Grafica ed ex-libris di cinque maestri ucraini: l'espressionismo favoloso di flussi sensuali di Ruslan Agirba, la florida dolcezza di donne e paesi di Bekker, il colorato bestiario di Kirnitsky, l'umorismo grottesco di Sergey Hrapov. Una delle voci piu' alte e' infine quella di Konstantin Kalynovych.
È con un certo orgoglio che VISMA, il club privato vesimese, propone quest’anno le opere grafiche di grandi maestri ucraini: oggi, mentre viene alla luce come migliaia di ONLUS fasulle succhino vergognosamente denaro pubblico, ci si può ben compiacere di aver rifiutato, in questi quattordici anni, ogni contributo e coinvolgimento istituzionale alle proprie iniziative, volte al recupero di storia e monumenti locali, e alla promozione della cultura in genere. Ed eccoci dunque alle opere grafiche e agli ex libris di una collezione locale, gentilmente concessi in mostra: ci recano sentimenti e climi di una terra lontana, l’Ukraìna, ma in alcuni casi gli artisti ucraini si sono ispirati, traendone spunto, al nostro paesaggio e alla nostra storia. Vediamo però, innanzi tutto, di che si tratta, prendendo l’argomento un po’ alla larga.
Pullulano oggi sul monoscopio del nostro ordinatore infinite suggestioni fino a ieri impensabili, connessioni con mondi e culture colti di prima mano, separati da noi e dalla nostra intelligenza conoscitiva da spazi enormi o da divieti politico-ideologici che hanno fatto di un braccio di mare o di pochi chilometri di filo spinato e dogane un hic sunt leones, una barriera impenetrabile. Bulgaria, Ukraìna, Bielorussia erano fino a ieri per noi dimensioni spaziali favolose ed oscure, su cui aleggiava una coltre di mistero, quasi si trattasse di un deserto di città senza volto e dagli incerti connotati geoetnici. Persino certo squallido turismo sessuale si era fermato di fronte alle connotazioni ostili di quel mondo oltre il Danubio e i Balcani. Dall’altra parte, l’imposizione di una cultura statalizzata che escludeva ogni dialogo esterno, aveva rattrappito le coscienze e ridotto le pulsioni artistiche a puro esercizio accademico, o le aveva costrette a adeguarsi a certe dottrine estetiche, quelle del “realismo comunista”, che mette i brividi rammentare.
Fortuna volle che certa positività insita nella costrizione e nel limite, (quella colta e venturosamente fruita da Orazio in Sabina e da Goethe a Weimar, travagliosamente subita dal Leopardi in Recanati, fino a quella stessa, diversamente occorsa, che consentì sorprendenti Fughe in prigione al Malaparte confinato a Lipari e a Carlo Levi a Eboli), miracolosamente offrisse modo, agli artisti più bravi, di cimentarsi in un esercizio di affinamento e d’invenzione sui terreni “consentiti” (ci riferiamo qui soprattutto alle arti grafiche ed incisorie, specie a quel raffinato settore che è l’ex libris, quel foglietto di piccola grafica dedicata in cui il legame tra l’artista e il committente si fa più intrigante: anche perchè consente oggi pressoché a tutti, un rapporto che fu in passato esclusivo di umanisti e mecenati).
Al di là della cortina di ferro, dunque, dove il sospettoso potere politico vietava aperture verso il moderno e l’Occidente in genere, la gloriosa, insigne tradizione incisoria mitteleuropea (da Luca di Leida a Dürer ai Sadeler, da Amman a Cranach a Holbein, fino alle invenzioni litografiche di Senefelder) veniva puntigliosamente rivisitata e studiata nelle accademie e negli Istituti di Belle Arti. Ma accanto allo stimolo a coltivare questo straordinario mestiere, accanto alla puntigliosa, rabbiosa ricerca delle infinite possibilità offerte dal segno inciso e dalle nuances degli inchiostri, si affiancava alla fantasia di quei giovani artisti tutto un loro mondo favoloso di fantasie e leggende, trasmesso da un’oralità pronta od offrirsi genuina nell’isba o nell’osteria; e si prospettava il recupero (politicamente anodino) di una mitologia greca che aveva da secoli influenzato, tramite Bisanzio (si pensi solo alla fortuna dell’icona) i monti dei Balcani e le steppe russe.
