna ci propone un profilo di donna, banale
o stereotipo; nessuna rinforza miti ormai logori. Tutte – in modi che sembrano davvero
estendersi ai quattro punti cardinali della creatività fotografica – pongono sul tappeto
questioni che coinvolgono e le loro identità, e il loro impiego del mezzo fotografico;
sia le questioni del qui-ed-ora: incluso il rapporto che l’identità femminile intreccia
con la realtà, la cultura e la società, sia quelle dell’atemporale: della conformità
a leggi, dell’estetico e dell’etico.
Forse, infine, in bilico resta il discorso critico che, dal di fuori del femminino,
tenta – pur se corsivamente – di riquadrarne un frammento: un’immagine che, come
sempre stando al discorso benjaminiano, più che il referente o le scelte del suo
autore, raffigura il desiderio, interminabile se non irraggiungibile, dei suoi interpreti.
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Letizia Battaglia
Una vita contro la mafia
Lei ama la vita, dice. E il cinema, la poesia, il cielo sopra Palermo. A pensarci bene lei ama tutto. No, non solo amare: “adoro“ dice lei. Che in italiano significa più di amare. Amore, adorazione, dedizione tutto in una parola. Non si può fare altro che guardarla stupiti, quando dice “adoro” questa 73enne dagli occhi caldi dentro le occhiaie, dalle gonne vivaci e con l’eterna sigaretta in mano: Letizia Battaglia.
Letizia Battaglia è diventata famosa con i morti, quelli che ha fotografato. Morti di mafia, appena assassinati sulle strade della Sicilia, nelle loro pozze di sangue o nelle guance perforate dai proiettili. A testa in giù, salme distese sui marciapiedi, si potrebbero scambiare per barboni caduti a terra ubriachi. Sulla schiena scoperta il tatuaggio di Cristo, vicino una macchia rossa.
Lì si vede il giudice Cesare Terranova ancora rannicchiato al posto di guida, la testa premuta contro il petto, la pancia chiazzata dai fori. Un giovane, avrà avuto 19, 20 anni, il viso d’angelo rivolto al cielo giace supino in mezzo alla piazza. I curiosi intorno fissano il corpo senza vita e ancora caldo, come predestinato. Il fato è in Sicilia l’unico vero Dio e la mafia, che fa i morti, da tempo è considerata come il volere di Dio.
Ora il polipo ha ritoccato la faccia, ha concluso un patto con la politica: non deve spargere più sangue. “Gli italiani si sono innamorati di Berlusconi e la mafia ha messo la cravatta, conquistato i mercati. E’ diventata un’impresa, va all’università, lava il denaro in Germania e in Francia. Ma è sempre la stessa mafia.” Letizia Battaglia non ha peli sulla lingua. Non solo come fotografa, ma anche da consigliera comunale sotto Leoluca Orlando, da deputata del partito antimafia La rete, da editrice delle “Edizioni della Battaglia” si è sempre impegnata per far scomparire la mafia dalla faccia della terra. E ora? Ora regna obbedienza silenziosa, la mafia ha in mano tutto. In Italia nessuno parla di Letizia Battaglia.
Nessun giornale le conferisce più incarichi, nessuna casa editrice pubblica le sue foto, è uscita addirittura un’antologia storica su fotografe italiane che non riporta il suo nome. Colei che è famosa nel mondo in Italia viene considerata persona non grata. “A gli italiani do fastidio” dice lei “perché ho fotografato la mafia”.
Nei vicoli le donne in lutto portano il velo. Al contempo nei lussuosi palazzi di Palermo, là dove i vecchi nobili, l’artistocrazia dei soldi e i nuovi ricchi celebrano le feste sfarzose della mafia, pietre preziose decorano i capelli di bellezze dagli scolli generosi.
E quando la classe dirigente politica italiana passeggia, mano nella mano, con la mafia diventa subito comprensibile la smorfia seccata dei boss Luciano Liggio e Leoluca Bagarella durante il loro arresto. In Sicilia tutto ha due facce. “Oggi veniamo amministrati da persone che sono alleate della mafia” dichiara la fotografa. Ora ha lasciato andare ogni speranza. Nei suoi occhi caldi c’è una malinconia nervosa. La protesta ci si continua ad infiammare. Letizia Battaglia vive nel frattempo di nuovo a Palermo, quasi isolata. Si era trasferita a Parigi, dove per un anno e mezzo ha lavorato molto, circondata da amici. Ma non ha resistito. Non sopporta a lungo, dice lei, vivere a grande distanza dal cielo di Palermo. Prima o tardi le verrebbero i complessi di colpa, come se fosse suo preciso compito difendere la città dai demoni.
