Movimento Aperto
Napoli
via Duomo, 290/C (piazza Filangieri)
333 2229274

Giancarlo Altamura
dal 29/10/2009 al 29/11/2009
gio e ven 17.30-19.30, mar e sab 10.30-12.30 e 17.30-19.30
081 287227
WEB
Segnalato da

Ilia Tufano




 
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29/10/2009

Giancarlo Altamura

Movimento Aperto, Napoli

Per la sua mostra personale l'artista presenta 25 tra le sue opere piu' recenti. Olii su tela di varie dimensioni con figure che si destreggiano tra diverse polarita' e mostrano demoni, beati, cariatidi, fontane col volto di Pan, chimere e tutta una serie di immagini dal mondo antico.


comunicato stampa

Venerdì 30 ottobre 2009, alle ore 18.00, presso l’ associazione culturale MOVIMENTO Aperto, in via Duomo 290/c, Napoli, si inaugura la personale di Giancarlo Altamura La mostra è introdotta da due testi “importanti”, redatti per l’occasione.

Mario Persico parte dalla pittura di Altamura, per difenderla “dall’accusa troppo sbrigativa di manierismo”, invitando l’osservatore a lasciarsi sedurre dalle sue figure che “ ormai respirano nel tempo e nello spazio della più tangibile fisicità” ed insieme propone un tema più vasto, il tema “di quello che definiamo Arte”, nel suo darsi come “oggetto” e quindi , inevitabilmente “merce” ma anche nella sua dimensione soggettiva ,di quello che definisce “il rapporto sensibile tra l’artefice e il suo prodotto”. E cita J.L.Borges.
Mimmo Grasso esordisce affermando che “Le visioni di Giancarlo Altamura salgono a galla dal “pozzo di storia” psichica di Napoli”, conduce poi una lunga, puntuale analisi di queste “figurae”, attraverso le quali Altamura “crea gabbie di relazioni tra elementi infinitamente distanti tra loro, attriti”.Nel costruire coerenze tra questi elementi (contaminazioni tra mito e quotidianità) consiste la sua competenza distintiva.”
Giancarlo Altamura espone venticinque tra le opere più recenti, oli su tela di varie dimensioni, fino al 30 novembre.
La mostra rimarrà aperta giovedì e venerdì, dalle ore 17.30 alle 19.30, martedì e sabato dalle ore 10.30 alle 12.30 e dalle 17.30 alle ore 19.30.

