In mostra un'ampia raccolta di lavori pittorici realizzati con tecniche diverse e spesso miste. Accanto a questi il celebre ciclo de 'I caschi', una serie scultorea in diversificati marmi pregiati, di colore e provenienza diverse.
Dal 13 al 20 marzo, la Galleria “Il Mondo dell’Arte” ospita a Palazzo Margutta (Via Margutta, 55) una personale dedicata all’artista Raffaele Luigi Leone (1950-2009), medico sensibile e attento ricercatore universitario, ma soprattutto artista straordinario, dotato di una curiosità intellettuale che trova sfogo nell’apertura verso linguaggi diversi e va oltre la tela: dall’acquarello al disegno a china; dalle sculture alla composizione di poesie e testi musicali. Personalità poliedrica e indagatrice, Leone si è meritato l’appellativo di “sismografo” del nostro tempo, capace grazie all’enorme talento che lo caratterizza di “andare al di là delle apparenze per intercettare la vita interiore del soggetto scelto”, come afferma Gabriele Simongini nella presentazione al catalogo.
A curare il catalogo e l’esposizione, a ingresso gratuito, Nicolina Bianchi, critico d’arte, editore e direttore di Segni d’Arte; mentre l’allestimento è stato firmato dai galleristi Remo Panacchia e Adriano Chiusuri e dal Maestro Elvino Echeoni, direttore artistico de “Il Mondo dell’Arte. A conclusione della rassegna il ricavato della vendita dei cataloghi verrà interamente devoluto all’Associazione Viva la Vita Onlus, che si occupa dei malati di SLA e altre malattie rare ad alto impatto sociale, e che sarà rappresentata il giorno del vernissage da Erminia Manfredi, testimonial e motore dell’associazione.
In mostra un’ampia raccolta di lavori pittorici – oltre 30 pezzi - realizzati con tecniche diverse e spesso miste, compresi oli su tela, anche di grandi dimensioni, collage, disegni a china e acquerelli. Accanto a questi il celebre ciclo de “I caschi”, una serie scultorea (i sette vizi capitali a cui l’artista ne aggiunge un ottavo: la tossicomania) in diversificati marmi pregiati, di colore e provenienza diverse, che rappresenta il trasferimento su materia dell’attenta analisi sociale meditata da tempo “con cui – stando sempre a quanto registra il Simongini – Leone compie un salto di qualità purtroppo interrotto dalla sua precoce scomparsa che ci fa solo supporre chissà quali sviluppi degni di nota”. Tutte le opere presenti nella prestigiosa galleria romana nell’esposizione con la quale la famiglia ha scelto di rendergli omaggio offrono, comunque, al pubblico la possibilità di ammirare uno spaccato importante della sua vasta e ricca attività, premiata - tra l’altro - con riconoscimenti significativi, tra cui il prestigioso Premio Segni d’Arte assegnatogli “per l’innato talento e la ricca vena creativa”. I pezzi in mostra saranno successivamente acquisiti dai Beni Museali ed esposti in permanenza dalla seconda metà dell’anno presso il Complesso Monumentale del San Giovanni a Catanzaro.
Figura eclettica, nell’arte e nella vita, Raffaele Luigi Leone, calabrese di nascita e toscano d’adozione, inizia da bambino a sperimentare il disegno, dimostrando fin da subito una capacità innata. Da autodidatta comincia a dedicarsi all’acquarello e a tracciare disegni con l'inchiostro di china, impiegando supporti diversi. Ad attirare la sua attenzione anche la molle plastilina con la quale esegue varie copie di statue classiche, tutte caratterizzate dalla dovizia di particolari e da un’enorme espressività. A scatenare il sacro fuoco della passione pittorica, verso la quale è spinto anche dalla frequentazione con il maestro Parentela, pittore e insegnante catanzarese, un libro monografico sull’opera di Van Gogh da cui trae ispirazione per la sua prima tela a olio “Ritratto di Vincent Van Gogh”. Quando anche la tela non si mostrerà più sufficiente a dare espressione all’animo dell’artista, Leone sceglierà di comporre poesie e testi di canzoni oltre che mettere per iscritto i propri pensieri. Nel 1966 inizia a esporre all’interno di collettive, che gli varranno premi e riconoscimenti diversi, lo porranno all’attenzione del pubblico e della critica e gli faranno ottenere largo consenso. Dieci anni più tardi viene recensito sul mercato dell'arte italiana e le quotazioni delle sue opere compaiono sul volume, a cura di Giorgio Falossi, Il Quadrato. Pittori e Pittura contemporanea. Nel 1978 consegue la laurea in Medicina e Chirurgia e si iscrive al corso di Specializzazione in Oftalmologia.
