Maljkovic osserva la velocita' e la naturalezza con cui, in una societa' postfordista e liberale, si procede in una continua sostituzione. Il focus attorno cui si sviluppa buona parte della sua opera e' l'architettura e la dimensione urbana e sociale in cui essa si inserisce. Alla base del lavoro di Winterling vi e' la necessita' di elaborare delle autobiografie impossibili, in cui si pone al centro la vita dell'artista e la sua personalita' doppia e mutevole. Nel progetto per la Fondazione il motore dell'opera e la riflessione dell'artista intorno ad un'idea che assimila al concetto di spazio quello di identita'. A cura di Gigiotto del Vecchio.
a cura di Gigiotto del Vecchio
Parlare di Futurismo in rapporto a David Maljkovic (Rijeka, Croazia, 1973), risulta appropriato: l’artista ha stabilito un intenso dialogo poetico con il grande movimento d’avanguardia, pur mantenendosi ad una certa distanza così da evitare un inappropriato assorbimento totale. Nel testo che accompagna l’installazione “Again for Tomorrow” (2003), uno dei suoi viaggi attraverso la storia, Maljkovic incontra i futuristi, vi stabilisce un scambio dialettico cercando però di mettersi al riparo dall’essere coinvolto in qualsiasi possibilità nostalgica. David Maljkovic osserva il cambiamento, la velocità con cui, in una società postfordista e liberale ci si libera con estrema naturalezza di ogni cosa e si procede ad una metodologia di avvicendamento, di frenetico cambiamento e continua sostituzione, in cui l’oggetto o il pensiero vengono consumati e si alternano a ritmi sostenuti. Il focus attorno cui si sviluppa buona parte dell’opera dell’artista croato è l’architettura, la dimensione urbana e sociale in cui essa si inserisce, con tutto il suo bagaglio di significati persi ed anche ritrovati, riposizionati all’interno di una nuova possibile, dinamica e fantastica evoluzione.
Vi sono simboli che mutano il proprio significato se modifica il contesto attorno a loro, se si perdono quelle istanze esistenziali e politiche che ne determinano la loro funzione e fruizione pubblica. Crescere in un paese ex socialista credo rafforzi la percezione del simbolo architettonico come importante elemento di comunicazione e celebrazione del potere, formando nei cittadini una sorta di coscienza simbiotica con la struttura urbana in cui vivono. David Maljkovic osserva la perdita di funzionalità di alcune di queste realtà architettoniche cercando di dar loro un’ulteriore possibilità esistenziale. Una operazione fortemente prismatica, razionale, nel tentativo di stabilire un contatto da cui scaturisca una possibile articolazione intellettuale e politica in cui concetti quali conservazione e superamento siano al centro della discussione. Ma al contempo un’operazione estremamente poetica, visionaria, utopica. David Maljkovic si appassiona alle strategie del re- enactment, del rimettere in scena, di strutturare una possibile relazione tra finzione, simulazione e realtà e, cosa ancor più interessante, estende questa “strategia”, di ripetizione e differenziazione, all’interno di contesti specifici quali le mostre d’arte contemporanea.
L’opera complessiva di David Maljkovic si è sviluppata nel corso degli anni a partire da due progetti in relazione tra loro, la trilogia “Scenes from new heritage 1-3” (2002-2006) e “These days” (2005). Entrambi i progetti partono da opere video e si sviluppano con l’ausilio di installazioni, fotografie e collages. Il progetto alla Fondazione Morra Greco è in rapporto di continuità con questi primi lavori. Il focus dell’ opera è il padiglione italiano alla fiera di Zagabria, altro elemento cardine della storia dell’architettura moderna all’epoca di Tito, disegnato dall’architetto napoletano Giuseppe Sambito e oggi in stato di semi abbandono dopo il prestigioso utilizzo e la considerazione goduta negli anni ‘60 e ‘70. David Maljkovic approfitta della mostra napoletana per approfondire l’operato di Sambito, partendo dal presupposto che pochi sono gli elementi a disposizione di chi volesse fare ricerche su questo architetto. L’intenzione è quella di ristabilire una discussione sull’attività di Sambito partendo proprio dal padiglione italiano, per arrivare a tutto ciò che è stato sviluppato successivamente. Un’operazione a ritroso che prendendo le mosse dalle origini culturali di Sambito - del quale Maljkovic non tenta in alcun modo raccontare la biografia – si proietta nel futuro rinnovando la discussione attorno al senso ed alla funzionalità in divenire del suo operato.
Alla base del lavoro della tedesca Susanne M. Winterling (Rehau, Germania, 1970) vi è la necessità di elaborare, così come lei stessa ha dichiarato in una recente intervista, delle autobiografie impossibili, in cui si pone al centro la vita dell’artista ed il suo essere personalità doppia e mutevole, in associazione con figure ed evocazioni che possano sviluppare un percorso parallelo di comprensione e di analisi della figura della Winterling stessa. In passato l’artista si è confrontata con personaggi diversi, icone femminili anticonformiste degli anni venti quali Isadora Duncan, Annemarie Schwarzenbach, la Marchesa Casati o Eileen Gray – quest’ultima è il soggetto da cui ha preso forma la riflessione fulcro dell’installazione, alla Neunationalegalerie di Mies Van der Rohe, in occasione dell’ultima Biennale di Berlino. Un approccio di natura certamente umanistica, conseguenza degli studi in filosofia e storia dell’arte nella prestigiosa università di Tubingen che portano la Winterling a spingersi in un continuo tentativo di analisi dell’immagine riflessa, in cui la visione allo specchio è l’elemento chiave di lettura e comprensione della mutevolezza e fluidità dei diversi aspetti della personalità.
Ma non è solo con la figura femminile che Susanne Winterling si confronta: nel progetto per la Fondazione Morra Greco, la figura di Torquato Tasso è il motore che fa partire il lavoro e la riflessione dell’artista, in rapporto ad un’idea che assimila al concetto di spazio quello dell’identità. Attraverso un’installazione video, un pavimento specchiante, una serie di fotografie ed un lungo tappeto rosso (il rimando al red carpet cinematografico è evidente) che scivolerà dal piano terra al piano interrato della Fondazione, si articolerà un possibile scenario che partirà da elementi storici legati alla figura di Torquato Tasso, e più precisamente sugli anni in cui egli visse nel palazzo Caracciolo d’Avellino, ovvero proprio negli spazi che oggi ospitano la Fondazione Morra Greco. “The portrait of the artist as Torquato Tasso & the stairs for the servants”, questo il titolo della mostra, in cui la Winterling propone la sua particolare visione dei personaggi letterari, attraverso la lettura dei quali si può, in un certo senso, tracciare un identikit dell’artista in quanto tale e suggerire che nelle peculiarità soggettive del personaggio si strutturano elementi oggettivi che si distaccano dalla biografia in favore dell’opera e dell’Arte. (Gigiotto del Vecchio)
Immagine: David Maljkovic, Lost memories from These Days, 2006 - One channel video and sound installation
Courtesy Annet Gelink Gallery Amsterdam
Inaugurazione 30 Ottobre 2009, alle 19
Fondazione Morra Greco
Largo Avellino 17, 80138 Napoli
orario: dal lunedì al venerdì dalle 10 alle 14
ingresso libero