Alcune considerazioni sul lavoro di G. Altamura
Mario Persico
Sono stato invitato dal mio amico Giancarlo Altamura a scrivere qualcosa sul suo lavoro di pittore. Ma scrivere su ciò che appartiene al silenzio, da pittore qual io sono, è arduo, come è arduo tradurre nella lingua primaria della nostra cultura ciò che è stato concepito in un'altra. Stando all'insegnamento magrittiano, "i segni destinati a rappresentare qualcosa più probabilmente rappresentano soltanto se stessi". Voglio dire che tra la denominazione verbale e quella visiva vi è sempre uno scollamento. Ma avendo mio malgrado accettato l'invito proverò a mettere insieme un po' di parole che non risultino del tutto banali. Devo tuttavia precisare che quello che definiamo Arte rientra nei miei interessi soltanto per fini economici, in quanto essere considerato un artista con qualche valore può significare anche vendere uno o più quadri. Ciò che invece cattura la mia attenzione è il rapporto sensibile fra l'artefice e il suo prodotto. Rapporto che in alcuni casi si fa intrigante per la presenza di contrapposti linguaggi espressivi da cui l'opera prende forma. È ciò che accade spesso nel lavoro di G. A. La quasi totalità della sua produzione si è materializzata grazie alla convivenza di forme espressive apparentemente usurate e stilemi della modernità, con l'obiettivo - forse - di dar vita a una nuova, ambigua, armonia: un modo di puntare provocatoriamente sull'inattualità, verso la riattualizzazione del passato, perché spesso è più reale la persistenza di un mito che il prodotto di un'angoscia. "Il passato non è un morto nella tomba, ma una verità sepolta, un messaggio antico, una realtà che può continuare a divenire", ha scritto Guido Biasi nel 1964 in Restaurazione e rivoluzione. Ma tutto ciò è osteggiato dal sistema culturale del nostro tempo, dimenticando, forse, che ciò è accaduto e accade ancora in numerose opere. Valgano per il passato alcuni lavori di F. Picabia:Barcelone del 1927-28 e Villica-caja del 1929; oppure La nona ora di R. Topor del 1979 o addirittura La dame del 1975 di D. Spoerri, questo per citarne solo alcuni. Sono del parere che quando una tensione creativa trova i segni della propria materializzazione in linguaggi ritenuti apparentemente superati vuol dire che quella tensione non poteva servirsi che di quei segni e non di altri. Inoltre resterebbe sempre da stabilire cosa fa di un oggetto, linguistico o non linguistico che sia, un'opera d'arte. Le dispute filologiche su ciò che è Arte e ciò che non lo è non si sono esaurite come non si è esaurita la convinzione secondo cui certa critica d'arte, quella più sensibile e meno soggiacente alla logica del potere mercantile possa pervenire a chiudere in una formula ciò che, ahimè, è al di qua della parola. Mi riferisco a quella critica d'arte che si basa su dati empatetici piuttosto che su procedimenti noetici. Ma chi e cosa ci assicura della qualità penetrativa degli stati emotivi che il critico proietterebbe nell'oggetto estetico da lui indagato o della capacità di calarsi nel pensiero dell'artefice di quell'oggetto? Niente e nessuno perché l'opera alluderà sempre ad altro. Riconoscere l'esistenza di una poetica è quasi sempre una pretesa, anche quando gli strumenti argomentativi ed ermeneutici siano tanti e tali da convincerci sull'esaustività del percorso e dell'apparato conoscitivo. Ciò che veramente si insegue è un fantasma: il fantasma della verità. Restano tuttavia alcuni altri aspetti da valutare, perché se solo per un attimo operassimo uno scarto dalla "poesia" all'uomo, alle sue motivazioni più segrete, alla coincidenza tra il "fare" e il "sé", all'adesione tra idea e atto, ci accorgeremmo che il poeta non può, non dovrebbe tradire l'uomo che è. Non è poi da escludere quanto afferma J. L. Borges in una considerazione ch'io, parafrasandola un po', qui riporto: "Un pittore nel corso della propria vita disegna montagne, mani, alberi, fiori, animali, orizzonti, esseri umani e altro ancora. Alla fine si accorge che con quel paziente labirinto di linee cercava soltanto di disegnare l'immagine del proprio volto". Chiuderei questo breve e insufficiente intervento rilevando come già ebbi a fare tantissimi anni fa per una bellissima mostra di Giancarlo Altamura che l'accusa troppo sbrigativa di manierismo, da parte di certa critica di allora, non stava e non sta in piedi. Il manierismo come categoria metastorica è ciò che oggi, con un termine che fa molto cultura, chiamiamo postmoderno. Se assumiamo il postmoderno come condizione ineliminabile della coesistenza di "due contrapposte anime", una avveniristica e l'altra di vertiginoso ritorno ai primordi del genere umano, non vedo perché ci si dovrebbe scandalizzare allorché ci troviamo di fronte alla rilettura di uno stile o al recupero di certe atmosfere. Il lavoro di G. Altamura va osservato soffocando i molti preconcetti che offuscano lo sguardo e valutando il rigore tecnico e la qualità coloristica con cui prendono forma le figure che popolano le sue opere. Si tratta quasi sempre di figure che nascono da un febbrile movimento psichico che invia bagliori all'intera superficie del quadro. Figure dall'epidermide scintillante che impongono la loro dignità in attesa d'uno sguardo d'amore. Qualunque possa essere il giudizio che si voglia formulare su questi lavori, resta il dato inconfutabile che essi oramai respirano nel tempo e nello spazio della più tangibile fisicità. D'altronde non è improbabile, secondo Glenn Gould, che quello che definiamo artista è, forse, soltanto un uomo che cerca con ostinazione e furore "di raggiungere progressivamente nel corso dell'esistenza uno stato di serena meraviglia".