L’anno successivo viene nominato ricercatore presso la Cattedra di Clinica Oculistica dell'Università di Siena. Gli impegni professionali, tuttavia, non lo allontanano dal fuoco sacro. Dal 1983 inizia a recarsi sempre più spesso a Roma. Affascinato dalla storica via Margutta, frequenta il mondo dell'arte e delle gallerie, segue mostre, avvia rapporti interpersonali con diversi pittori e scultori dell'epoca. Conosce Luigi Montanarini e Renato Guttuso, che hanno lo studio nella splendida cornice della strada degli artisti, fa amicizia con Schifano, Lillo Messina, Franco Angeli. Accanto alle soddisfazioni e ai riconoscimenti legati all’attività pittorica e scultorea arrivano quelli legati alla professione di medico: nel 1998 - a conclusione di un progetto di ricerca riguardo la prevenzione e la cura di un diffuso problema oftalmologico, il Tracoma - il Capo dello Stato gli conferisce l’onorificenza di Cavaliere al Merito della Repubblica Italiana per “Attività meritevoli nel campo medico”. Del 2002 è l’incontro con Nicolina Bianchi, critico d’arte ed editore della Rivista Segni d'Arte. “Una grande amica”, ricorderà Leone, ”l'incontro della mia vita artistica”. Sarà proprio quest’ultima, infatti, che, apprezzando le sue opere, lo inciterà a un importante progetto per una sua mostra nella capitale. L’anno successivo gli viene assegnato il Premio Segni d'Arte, ambito riconoscimento.
Insieme a lui vengono insigniti tanti importanti personaggi della cultura e della vita pubblica nazionale, tra cui: Maurizio Fagiolo Dell'Arco, noto storico dell'Arte e già Professore d'Accademia di Belle Arti di Roma; i Maestri Trotti, Calabria e Attardi; l’étoile Carla Fracci; Remo Girone; Alessandro Nicosia, Presidente di Comunicare Organizzando; le Sorelle Fontana; il Maestro Francesco La Vecchia. Nel 2004 Leone inizia il suo lavoro scultoreo “I caschi”, un minuzioso studio sulla crisi dei valori che solo un artista dalla sensibilità così energica poteva essere in grado di trasferire su pietra. A far da cornice il laboratorio del maestro scultore Berrettini, la cava di marmo a Serre di Rapolano vicino Siena e il suo studio di pittura. In quello stesso periodo comincia a progettare con Nicolina Bianchi un’importante esposizione a Roma in cui intende esporre tele e sculture. Scompare a Pisa nel 2009 in seguito a grave malattia.
Di lui hanno detto: “Il motivo del casco, che fa di chi lo indossa una sorta, nel bene e nel male, di guerriero metropolitano contemporaneo, era già affiorato in alcune opere pittoriche di Leone come premonizione e come una sorta di personale ossessione per quella che, nelle sue stesse parole, “è una maschera, un travestimento invisibile dietro cui coprire il viso per nascondere la propria identità o per simularne un’altra”. (….) Ma nell’esito pittorico e anche nei coloratissimi studi per le sculture non c’è molto di quell’inquietante, tetragona impenetrabilità perfettamente immedesimata con le caratteristiche dei singoli marmi utilizzati nella serie degli “otto vizi capitali”. (…) Unendo le varie colorazioni dei marmi ad una sempre diversa apertura della visiera, fino alla completa chiusura, Leone ha sorprendentemente rovesciato l’inespressività del casco trasformandolo da maschera in “anima” che manifesta debolezze e sentimenti malati. Sono vizi così forti da trasudare idealmente attraverso il casco, rendendolo tragicamente espressivo e non di rado trasformandolo quasi in una grande bocca spalancata per urlare. Sono appunto “gli abiti del Male”, come li definiva Aristotele. (…) Così, per molti aspetti, i caschi di Raffaele Leone sono icone dure, efficaci e quasi pop che pietrificano quel senso d’angoscia e di drammatico annullamento del sé più profondo ed autentico in cui oggi sprofondano sempre più vite. (….) Il casco, simbolo di velocità, anonimato e spersonalizzazione, diventa quasi uno strumento di denuncia o perlomeno di profonda riflessione su tanti nostri modi sbagliati di stare al mondo che ci separano, ci segregano dalla possibilità di vivere un rapporto sano ed equilibrato con gli altri. La sorprendente interpretazione dei caschi offerta da Raffaele Leone ce li fa guardare con occhi nuovi ed imprevisti: “l’arte rinnova – ha notato la scrittrice Anais Nin – la nostra percezione delle cose. Quel che finora c’è stato familiare, cessa di esserlo…Ed è come se, per magia, cogliessimo dei nuovi significati”. Con queste opere Leone non poteva lasciarci testimonianza più concreta di un forte impegno etico inseparabile da un’autentica passione artistica”. (Gabriele Simongini)
