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6/6/2002

Fermata di tempo

Centro Culturale Man Ray, Cagliari

Questa rassegna si pone come un atto collettivo di meditata osservazione su un tempo estraneo, compresso e deformato dalle incessanti mutazioni del reale. Il desiderio, lacerante o ironico, perverso o nostalgico, e' come un sogno: arrestare quel flusso vorticoso per concerdersi una sosta, una fermata a richiesta, su un autobus impazzito.


comunicato stampa

a cura di Mariolina Cosseddu, allestimento di Wanda Nazzari

Annalisa Achenza, Silvia Argiolas, Gianni Atzeni, Salvatore Corraduzza, Attilio Della Maria Maria Luisa Delzotto, Simone Dulcis, Adelaide Lussu, Dionigi Losengo, Marina Madeddu, Paolo Ollano,Marco Pili, Raffaele Quida, Antonello Ruscazio, Maura Saddi, Giuliano Sale, Monica Solinas, Luciano Soro, Giuseppe Pettinau

Nel 1989 Gillo Dorfles pubblicava un testo, oggi diventato un classico, dal titolo 'L'intervallo perduto'. In quelle pagine Dorfles lamentava l'assenza, nell'arte come nella vita, della 'consapevolezza del significato della stasi, della pausa, del vuoto d'un intervallo'. Ne reclamava perciò la necessità insostituibile 'nella condizione di rumore continuo', di moto costante, d'incessante divenire da cui siamo perseguitati. Perdere l'intervallo equivale dunque ad una perdita della 'propria sensibilità per il passare del tempo e per la discontinuità del suo procedere'. Ma comporta anche, nelle operazioni artistiche, un'usura delle forme, una stanchezza semantica che genera, inevitabilmente, una sorta di docile coazione e ripetere priva di senso profondo e autentico delle cose. E' risaputo, inoltre, che da Proust in poi, il tempo subisce le accelerazioni, gli indugi, le anacronie e le ellissi imposte dal proprio 'barometro interiore', come ha ribadito in questi giorni, alla Fiera del libro di Torino (intitolata, appunto, 'Ritrovare il tempo'), Giorgio Bogliolo, raffinato studioso dello scrittore francese. Bogliolo ci ricorda che affrancarsi dall'ordine cronologico e ascoltare il ritmo interiore può essere una prassi salutare per 'sottrarsi all'imperio della morte ', una metodica per prepararsi al silenzio.
L' 'horror pleni' che ha dominato in questi ultimi decenni è sembrato esplodere nell'attonito sconcerto seguito ai fatti del settembre scorso o a quelli che oppongono, oggi, nel sangue e nell'odio, gli abitanti di un'antica terra vanamente promessa.
Dallo spazio esterno la sospensione temporale ha invaso le coscienze, le ha poste su una soglia d'attesa, dove diviene vigile quella 'pausa percettiva ed esistenziale' auspicata da Dorfles.
Questa rassegna si pone perciò come un atto collettivo di meditata osservazione su un tempo estraneo, compresso e deformato dalle incessanti mutazioni del reale. Il desiderio, lacerante o ironico, perverso o nostalgico, è come un sogno: arrestare quel flusso vorticoso per concerdersi una sosta, una fermata a richiesta, su un autobus impazzito. Passeggeri storditi e solitari ci si interroga se sia possibile ancora comunicare, attraverso lo strumento artistico, il disagio del presente, la malinconia della solitudine o l'indolente indifferenza per cui tutto può comunque accadere.
La situazione tematica permette così di costruire differenti e molteplici percorsi, orientati dentro o fuori la coscienza, che conducono a sorvegliate proposte, a perentorie soluzioni o a forme visionarie di un immaginario inquieto.
Il tempo fermato di Monica Solinas, di Marina Madeddu e Annalisa Achenza, si traduce nella femminilissima sensibilità di donne che guardano ad altre donne, ad altre storie la cui drammaticità è interpretata attraverso apparizioni liriche, dolorose ed emozionate.
Viceversa, per Simone Dulcis, Raffaele Quida, Luciano Soro, il tempo è metafora di urgenze espressioniste, di agitate passioni, di perdute certezze, implicitamente fuse nella materia incandescente, nel colore intenso, nel gesto dichiarativo e provocatorio. Nella figurazione intensa e dolorosa si palesa la riflessione amara e brutale di Giuliano Sale e Silvia Argiolas, malinconica e attonita di Adelaide Lussu, discordante e sofferta di Paolo Ollano, accomunati da un sentimento del tempo percepito come frammento, lacerto, faticosa e travagliata presa di coscienza. La stessa coscienza che, varcando la soglia dello spazio finito, si proietta in una dimensione metafisica in cui si dispongono i simboli della visionarietà enigmatica e inquietante di Giuseppe Pettinau. Non c'è via d'uscita per Maria Luisa Del zotto e neppure per Gianni Atzeni, la cui figurazione è negata dalla dissoluzione dell' immagine, per l'una, e dagli oscuri presagi che si velano di nero, per l'altro. La tensione narrativa sembra sciogliersi, invece , nel linguaggio neoconcretista , sapientemente aggiornato di Maura Saddi e Dionigi Losengo, materico ed evocativo di Marco Pili: per loro l' entropia del reale si riorganizza in un universo di segni sintetici e geometricamente definiti che lasciano trapelare, comunque, il sogno e la memoria. Ma il sentimento del tempo può prendere anche la forma dell'installazione come nell' architettato finale senza speranza di Antonello Ruscazio o nella sospensione piena d'attesa e di risonanze interiori di Attilio della Maria o, infine, nella luminosa via di salvezza che va verso oriente di Salvatore Coraduzza.
Mariolina Cosseddu

Inaugurazione venerdì 7 giugno 2002 ore 19.00

Orari: tutti i giorni ore 18,30/20,30

CENTRO CULTURALE MAN RAY
SPAZIO POLIVALENTE DEDICATO ALLE SPERIMENTAZIONI ARTISTICHE CONTEMPORANEE
VIA LAMARMORA, 140 - 09124 CAGLIARI TEL. E FAX 070/283811

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