Si sa, dal 1989 in poi è stato più facile a questi artisti farsi conoscere in gallerie occidentali, in concorsi e premi di arte incisoria; ma l’ostacolo della lingua, le difficoltà di adeguamento ai risvolti economici imposti dal viaggio e dal soggiorno in occidente, il difficile inserimento nei modi di vita e di pensiero di un mondo -il nostro- che affascinava e respingeva ad un tempo, hanno consentito soltanto a sparute rappresentanze di giungere qua e dialogare con noi. Il miracolo l’ha compiuto Internet: e, accanto alle opere che ci son piovute addosso (affascinanti, inquiete, piene di meravigliose suggestioni) grazie all’avveduta scaltrezza di galleristi e collezionisti nostrani e poi al giocoso azzardo delle contrattazioni su e-bay, si sono andati moltiplicando, con i links e le mails, i contatti personali: che ci han rivelato, al di là dell’artista, personaggi di una disponibilità, di un’umanità e di una ricchezza di spirito inimmaginabili in Occidente. Il dialogo del piccolo collezionista, del neofita che tenta un approccio con un discorso artistico transitivo, cui avverte di poter accedere e corrispondere, viene facilitato dalla proposta di opere essenzialmente figurative; offerte inoltre a prezzi assolutamente ragionevoli, e, specie per gli ex libris, accessibili a tutti.
E avventuriamoci dunque nella spera di questa ‘luce dell’Est’, dell’Ukraìna in particolare, in questo mondo fatato di un’arte fantastica e figurativa, che solo la spocchia e la cattiva coscienza di certa critica nostrana tende a trascurare, degradandola con sufficienza ad “arte minore”. Il primo elemento che colpisce, che consente di riconoscere una voce, un afflato sotterraneo e comune a tutti quegli artisti è la ricca presenza della Natura: stravolta, sognata, descritta, vagheggiata è comunque lei a dominare sensi e fantasie, “con i suoi mille occhi e cuori”, per dirla con Goethe. Sono diabolici paesaggi rimembrati da Bosch, sono cupi mostri delle fiabe nordiche o ariosi brandelli di mitologia classica, sono equivoci corpi zoomorfi che assumono volti umani dopo esser scaturiti da radici o da scheletri di alberi; sono frangenti e spume che s’innervano nelle ali di una Nike o di un angelo; oppure sono le malinconie dolci e severe di una campagna intrisa di marcite, segnata da alberi e ramure, fervida di luminescenze sottratte da un raggio al capriccio delle nuvole; sono deserte lande invernali su cui s’aggirano, derelitti e spauriti come la minuta umanità che sovrastano, enormi uccelli dalle grandi ali.
Ma corteggio naturalistico è anche l’idillio d’arcadica memoria, sono le molli prode di fonti e ninfe, è la descrizione raffinata o inquietante di sfondi che richiamano i primitivi o il surrealismo di Boecklin. Una natura a tutto campo, che strega, avvolge, accoglie e respinge il corpo umano, lo crea e se ne fa propaggine: studiato, questo corpo, sezionato e ritratto in tutte le sue ripugnanti o seducenti proposizioni, il suo spirito viene coltivato ed espresso dalla calligrafia di un segno che ricerca spericolate soluzioni tecniche e ricorre a microscopici impegni del bulino o della puntasecca, a rendere la paranoia di un vecchio o le seduzioni innocenti o perverse di una fanciulla.
Ci sono momenti in cui vien da chiedersi, di fronte alle opere di questi ucraini, se la loro arte tenga più delle esasperazioni e delle follie di un tecnicismo barocco o se riverberi su di noi, da quei cieli percorsi e stravolti da una melanconia düreriana, il dramma eterno dell’uomo, toccato con novissime corde, in un contesto di spazio e di tempo che ci è ancora tanto lontano: ecco dunque l’espressionismo favoloso di flussi sensuali di Agirba, la florida dolcezza di donne e paesi di Bekker, il colorato bestiario di Kirnitsky, l’umorismo grottesco di Hrapov. Una delle voci più alte è infine quella di Kalynovych. Per descrivere il proprio mondo interiore Konstantin non vìola, non deforma la sua serena, triste, mite campagna ucraina. Con un disegno microscopicamente indagabile si ripiega su di lei e, semplicemente, la rapisce e la ricolloca, popolata di genti e manufatti, nelle plaghe del sogno e del mito. La fiaba nordica e orientale, le suggestioni della storia e dell’arte, gli studi anatomici, le reliquie di prospettive e disegni dell’infanzia, le Stimmungen dei mesi e delle stagioni, la grazia realistica e mai aggressiva di un corpo di donna, tutta questa fenomenologia personale o emergente dallo Spiritus mundi si accampa sotto un cielo di stelle o su lande nevate sorrase da ombre di uccelli, tra acquitrini e corteggi di nubi magicamente incise all’orizzonte. Non a caso Voyage e Dream sono parole ricorrenti nei titoli delle sue opere.
Un’aria sospesa di sogno, carica di quella fascinazione ineludibile che l’Oriente porta sempre con sé, vi attende in questa saletta fuori del tempo, nella media Val Bormida: sono più di 80 capolavori, segnati dall’asciutto segno inchiostrato o soffusi di colori, perdizione dell’occhio e dell’anima.
Visma - Casa Brondolo Gastaldi
via Alfieri, 2 - Vesime (AT)
Orario: dimenica 10-12, il pomeriggio su appuntamento
Ingresso libero