“Colori e idee, forme e segni, tratti di una realtà tradotta da suggestioni e parole; tutto racchiuso nei segreti dell’anima che si leggono come messaggio di una propria concezione pittorica nelle opere di Raffaele Luigi Leone. Un artista che scopre e trasmette le immagini, fantastiche e reali, secondo gli umori e le continue pulsioni di una congenita necessità di inventare discorsi, di costruire dialoghi. Il mondo di Raffaele è tutto lì, in quel segno sottile e intrigato come i capelli delle sue Moire, o delle sue Meduse, in quel diario di sguardi che raccontano il volto dei suoi affetti più cari, in quell’impeto dei giocatori di rugby, dove il colore sgomita per trovare i suoi spazi in un immenso impaginato d’aria. Il suo mondo è lì, fra banchi di nebbia come racconta nelle sue poesie… che cosa comporta la vita, scrive Raffaele, in quella nebbia che è come la sabbia che, tutta, mi copre le dita…” La sabbia che ha il colore dei suoi gialli, il giallo dei panneggi negli abiti della stella Elisa, il giallo dei grandi ombrelloni dipinti a tutto campo sullo sfondo di un cielo di nubi, il giallo sulle meste trasparenze di un Cristo velato, o nelle forme dei suoi caschi, dove il lucido marmo di Siena ci appare nell’ effetto visivo come in un magico turgore di luce. Ma è poi la crisalide che raccoglie tutta la ricchezza vitale del suo inconscio, una ricchezza che si libera dall’immaginario “bozzolo” di idee, di istanze sentimentali, di desideri e aspirazioni, di memorie d’infanzia. E tutto poi si snoda in un personale racconto di immagini che significano il cammino della vita, che significano emozioni, quelle che da sempre hanno accompagnato la densa ed intensa esperienza pittorica di Raffaele.
Una pacifica rivoluzione interiore che ingloba nella suggestiva struttura embrionale delle figure, quasi scavate dal colore al proprio interno, il simbolo della continuità dell’esistenza. Figure come larve, appena abbozzate, crisalidi pronte a muoversi nell’aria, a librarsi in una surreale materia azzurra che a tratti si addensa e si diluisce nelle luci dell’oro. Un colore che vuole spesso sostituirsi al vero, che ridisegna la forma con una libera e personale inflessione di linguaggio espressivo. Un colore che si sgretola, si lacera, oscilla, si frantuma. E queste forme spezzate, queste linee che si interrompono nella continuità del disegno ma che danno nel contempo la sensazione di voler essere ricomposte da immaginarie suture, interpretano il desiderio dell’artista di nascondersi ma anche di farsi riconoscere. In quest’opera, che precorre la successiva evoluzione formale dei caschi, Raffaele, chissà se volutamente, ha dipinto il suo autoritratto. Ha dipinto il suo volto, nascosto nello sguardo dietro grandi occhiali verdi e una calotta dorata, attore di una commedia, quella più intima e familiare, più vissuta e sofferta, quella di un sogno che richiama alla mente la visione “velata” dei les amants di Magritte. Quel volo che la crisalide spicca quasi in uno spazio d’eterno è la sua voglia di levarsi in alto, ma soprattutto la sua voglia di costruire… e riscrivere a colori sulla tela i caratteri di forza e libertà, e di rappresentare come narrano i suoi versi, ciò che “al mio occhio concesso viene di oltrepassare il limitare di ciò che all’uomo conviene…” (Nicolina Bianchi)
Mostra e catalogo sono stati egregiamente curati da Nicolina Bianchi, critico d’arte, editore e direttore di Segni d’Arte. A curare l’allestimento dell’intera esposizione i galleristi Remo Panacchia e Adriano Chiusuri e il Maestro Elvino Echeoni, direttore artistico de “Il Mondo dell’Arte”, che - da anni - propone nella sede espositiva di Via Margutta artisti professionisti, Maestri che hanno portato l’arte italiana nel mondo.
Inaugurazione sabato 13 marzo 2010 dalle 18.00 alle 21.30.
Galleria Il Mondo dell’Arte “Palazzo Margutta”
Via Margutta, 55 Roma
dal martedì alla domenica dalle 10.30 alle 13 e dalle 16 alle 20
chiuso domenica tutto il giorno e lunedì mattina
ingresso libero