Mimmo Grasso
Le visioni di Giancarlo Altamura salgono a galla dal "pozzo di storia" psichica di Napoli. C'è una complicità tra la città, le sue icone, e questo artista: la "sirena", metà donna-metà uccello o pesce, è una "replica" delle immagini di Giancarlo, con quel q.b. di "borderline" virale di Partenope e dei santuari della sua "schiza". Ciò è implicito in tutte le città ma Napoli ne è l'archivio pubblico. Intendo dire che le immagini di Altamura sono le stesse che si trovano nelle chiese di Napoli o nel Museo Archeologico, che le sue figurae, innesti di elementi di varie tipologie, possono tranquillamente occupare lunette, archi, frontespizi di fontane, androni dei palazzi sostituendo le icone che vi si trovano. Un dèmone, un beato beato nel martirio, una cariatide, una fontana col volto di Pan,..., sono, per come ci sono tramandati, cioè tropicamente, monstra. La chimera o un fanciullo boccoluto aligero con la spada di fuoco (l' angelo) sono omologhi, quanto a compositio, agli esseri di Altamura, quasi sinonimi visivi dei suoi quadri in cui è tangibile l'ossessione, anche corporale, della reduplicatio , enumeratio, che sottendono pulsioni o volontà di metamorfosi. Di più: lanciate adesso, proprio adesso, una bestemmia in napoletano popolare e la ritroverete in questi quadri elaborati intingendo il pennello nel sudore delle persone che sotto casa di Giancarlo aspettano il tram mentre cade ruggine dai loro denti; di prostitute alate che rigurgitano pece; di barboni che rosicchiano sampietrini. Anime sempre pezzentelle e da scarabattola. A due passi, nella chiesa di San Pietro in Vinculis, un bassorilievo della Vergine che allatta le anime sante del Purgatorio. San Gennaro è quel signore che si tampona il naso per un'improvvisa botta di sangue. Napoli è "città del sole" non per utopie né per i non-luoghi di Augè né tantomeno per faccende atmosferiche.. Lo è perché qui, nella Crypta della sua mente, dimora e ancora agisce Mitra, supersimbolo che, se non ne avessi cognizione, imputerei alla creatività di Altamura. Si tratta di emblemi che tendono a una trasformazione ( possibile, ma non unica; evolutiva, ma anche regressiva; un voler negare la propria essenza emblematica ponendosi violentemente in evidenza) incerta tra variazione e giustapposizione di elementi, ricca di salti semantici, cioè cambiamento di stato. Altamura inizia un processo pittorico ma sembra affascinato più dalla procedura che dal prodotto perché ama restare in bilico sulle lame di paradossi. Emilio Villa titola giustamente un suo strepitoso saggio degli anni ottanta L'homo paradocus secondo il pittore nuovo l'Altamura .Come penso sia implicito, Altamura, elevato da Villa a l'Altamura, è paradossale non perché va contro l'opinione corrente (abbiamo appena detto che il catasto delle sue immagini è Napoli) ma perché crea gabbie di relazioni tra elementi infinitamente distanti tra loro, attriti. Nel costruire coerenze tra questi elementi ( contaminazioni tra mito e quotidianeità) consiste la sua competenza distintiva. Un esempio è l'omuncolo che vedete in questa mostra e che vi segue a ogni passo, che si ferma alle vostre spalle e vi giudica mentre giudicate. E' un "travestito" ancestrale, demoniaco (il bastone, sul quale si appoggia con una certa posa aristocratica, è una forcina, indizio dei dèmoni), ostenta come maschera un volto butterato. Vari segni di questa mostra sono butterati e se girate per i vicoli dove vive Giancarlo vedrete sulle bancarelle degli africani pezzi (animali, in genere) che hanno proprio questi puntini e identico colore. I puntini sono, per il mondo tribale africano, schemi di un tatuaggio e la loro disposizione rinvia a costellazioni. Questo diavolo ironico ha, dunque, volto e maschera, ripete visivamente l'etimo di "diabolo" (il calunniatore, chi falsifica la verità). E', in sintesi, un "travestito travestito", dunque non è un "travestito" ma un travestito. I paradossi di Altamura nascono dal fatto che inserisce nella stessa classe (o cornice) elementi eterogenei, appartenenti a "tipi" logici diversi, col preciso scopo, in termini di comunicazione, di generare dissonanza, perplessità, per cui si ha il sospetto che a restare metamorfizzato, trasformato, sia il visitatore più che l'artista che, dal canto suo, rimane tra variazioni e variazioni di variazioni più che cambiamenti. Perché accade questo? Osservate la tela della mummia azteca. La domanda è: ha rotto le fasce e sta uscendo o vi si vuole rinchiudere? Secondo la risposta che date, sulla base della situazione che state vivendo in questo preciso momento, il lavoro di Giancarlo