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Nancy Fina
Fashion
Una gioia di vivere profondamente Americana, un senso estetico tutto Italiano; una sensibilità unicamente femminile; un'armonia di luce e colore.
Con questi ingredienti Nancy crea un potente, inconfondibile impatto visivo.
Questa è la storia di una ragazza, nata a Washington D.C. ma cresciuta sia in Virginia che in giro per l’Europa che, poco più che ventenne, approda a Milano dove il padre, diplomatico, si trova per lavoro.
Ma è grazie a sua madre, che conosce molto bene la sua personalità, se Nancy diventa una fotografa di moda e pubblicità.
“E’ stata lei, dopo una prima laurea in scienze politiche ed una seconda in arte e fotografia, a ‘spingerla’ verso la professione indipendente.
Con vero spirito americano senza conoscere nessuno, si è ‘inventata’ un lavoro cominciando a fare i test fotografici alle modelle”. Ha ottenuto suoi primi lavori conoscendo un simpatico direttore creativo mentre faceva l’autostop e grazie alla sua amica del cuore, Jacqueline, che credendo in lei ha portato il suo portfolio a varie testate di moda.
Ama tantissimo il suo lavoro e lo affronta con passione, ama risolvere problemi, conoscere nuove persone, lavorare con un bravo team a creare nuove immagine. Trova intrigante la psicologia della pubblicità, la sfida è quella di fare guardare le sue foto.
La sua naturale tendenza la porta sempre verso il colore, la componente dell’immagine che la attira di più. Piace raccontare una storia, usare umore, situazioni divertente, ama la donna spiritosa. Tutti componenti necessari per combattere il grigiore di Milano.
Lavora a Milano e in giro per il mondo; creando immagini glamour; campagne pubblicitarie internazionali, cataloghi, beauty e redazionali.
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Pascal Betens
Nudes
Dopo studi classici e un'educazione artistica, Pascal Baetens (Leuven, Belgio, 1963) ha scelto di sviluppare la sua cretività artistica, diventando un fotografo.
Nella sua carriera ha realizzato ritratti, fotografie di moda e di viaggio per l'editoria, il settore commerciale e clienti privati. La sua collezione di delicati nudi in bianco e nero lo ha portato a realizzare gli art book The fragile touch, Allegro sensibile (The art of nude photography, nell'edizione per gli Stati Uniti), Heavenly Girls (Heavenly Beauties, nell'edizione per gli Stati Uniti), A Pocketful of nudes e il manuale Nude photography, the art and the craft, vincitore del premio “Orvieto Art Book” nel 2008.
Baetens ha intervistato fotografi come Avedon, Bitesnich, Dunas, Lindbergh, Maroon e Witkin ed è stato curatore di diverse mostre. Le sue opere sono apparse su alcuni dei principali libri guida sulla fotografia moderna e in numerose riviste, tra cui Elle, FHM e Men's Health. Nel 2008 ha ricevuto il titolo di “Master Qualified European".
Mentre il “Salve Mater”, il vecchio ospedale psichiatrico femminile a Lovenjoel vicino a Bruxelles, aspetta di essere trasformato in un villaggio residenziale di lusso, l'edificio centrale, l'ex monastero delle “Sorelle delle Carità”, è diventato temporaneamente lo studio di Pascal Baetens.
Dal 2003 in questa sede Baetens ha dato vita non solo alle sue opere commerciali e ai suoi laboratori fotografici ma anche a un numero considerevole di servizi fotografici basati sulla storia e sulle vibrazioni di questo luogo, i cosidetti servizi “Salve Mater”.
Orvieto Fotografia 2009
http://www.orvietofotografia.org
Immagine: Angelina Chavez, Imprisoned
Palazzo dei Sette
corso Cavour, 87 Orvieto (TR)
Orario: da martedì a domenica ore 10:30 – 13:00 e 14:30 – 17:00
ingresso libero