acquista un senso, una direzione prevalente (ma le contiene entrambe, ovvio, come l'omuncolo inforcinato tra viso e maschera). Noterete, anche, che la forma ovale (philosophale, "trasformazionale", avrebbe detto Sergio Piro) appare molte volte, spesso celata, appena suggerita (le curve di serpente, ad esempio, o la conchiglia, lo stesso sole - con quel che ne consegue in termini di "Rituale del serpente") o in situazioni in cui un elemento ripete, ma in opposizione, l'altro (è il caso dei triangoli che non riescono a mettersi punta- contro-punta per formare una clessidra). O si osservi, ancora, la bellissima icona del salmone legato (forse un luccio; tra l'altro, la forma dei legacci sono identiche a quelle della "mummia"). Le sue ali ( luccio e salmone sono l'antonomasia del salto e della mobilità) sono un ricordo di pinne. Sotto, una rosa. Che ci fa una rosa sotto un pesce in formaldeide di colori? E perché una rosa e non, p.es., un crisantemo? E' un omaggio dell'artista alle creature che divoriamo o uccidiamo per far vedere quanto siamo bravi, un sottolineare la nostra famelicità? E' San Luccio patrono dei lucchetti che non si aprono? Si: credo che quella rosa abbia la funzione dei fiori portati al cimitero. Perché una rosa? Perché rosa nasconde "oras" e perché rosa=profumo, balsamo. E qui c'è un' imbalsamazione. Tra i dipinti qui esposti sono pochissimi quelli riferibili a un periodo stilistico precedente. L'ironia si fa più evidente perché non dichiarata (es. la vita eterna come ciondolo) e sembra inaugurare una nuova ricerca che, se ho compreso le dinamiche cognitive dell' Altamura, si basa sempre su opposizioni, sulla polarità della mente, il che ha ben poco a che fare con un' etichetta di surrealismo. Certo, gli antecedenti non possono non esserci ( Bacon, Ernst), ma è come dire che in un poeta ci può essere molto di Breton o di Rilke o che in un matematico c'è Poincaré, il che è del tutto ovvio. Non ovvia è invece la dinamica strettamente di pensiero (rigoroso, nonostante l'hasard delle imaginationes) sottolineata, tra i lavori esposti, nella tela al cui centro campeggia il cubo di Rubik. Facciamo un breve inventario, con valore non statistico, delle polarità che si rilevano in questa mostra: luccio (mobilità, salto) vs. imbalsamazione; la forcina ( la maschera e il volto); la fasce ( infasciano o sfasciano); quetzcoalcoatl (serpente,terra- piume, cielo); triangoli in proiezione; eternità come ciondolo da bijoutteria; il disco del sole liscio e la conchiglia puntuta e frastagliata; l'arcobaleno spezzato (curvatura vs. angolo della luce); ecc. Si tratta, come dicevo, di cose lontanissime tra loro ma unificate da questo moto pendolare tra il "si" e il "no". Succede, qui, ciò che succede al personaggio semidormiente de "Sonno della ragione" di Goya, le cui proiezioni sono cittadine delle tele di Altamura. Come viene gestito questo "disordine"? Non viene elaborato per un ordine. Altamura usa ordine e disordine in funzione di un desiderio di armonia.

Giancarlo Altamura è nato a Napoli, ha studiato presso il Liceo Artistico e l’Accademia di Belle Arti di Napoli. Dal 1969 ha insegnato discipline pittoriche presso il Liceo Artistico di Napoli, svolge un’attività completa nel campo della produzione di immagini nei suoi studi di Napoli - Piazza Principe Umberto, 4 e di - Johannesburg (Sud Africa) - 38 Montrose Ave, Highlands North Ext. P.O. Box 95186, Grant Park 2051 - Tel. +27 117864188
Info 081 287227 - http://www.giancarloaltamura.it - e.mail: contatti@giancarloaltamura.it

Inaugurazione: venerdì 30 ottobre alle ore 18

Movimento Aperto
via Duomo, 290 - Napoli
Orari: gio e ven 17.30-19.30
mar e sab 10.30-12.30 e 17.30-19.30

IN ARCHIVIO [32]
Biagio Cepollaro
dal 20/11/2015 al 18/12/2015

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